Che cosa è la 18 app e perché si parla tanto di lei
Che il nuovo potere del centrodestra voglia smantellare i provvedimenti simbolici dei governi “di sinistra” è legittimo ed era totalmente prevedibile. Tra le norme più fortemente caratterizzate c'è la cosiddetta 18 app, il bonus di 500 euro da spendere in cultura per tutti i diciottenni, che l'allora presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva voluto e che ora difende con vigore.
Stava tentando di smantellarlo un emendamento all'articolo 108 alla legge di bilancio firmato dal presidente della Commissione cultura della Camera Federico Mollicone (Fdi), e dagli onorevoli Rossano Sasso (Lega) e Rita Dalla Chiesa (FI). Le critiche di diversi intellettuali e delle forze politiche della sinistra, ma soprattutto l'immediata reazione delle categorie interessante (a cominciare dagli editori), sembra aver allungato la vita al dispositivo, anche se forse adesso dovrà cambiare nome, come ha annunciato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano in visita a Più Libri Più Liberi, la fiera romana dell'editoria indipendente: si chiamerà “Carta Cultura”, terrà conto dell'ISEE e avrà un “meccanismo antitruffa”.
La legge che istituiva la 18 app e la sua applicazione avevano di sicuro molti difetti. In primo luogo, il sostegno era uguale per tutti, ricchi e poveri: con l'aggravante che i ricchi sanno in genere come spendere i soldi in cultura, mentre i poveri, per molte ragioni, troppo spesso non hanno questa abitudine. In particolare, sapendo che nel 60% delle case italiane non c'è nemmeno un libro, è difficile che un ragazzo o una ragazza cresciuti in quell'ambiente sappiano quali libri comprare, e perché. Anche per questo si è parlato di truffe e compravendite dei bonus: è una delle ragioni con cui la nuova maggioranza ha sostenuto la sua cancellazione, parlando di “9 milioni di euro già frodati” (meno del 5% del totale, laddove su altri provvedimenti degli ultimi anni il “tasso truffa” pare più alto). E forse, per orientare i ragazzi e le ragazze che non hanno dimestichezza con Calvino, Mozart e Picasso, sarebbe stato il caso di intervenire con più adeguati “consigli per gli acquisti”.
In questa prospettiva, sarebbe davvero interessante sapere in dettaglio dove i diciottenni hanno scelto di spendere il loro regalo di compleanno. Sappiamo che dei 230 milioni del Bonus cultura i 441.1480 diciottenni che hanno usufruito del sostegno hanno spesso nel 2021 circa 95 milioni in libri (compresi gli ebook), 22 milioni in concerti, 14 milioni in cd, vinili eccetera, poco più di 6 milioni in cinema e audiovisivi (serie comprese), 1,85 milioni in corsi di lingue, quasi 1 milione in teatro e danza, 700.000 euro in festival e fiere culturali e mezzo milione in musei, monumenti e parchi. Ma la banca dati sarebbe stata utile anche e soprattutto per capire i gusti e le passioni culturali dei giovani italiani di oggi. Ma questo è uno dei difetti dell'amministrazione italiana: una volta investiti e spesi i denari, c'è scarsissima attenzione per le ricadute e gli impatti dei provvedimenti e per eventuali aggiustamenti in corso d'opera, oltre che naturalmente per l'utilizzo delle informazioni raccolte per migliorare le politiche culturali.
Poi ci sono gli aspetti positivi della 18app. In primo luogo, l'attenzione ai giovani, troppo spesso dimenticati dalle nostre politiche, e la riaffermazione del valore della cultura, nel duplice senso del termine: la sua importanza nella formazione dei cittadini, ma anche la consapevolezza che deve avere un prezzo (anche se questi primi 500 euro sono un dono dello Stato). In secondo luogo ha offerto la possibilità di facilitare l'accesso alla cultura a fasce della popolazione per le quali erano economicamente inaccessibili. E in un paese come il nostro, con i consumi culturali tra i più bassi d'Europa, questo elemento non va sottovalutato. Grazie a 18 app, molti studenti hanno acquistato testi scolastici e/o universitari: anche così si favorisce il diritto allo studio per i meno abbienti.
E naturalmente la 18app ha sostenuto diverse filiere culturali: non a caso tra i primi a protestare contro la sua cancellazione sono stati editori e librai.
C'è infine una ragione di fondo che rende interessante il provvedimento. Il sostegno alla cultura in Italia va in primo luogo alla conservazione (i beni culturali, il patrimonio) e in secondo luogo alla produzione (di spettacoli teatrali, di film, di opere d'arte, eccetera). 18 app non finanzia l'offerta. Sostiene la domanda. In questo modo segna un importante cambio di prospettiva: a scegliere non sono più solo le istituzioni culturali, ma i giovani cittadini.
Visti i pro e i contro, i 230 milioni destinati a 18 app nel 2022 (rispetto ai 143,5 milioni del 2021) avrebbero potuto certamente essere spesi meglio. Va premesso che sono briciole, in un bilancio della Stato dove la cultura è residuale: secondo le ultime stime Istat (febbraio 2022), la spesa pubblica destinata dall'Italia ai servizi culturali (che includono la tutela e la valorizzazione del patrimonio) è pari a 5,1 miliardi di euro contro i 14,8 e 13,5 miliardi di Francia e Germania.
L'emendamento Mollicone & Co. avrebbe destinato, secondo quanto pubblicato dall'ANSA, 60 milioni al welfare dello spettacolo. Come ci ha dimostrato la pandemia, la situazione dei lavoratori dello spettacolo è drammatica e l'istituzione di minime forme di welfare un atto dovuto (anche in seguito all'approvazione del Codice dello Spettacolo).
Un altro cavallo di battaglia del centrodestra è da tempo la cancellazione del FUS, il Fondo unico per lo spettacolo, istituito nel lontano 1985: non si capisce come sarà sostituito e strutturato, ma intanto c'è già il nuovo nome, Fondo nazionale per lo spettacolo dal vivo (incrementato con l'emendamento di 40 milioni). Altre risorse sarebbero state dirottate verso il Fondo cinema (più 10 milioni), i carnevali storici ''al fine di consentire la conservazione e la trasmissione delle tradizioni popolari in relazione alla promozione dei territori'' (più 5 milioni), i Musei statali (più “13,3 milioni di euro nel 2023 e di 11,5 milioni annui a decorrere dall'anno 2024'').
Segue qualche elemosina ad hoc, come spesso capita in questi casi, per ricordare due grandi italiani che devono essere assai cari al centrodestra: da un lato la neonata ''Fondazione di diritto privato denominata 'Fondazione Vittoriale', con compiti di gestione e valorizzazione del Complesso del Vittoriale", ultima dimora del Vate Gabriele D'annunzio; dall'altro un comitato per "celebrare la vita, le scoperte e l'opera di Guglielmo Marconi nella ricorrenza dei centocinquanta anni dalla sua nascita, nonché di promuovere lo sviluppo di studi scientifici e di sperimentazioni nei settori delle telecomunicazioni, dell'innovazione e della creatività, è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2023 e di 2 milioni di euro per l'anno 2024''. Infine, è previsto un fondo di 15 milioni di euro l'anno a favore del libro e delle biblioteche.
18 app era un provvedimento certamente discutibile, ma aveva un grande pregio. Con un investimento relativamente modesto, era chiaro negli obiettivi e facile da comunicare. Aveva un evidente valore simbolico: se ai giovani cittadini serve cultura, dobbiamo facilitare l'accesso, nella speranza di creare un'abitudine al consumo culturale.
L'emendamento Mollicone sbriciolava il fondo per la 18 app in una serie di mancette con obiettivi spesso vaghi, a volte per tappare buchi nel nostro misero investimento culturale e soprattutto aprendo una “guerra delle briciole” tra le diverse lobby e clientele per spartirsi questo magro sostegno.
La polemica ha avuto tuttavia un effetto positivo. Molti dei ragazzi e delle famiglie che ignoravano l'esistenza della 18 app, adesso ne hanno sentito parlare. Sanno di questo “diritto alla cultura”. C'è da sperare che, comunque si chiami, possa davvero coinvolgere tutti i diciottenni in una grande campagna per favorire l'accesso alla cultura di tutti gli italiani. I diciottenni e non solo. Che non si limiti a un episodio, ma che davvero consenta di sedimentare un'abitudine culturale. Che faccia capire che la cultura è insieme un piacere e una necessità. Che può cambiare (in meglio) le nostre vite.
Ma dobbiamo anche ricordare ai nostri politici che non basta rinominare i sostegni alla cultura, da Fondo unico a Fondo nazionale, da App a Carta. Per fare le vere riforme, è necessario finanziarle adeguatamente.