Speciale
Sono sempre gli uomini a spostarsi per amore
Di solito ci si incontra per l’“Ottaviana” verso le 8.30 del mattino davanti al garage di Leonardo, a un passo dalla metropolitana San Babila.
Lʼ“Ottaviana” è un percorso di 50 km esatti, quasi tutti nella campagna a sud della città, bellissimo ad ogni ora del giorno così come ad ogni stagione. La si fa spessissimo, a volte anche due volte a settimana, come “sciogligambe” per i giri più lunghi fatti la domenica.
Questa mattina abbiamo anticipato di unʼora. Meglio così, perché io ero già sveglio dalle 5.00 del mattino a causa del caldo con le tapparelle leggermente socchiuse, le finestre aperte su tutti i lati della casa per fare un po' di corrente.
I sali minerali nelle borracce, una barretta nella tasca posteriore della maglia, la bicicletta alzata in verticale dentro lʼascensore che scende dal sesto mentre le borracce sgocciolano, “arrivederci” allʼAntonietta, la portinaia, e via verso corso Venezia: via Petrella 9 angolo Tadino – Piazzale Oberdan è un km esatto. Mi piace molto, ogni volta che salgo sulla mia bicicletta da corsa, verificare questa distanza. Fino ad ora è sempre rimasta la stessa.
Salutiamo Vanni, anche lui appena arrivato in bicicletta per aprire il negozio di fiori in corso Venezia, ritorniamo allʼangolo con la circonvallazione interna e, incanalati nella corsia dei taxi, in fila indiana lungo Via Umberto Visconti di Modrone, poi Francesco Sforza, Santa Sofia, Molino delle Armi, arriviamo, con un bel braccio teso allʼinfuori, al solito punto in cui si deve svoltare a sinistra, poco prima di Piazza della Vetra. Vettabbia, Calatafimi, Giovanni Aurispa, Sambuco, 24 Maggio, Gorizia, angolo con l’Osteria del Pallone, si svolta a sinistra e finalmente è lʼAlzaia Naviglio Grande che poi diventa Alzaia Trento, Alzaia Trieste fino ad incontrare a Rozzano Salvatore Quasimodo e via ancora, di solito affiancati due a due con i rapporti agili (34 x 16), fino al ponticello che cʼè da “scollinare” per immettersi nellʼunico punto veramente brutto, un breve tratto della SS494 prima di buttarsi, sempre con un gran braccio teso a sinistra e sempre in fila indiana, nella prima stradina di campagna.
Ecco che allora allʼimprovviso tutta la città resta alle spalle, come bloccata dalle larghe mani di un grandissimo e immobile guardiano del paesaggio. La città resta dove deve rimanere e noi sorpassiamo quella soglia perché quel guardiano ormai ci conosce bene. La piccola statale, da lì in poi, è una linea precisa e ondulata messa in evidenza su entrambi i lati da verdissimi campi di riso; fino a dieci giorni fa erano specchi dʼacqua dai quali spiccavano il volo i grandi aironi cenerini che sempre somigliano alle fotografie di National Geographic nel preciso istante dello stacco dal suolo o della presa di un piccolo verme fino a planare, radenti lʼacqua, lontani dal nostro sguardo. “Antonio occhio ai ʻdirittiʼ quando metti le foto degli aironi che spiccano il volo con un verme appeso al becco”, mi dice il Biondi commentando il mio ultimo post nel nostro blog dei Ciclisti Lombardi Anonimi (Clan).
Al cartello Noviglio, leggermente inclinato davanti a una cascina, oggi decidiamo di
svoltare a destra e variare leggermente il percorso per raggiungere poco dopo Binasco
dove, come di consueto, si consuma la brioche alle uvette e il caffè di fronte al
fruttivendolo. Si appoggiano le biciclette – mai più di quattro – ai pilastri dei portici che danno sulla piazzetta col Castello, si commentano le frasi degli anziani seduti, si fa una breve sosta al negozio di biciclette di Massimo e consorte e poi ci si rimmette sullʼAlzaia Naviglio Pavese direzione Milano.
Giandomenico oggi vuole pedalare un po’ allegro ed io gli sto dietro, Leonardo invece rallenta per aspettare Giuseppe che è la prima volta che esce in bicicletta dopo un lungo periodo di letargo. Ecco che anche oggi, prima di scattare come forsennati per lo stacco finale, incontriamo uno strano ciclista con il quale scambiamo due rapide parole ad un incrocio. Accompagna con il braccio una muscolosa ma scassatissima mountain bike alle quale è legata una grande borsa termica, di quelle rigide di plastica dura, tenuta salda al sellino da una ruota di scorta e una grossa pompa. Dei lacci elastici stringono stretto un grosso libro: Mani Pulite. La vera storia, ventʼanni dopo. Barbacetto- Gomez-Travaglio.
“Dove sta andando?” gli domando rallentando.
“Da Certosa verso Milano. Tutti i giorni. Avanti e indietro. I vestiti di ricambio li tengo dentro la borsa termica. Sono sempre gli uomini che si spostano per amore.”
“Arrivederci allora e buona bicicletta. Ma lei è toscano?” gli chiedo alzandomi sui pedali.
“Sì, sondifireeeenze”.
Facciamo lʼ“Ottaviana” in ogni stagione ma forse la preferiamo con lʼarrivo dellʼinverno e delle prime nebbie, quando indossiamo le maglie di lana, il fiato e il sudore vaporizzato si mischiano con i fumi del letame fuori delle cascine, i canali sono coperti da un sottile strato di ghiaccio e quella vaga ma autoctona promiscuità inquinata è così naturale, così tipica delle campagne che circondano Milano...
Si chiama “Ottaviana” il nostro percorso perché Ottaviano, che oggi non cʼera, una volta ce lʼha suggerita in alternativa ad un altro tragitto sempre della famiglia delle risaie: “Due ore di bici, dal primo colpo di pedale alla doccia”.
Ci si manda un messaggio la sera prima: “Domani “Ottaviana”? 8.30 da me”.
E allora via Petrella 9 – Piazzale Oberdan, lungo tutta Via Tadino, sono sempre un km esatto.
“Ma Leo, non è il contrario? Non sono sempre le donne a spostarsi per amore?”.