Edoardo Camurri: quanto è grande la Realtà

26 Luglio 2024

Tra quelli che comunemente chiamiamo saggi, ci sono libri (la maggior parte) che si aggiungono al discorso su un certo argomento, ci sono libri (ben più rari) che inventano una figura nuova e le danno un nome, ci sono libri (si contano sulle dita di una mano) che invece cercano di fare un ragionamento più generale e di parlare dell’acqua, come la chiama in un celeberrimo discorsetto David Foster Wallace: Questa è l’acqua, appunto. Ormai l’aneddoto è trito, comunque due pesci giovani incrociano un pesce anziano, il pesce anziano chiede loro com’è l’acqua e i due giovani pesci gli domandano che cosa sia l’acqua. Strano non lo sappiano, siccome ci sono immersi... E, dunque, che cosa sarebbe quest’acqua? L’acqua è ciò che ci riguarda tutti a tal punto da non essere, almeno di consueto, oggetto delle nostre conversazioni, perché l’acqua scivola tra le dita, è inafferrabile, c’è e basta. L’acqua sono quei temi – che potremmo radunare sotto il cappello di: “il senso della vita” o “che cos’è la vita” – che sono estremamente difficili da trattare in maniera utile, perché finiscono per ridursi a concetti così astratti da essere inservibili o così concreti da produrre banali affermazioni di buon senso. Questa è l’acqua. Senza dubbio il libro di Edoardo Camurri Introduzione alla realtà (Timeo, Palermo 2024) è un libro che parla dell’acqua. E, infatti: che c’è di più universale, generale e auto-evidente della realtà? Che altro c’è da aggiungere? 

Ovviamente, siccome è da lì che viene, da quel tipo di percorso scolastico e di formazione, l’autore poteva scegliere di parlare della realtà scrivendo un polveroso saggio di filosofia in cui enumerare svariati tentativi di definizione e di utilizzo della parola, e del concetto, dall’antichità fino a oggi. Ma non è questa strada che ha scelto. Una spia piuttosto esplicita di ciò è il bel gatto psichedelico che campeggia sulla copertina, opera di tale pittore britannico Louis Wain, vissuto a cavallo tra il secolo scorso e quello prima, presto ricoverato dalle sue sorelle in un ospedale psichiatrico, incredibile disegnatore di mici e micetti sempre più antropomorfi, a mano a mano che i suoi anni passavano e che lui li trascorreva a ricoprire l’inconsueta carica di presidente del National Cat Club, un onorevole istituto destinato alla missione di piegare l’alta società inglese alla causa del piccolo felino. Questo simpatico gatto rubicondo, assai simile allo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie, è una specie di cartello stradale che indica al lettore un trattamento completamente accogliente, originale e vitale del tema acquatico in questione, ovvero il rapporto di tutti noi con la Realtà, dalla nascita in avanti.

Per capirci, ecco l’incipit: 

«Iniziamo col dire che la Realtà è, in principio, un’introduzione alla Realtà: quando fai la tua comparsa nel mondo, quando debutti nella Realtà, ti introduci letteralmente – un po’ come un ladro che scassina un appartamento o come una malattia che si inocula in un corpo – in un ambiente che ti precede e che poi, probabilmente, a giochi quasi fatti, ti verrà da chiamare mamma, casa, vita, mondo, natura ed essere».

Di qui in poi, dalla nascita, ripercorrendo i nostri giorni come una fiaba e tracciando l’identità dell’io come un eroe che si muove nella vita per compiere l’impresa di esistere, Edoardo Camurri ci accompagna per mano, con gentilezza e serenità, a esplorare pensieri, percezioni ed emozioni che accomunano noi esseri umani quando ci apprestiamo a vivere e a scontrarci con ciò che era in vita da prima di noi. L’autore lo fa dando luogo a una nuova forma di pamphlet, che per il suo contenuto esperienziale è difficile bollare esplicitamente come un saggio, ma di certo non si può dire che sia un romanzo o un racconto, il nome più adatto che viene da usare è vangelo. E allora sorge spontanea la domanda: quale sarebbe la buona novella?

Il vangelo per antonomasia, cioè quello cristiano, dà la buona notizia della discesa del figlio di Dio sulla Terra e nel farlo elargisce un esempio a suo modo chiaro e convincente di come comportarsi nel frattempo, prima che scendano i quattro angeli dell’Apocalisse e ci si debba schierare tra i dannati e i risorti, prima della fine dei tempi. Questo vangelo no, è più sofisticato, altrettanto pop, è un vangelo contemporaneo aperto al lettore, di cui il protagonista non è solo un uomo o una donna eccezionale, ma un cristo qualunque, noi tutti, o meglio chiunque di noi si affacci alla vita godendo di una sensibilità molto impressionabile dalla complessità radiosa dell’essere.

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Dovendo, o meglio volendo, identificare però un particolare credo filosofico, una scia di sapere alla quale questa buona novella di Edoardo Camurri faccia capo o aderisca, mi verrebbe da dire che il libro è un vangelo panteista, perché il suo presupposto più semplice e bello è il seguente: la Realtà è sacra. Con le parole dello scrittore suona meglio e suona così: «Vi è alienazione all’interno della Realtà, una malattia, una via di mezzo tra la dissociazione psicotica e il richiamo di qualcosa di sacro, se al sacro possiamo dare una definizione abbastanza comune nel discorso antropologico sulla religione all’inizio del Novecento: il sacro è ciò che attrae e ciò che respinge. Nella Realtà gli opposti coincidono, il due è uno».

Quando, tramite la nascita, veniamo introdotti alla Realtà, ci tocca fare i conti con una specifica vertigine, col fatto che la Realtà non è altro da noi, che ne siamo parte, che siamo venuti al mondo come un suo decifrabile bisogno, che ogni volta che la sentiamo opprimente stiamo lottando anche contro noi stessi, con il limite che ci consente di manifestare la nostra natura. Ci tocca ricordare così, come narrano gli interpreti del pensiero panteista, che il reale è molteplice, divino, meraviglioso e che duella con sé stesso non appena mediante noi si impone di circoscrivere il caos in una razionalità, un calcolo, una misura, attraverso quei due tipi di «malocchio», come li chiama genialmente Camurri, che sono il pessimismo e l’utilitarismo. Del pessimismo, in particolare, scrive che è lo «stato d’animo» di quella «ideologia della realtà» che è il realismo.

Inutile dire che praticare appassionatamente il pessimismo non è una buona idea, perché è come non permettere alla Realtà di espirare tramite noi, inspirare soltanto, trattenendo il potenziale di ciò che potrebbe andare altrimenti, limitarci a ribadire ciò che è, alla fine legittimandolo.

Tra le righe più alte del libro, a proposito di inspirare ed espirare, ci sono quelle in cui lo scrittore racconta che prima di significare percezione e poi estetica, la parola aisthesis significava semplicemente “respiro”. È a questo movimento essenziale e binario che si può ricondurre la vita del mondo, lo sciabordio della sua acqua: trattenere e lasciare andare. Nel descrivere il girotondo della Realtà che respinge e insieme abbraccia, si dà il legame che c’è tra la paura e la nascita di ogni potere, si esplora la funzione celestiale del sogno, si parla con dolcezza della fatica con la quale ciascuno di noi sta al mondo attraversando soglie di percezione e di dolore. Il libro è come costellato di alcune parole cardine che divengono mitiche, che servono a individuare l’edificio complesso e sfuggente della Realtà, fatto di acqua: sono appunto soglia, realtà, sogno, rito di passaggio, nascita, intelligenza, allucinazione, ovviamente realtà, amore, immaginazione.

Leggendo questi brevi capitoli, organizzati in paragrafi separati di tanto in tanto da un solo asterisco, si arriva, verso la fine (pagina 74), a capire il perché di questa forma evangelica e il perché sia tutt’uno con il messaggio panteista stesso: «È il brivido dei filosofi quando, insieme a te, si pongono la domanda: “Perché c’è tutto questo e non il nulla?”. Rispondere è impossibile; per farlo dovresti essere fuori da quel “tutto questo” che ti comprende». Non poteva essere un saggio accademico di filosofia a esplorare così la Realtà, o a dirci come andare avanti a esistere, perché nella sua essenza più specifica il sapere filosofico è colluso con l’intelligenza, con la razionalità quindi per fare luce sul mondo e sull’essere umano è obbligato ad avere un punto d’appoggio che è anche il suo punto cieco. Il sapere filosofico non deve fare ciò che fa la Realtà, o non saprebbe sgranarla, non saprebbe ordinarla, il sapere filosofico deve rappresentare sé stesso come altro rispetto al Reale, come lo sguardo di un soggetto su un oggetto. Qui invece, fintantoché ci facciamo cullare dalla voce amica ed esperta di Introduzione alla realtà, possiamo regredire, dimenticare la soggettività che abbiamo inventato, patire col tutto, assumere la vita interiore dei «monaci» e dei «santi». Solo così saremo in grado di vedere quanto è grande la REALTÁ e quanto è amabile. (Il maiuscolo non è un urlo: si comprende leggendo il libro...).

Se la Realtà è completamente sacra in lei non c’è niente di brutto e odioso, né la carezza né lo sputo, ogni cosa che esiste e resiste ha una dignità che spinge ad adorarla e a soffrire per la sua inevitabile riconciliazione col tutto, quando la sua vita sarà esaurita.

Va da sé che nessun vangelo viene scritto come un romanzo d’avventura: chi legge non deve arrivare alla fine una volta sola per scoprire come finisce. Questo è un libro che, dunque, si può rileggere e sottolineare: può fungere da arredo nello spazio interiore di ciascuno, facendogli compagnia nella speranza o nella paura che c’è, a seconda della stagione che sta attraversando. Dentro vi si trova spesso il monito contagioso di «hackerare se stessi», una pratica fondamentale per restare vivi e rinfocolare la propria fiamma.

Quelli di Timeo sono stati coraggiosi a pubblicare un vangelo. A loro, così pare dai ringraziamenti, va il merito di avere invitato l’autore Edoardo Camurri a ritagliarsi uno spazio per tradurre la sua voce già nota in queste (circa cento) pagine di carta.

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