Discesa nelle apocalissi queer
Apocalissi queer: Elementi di teoria antisociale di Lorenzo Bernini (àltera. Collana di intercultura di genere, ETS, Pisa 2013) è un testo composito e tuttavia organico, in grado di restituire la complessità della riflessione maturata all’interno di quel vasto campo di sapere che dagli Stati Uniti abbiamo ormai imparato a chiamare “Queer Theories”. L’approccio multidisciplinare che l’autore adotta mette in dialogo la filosofia politica con la psicoanalisi e i Cultural Studies, in un’analisi sempre attenta alla contingenza storica. Tra i meriti del lavoro di Bernini va innanzitutto messo in evidenza quello di aver colto e interpretato l’assenza rumorosa delle cosiddette “teorie queer antisociali” dal panorama italiano, aprendo da un lato la strada a un campo di ricerca finora poco esplorato e dall’altro invitando a rileggere autori più noti che in Italia siamo soliti associare alle teorie queer. Infatti, mentre i nomi di studiosi come Michel Foucault o Judith Butler sono immediatamente riconoscibili quali voci influenti dell’odierna produzione intellettuale sui temi del genere, della sessualità e delle politiche che li riguardano, altrettanto non possiamo dire di Guy Hocquenghem, Mario Mieli, Leo Bersani e Lee Edelman, i quattro cavalieri di questa apocalissi queer, i lavori dei quali vengono analizzati nell’opera di Bernini. Leggere la mancata ricezione delle teorie queer antisociali come un sintomo diventa un’occasione tanto per scoprire l’eredità di una componente specificamente gay maschile della letteratura queer, quanto per mettere a critica il presente a partire da ciò che nel presente non ha trovato spazio.
Per comprendere il tempo che abitiamo e le sue direzioni di sviluppo siamo soliti guardare altrove, a società che appaiono progredire lungo la via dei diritti più velocemente di noi, a luoghi in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso e le adozioni per le “famiglie arcobaleno” sembrano ormai inamovibili conquiste. Così facendo, pur con tutta la lentezza che ci caratterizza, abbiamo appreso che la strada su cui le minoranze sessuali si sono definitivamente avviate è quella dell’integrazione: è solo questione di tempo – pensiamo – e anche da noi ai gay e alle lesbiche sarà riconosciuto il diritto di essere mariti, mogli, genitori, ma soprattutto pienamente cittadini, esattamente come agli eterosessuali. Contemporaneamente assistiamo all’imporsi di una nuova figura sociale, che potremmo chiamare l’omosessuale edonista, creatura superficiale e consumista carica di vacuità, individuo completamente sussunto dall’imperativo di piacere tipico delle società post-repressive e post-patriarcali «dove la vita sfrenata dei locali gay non rappresenta altro se non il doppio osceno della conquista della rispettabilità dei gay nella civiltà edipica» (ivi, p 137). Bernini rintraccia i dispositivi che informano queste due soggettività andando ad analizzare due coppie concettuali, o meglio due concetti, piacere e futuro, che immediatamente chiamano in causa, come un’ombra, il loro rimosso, ovvero il godimento ed il presente.
La messa a tema del godimento e della relazione che intrattiene con il principio di piacere, porta l’accento su un sessuale capace di riappropriarsi della pulsione di morte come della sua specificità. A fronte di corpi che si riscattano nel piacere e di forze creatrici che inventano spazi di libertà – immagini topiche di un paradigma di ricerca lesbo-femminista di stampo foucaultiano – troviamo qui soggettività che si dissolvono, che si annichiliscono, corpi che godono nell'impotenza e nell'umiliazione. Particolarmente significativa e atta a rappresentare lo scarto che interviene tra queste diverse interpretazioni della sessualità, è la differenza tra la lettura che Foucault propone delle pratiche sadomasochistiche e la visione che invece ne fornisce Leo Bersani, per il quale le pratiche BDSM (Bondage e Disciplina, Dominazione e Sottomissione, Sadismo e Masochismo), lungi dal rappresentare la possibilità di inventare nuove relazioni e sessualizzare nuove parti del corpo, come vorrebbe Foucault, è piuttosto la riconferma della natura erotica del legame tra servo e padrone. Come sottolinea Bernini, in Bersani è centrale il concetto di masochismo, che nella sua declinazione gay maschile si esprime nell’estasi suicida del farsi donna lasciandosi penetrare da un altro uomo. «È forse il retto una tomba?», chiede provocatoriamente Bersani in un famoso articolo del 1987 (Is the Rectum a Grave?). Nelle teorie antisociali esso vuole essere una tomba: la tomba del soggetto egemone della politica liberale, del maschio bianco, eterosessuale, machista e omofobo, la tomba di un individuo edu-castrato (Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale, 1977) e già da sempre non-vivo, se non proprio morto, perché consumato dalla logica prestazionale che il suo ruolo di potere, in quanto maschio, gli impone.
Gordon e Jim assieme a Margot, madre di Gordon, San Diego, 1987, da gay.it
Gli strumenti della psicoanalisi aiutano Bernini a mettere a fuoco l'aspetto ambiguo e contraddittorio del godimento, che è una conseguenza dell’immaturità degli esseri umani alla nascita e del lungo tempo che è loro necessario per conquistare una relativa autonomia. Il neonato è in totale balia di chi esercita su di lui, o su di lei, il potere della cura – suscitando piaceri e dispiaceri intensi che sfuggono alla sua comprensione e si impiantano nel suo corpo come pulsione. Venire al mondo significa godere della propria esposizione all’altro, di un masochismo che ogni volta si riattiverà nella coazione a ripetere del sessuale. Nell’opera di Bersani la pulsione di morte è appunto metafora della struttura masochistica del soggetto sessuale. Ma tra i gay contemporanei la pulsione di morte sa anche farsi letterale nelle pratiche del sesso non protetto delle cosiddette comunità bareback (Tim Dean, Unlimited Intimacy: Reflection on the Subculture of Barebacking, Chicago 2009), composte di uomini che incontrano altri uomini con la deliberata intenzione di farsi infettare dal virus HIV, rimettendo in scena, in un cortocircuito temporale, il trauma che lo scoppio dell’epidemia di AIDS ha rappresentato per il mondo omosessuale.
Anche Bernini rivolge lo sguardo all’indietro, ma riconoscere la presenza della morte nella vita ha nel suo libro esiti differenti. Assieme alla crisi dell’AIDS, anche il crollo del muro di Berlino è per lui un evento fondamentale per comprendere la cesura tra i movimenti di liberazione omosessuale degli anni settanta e la nascita dei movimenti queer negli anni novanta. Il collasso del socialismo reale lascia fatalmente orfani dell’immaginario rivoluzionario ancora presente nei testi di autori quali Guy Hocquenghem e Mario Mieli e impone di interrogare la necessità di pensare la politica attraverso la categoria del futuro. Centrale a questo proposito è la ricostruzione del pensiero di Lee Edelman (No Future: Queer Theories and the Death Drive, 2004), per il quale l'impossibilità dell’omosessuale di aderire al “futurismo” programmatico della società edipica eterosessuale, simboleggiata dalla sua incapacità di avere figli, inscrive il soggetto gay in un tempo altro rispetto a quello del soggetto liberale.
Pinky e Diane assieme a due degli otto figli di Diane, Kenner, Louisiana, 1988, da gay.it
L’analisi della categoria politica di futuro, indagata genealogicamente da Bernini, conduce fino a Thomas Hobbes, il filosofo contrattualista del XVII secolo universalmente riconosciuto come fondatore del lessico politico moderno. Bernini mostra come lo Stato-Leviatano da lui teorizzato sia una macchina bio-politica del tempo, che disciplina la speranza in direzione del sacrificio di una generazione per la successiva che ne renderà il posto – di cui le attuali politiche di austerity europee sono un significativo esempio. Il patto sociale è, in fondo, un’ipoteca sul futuro che mortifica il presente sotto quello che Edelman definisce il vessillo fascista del volto del Bambino. Impossibile, con Bernini, non riconoscere in questo Bambino il feticcio che continuamente i movimenti Pro-life oppongono all’autodeterminazione procreativa delle donne, che le Sentinelle in Piedi utilizzano contro l’omogenitorialità, che Putin usa a discapito dei diritti delle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali/transgender, queer, intersex, asessuali) quando afferma che il suo compito è quello di «tutelare [...] le coppie che generano prole». Ad abitare il fantasmatico futuro è convocato soltanto l'individuo eterosessuale liberal-borghese (e il soggetto della rivoluzione che ne è il contraltare): i soggetti queer rimangono indietro, radicati in un presente da cui non possono – e forse non dovrebbero – scappare. Sottrarsi al matrimonio e alla genitorialità diventa allora un modo di rifiutare qui ed ora – senza attendere l’alba del sol dell’avvenire – lo stato di cose presenti, un modo per contrastare la riproduzione del soggetto edipico, crono e bio-politicamente disciplinato e, con esso, la relazionalità e la socialità che gli è propria. Edelman, “l'ultimo” degli antisociali, invita appunto i soggetti queer ad abbracciare il sintomo della propria esclusione, a morire già ora nel godimento, affinché all'omosessuale fuorilegge non tocchi di morire da omo-normato in futuro. Ma in Apocalissi queer non è a Edelman che spetta l’ultima parola.
Pur accogliendo e in parte sposando la critica delle teorie antisociali ad una soggettività gay che appare totalmente sussunta ed imbrigliata nelle maglie del neoliberalismo, Bernini è infatti capace di gettare lo sguardo non soltanto all’indietro ma anche al di là, smarcandosi da un eccesso di negatività che rischierebbe altrimenti di non lasciare nessuno spazio possibile all’azione. A metà del libro, coerentemente con la struttura concentrica dell'opera, si apre infatti una possibilità: l'apocalisse come ritorno in vita dei morti. Lo zombie, come il queer, – spiega l’autore – è un significante fluttuante che la cinematografia ha utilizzato per esprimere alternativamente paure e critiche sociali: il disgusto dei bianchi per la cultura dei neri, la rivolta dei neri e di tutti gli abietti nella società statunitense, l’ottundimento della società di massa e il risveglio della coscienze critica in tale società, il panico per l'epidemia di AIDS e la capacità di fare di quel trauma un’occasione di lotta politica. Bernini analizza in particolare la produzione cinematografica Zombie-hardcore del regista canadese Bruce LaBruce suggerendo la possibilità di una terza via tra l'assimilazionismo omo-borghese dei movimenti LGBT mainstream e l'edonismo dell’industria dell’intrattenimento gay: l'affacciarsi di una forma di vita altra dalla positività al tempo stesso narcisista e sacrificale della soggettività liberale, capace di accogliere in sé quella morte che è il godimento e di rivendicare non solo la negatività antisociale del sessuale ma anche la creatività relazionale che dall’attraversamento di tale negatività può scaturire.
Quando Otto, il giovane zombie protagonista dell’omonimo film di LaBruce (Otto; or, Up with Dead People, 2008) dopo una serie di disavventure decide di abbandonare la metropoli, non lo fa, come vorrebbe Edelman, per sancire la sua totale inassimilabilità alla socialità, ma coltivando la flebile speranza che un’altra socialità sia possibile: forse, a nord, dove il freddo conserverà meglio la sua carne, potrà incontrare altri come lui. Mentre s'incammina, un arcobaleno appare alle sue spalle. Con questa immagine, Bernini invita le sue lettrici e i suoi lettori a costruire un ponte che istituisca un paradossale contatto tra antisocialità queer ed etica femminista della relazione. Ad accogliere la sfida delle teorie queer all'essenzialismo senza perdere la consapevolezza delle specificità delle minoranze sessuali. A praticare altre politiche, altre comunità, senza aspirare alla totalità di un leviatanico Sociale. Negli spazi interstiziali delle Apocalissi queer da quella tomba che è il culo è possibile risorgere.