Vonnegut: cari studenti, non sta a voi salvare il mondo
Kurt Vonnegut l’Università di Yale non era mai andata a genio. E non perché facesse parte dell’elitaria e rarefatta congrega degli otto più prestigiosi atenei privati degli Stati Uniti – quelli appartenenti alla cosiddetta Ivy League, la Lega dell’Edera – la cui stratosferica retta di circa 80mila dollari l’anno la rende, a dir poco, economicamente selettiva. No, all’autore del celeberrimo Mattatoio n. 5 non andava a genio che l’America fosse governata da una manciata di «C minus students from Yale», come Vonnegut chiamava quegli studenti che vi si erano laureati con una media corrispondente, più o meno, al nostro sei e mezzo (C minus, appunto), ma soprattutto che fra costoro ci fossero i due “fraterni” candidati alle elezioni presidenziali del 2004: il detestato repubblicano George W. Bush, ma anche l’apparentemente progressista democratico John F. Kerry (che si scoprirà, con sorpresa, essersi laureato addirittura con un punteggio finale inferiore a quello dell’avversario: 76 contro 77).
Anche se, più che “fraterni”, Vonnegut definiva i due multimilionari: «gemelli virtuali», in quanto entrambi membri dell’esclusiva Skull and Bones, la più antica e riservata tra le confraternite universitarie a stelle e strisce, in pratica una sorta di associazione esotericamente goliardica (contraddizione in termini, ma tant’è) detentrice, vox populi, di Grandi Segreti che, secondo The Atlantic Monthly, sono giustamente segreti perché se rivelati risulterebbero «essenzialmente banali». Insomma, faceva tristemente notare Vonnegut, al di là di chi avrebbe vinto le elezioni, gli Stati Uniti avrebbero avuto non solo un “esoterico” Presidente Skull and Bones, ma anche un Comandante-in-capo da sei e mezzo. Auguri.
Ovvio che Kurt Vonnegut non avrebbe mai accettato di pronunciare un Commencement speech a Yale, uno di quei discorsi che personalità del mondo della cultura, dell’industria, della politica, ma anche dello sport, vengono invitate a tenere alla fine dei corsi di laurea in, più o meno, tutte le università e college americani, in concomitanza della consegna dei diplomi. Un’attività oratoria da non confondere con quella, più istituzionale, dell’apertura dell’anno accademico, perché da queste parti il termine “Commencement” si intende come un nuovo inizio, una nuova vita fuori dalla bambagia dell’accademia, dai bagordi delle confraternite e l’impatto con il mondo reale. Dirà Vonnegut: «Voi laureandi adesso state per lasciare una famiglia estesa artificiale. Anche se non vi ci siete trovati bene, scoprirete che la famiglia nucleare è un pessimo sostituto di quello che avevate qui dentro. Quanto a noi che siamo venuti a congratularci per la vostra laurea: siamo qui per sfuggire alla solitudine, per sentirci parte di una famiglia estesa artificiale, almeno per un pochino. Pensavamo di poter fare a meno di clan e tribù. Be’, non è vero».
Un Groucho Marx della contro-controcultura
A far diventare Kurt Vonnegut uno dei più amati e richiesti oratori di Commencement speech sarà, nel 1969, la pubblicazione di Mattatoio n. 5, discorsi che sono oggi raccolti in un volume dal titolo Quando siete felici fateci caso (editore Bompiani, a cura di Dan Wakefield, traduzione di Martina Testa e Assunta Martinese). Con sua grande sorpresa e cruccio, ricorda Wakefield, Vonnegut fu acclamato come “portavoce” delle giovani generazioni e eroe della controcultura degli anni sessanta, benché, paradossalmente, avesse ben poco a che fare con quel mondo, e la sua satira rarefatta, pungente, piena di citazioni, rimandi neanche tanto sotterranei, scarti logici improvvisi, carica di “pessimismo della ragione” («Forse il pessimismo è la strada giusta»), di battute feroci («Sapete come mai Bush ce l’aveva tanto con gli arabi? Perché hanno inventato l’algebra») facesse di lui piuttosto un Groucho Marx della contro-controcultura che, in anticipo di quasi trent’anni sullo slogan ideato nel 1997 dalla Apple (il celebre “Think different”), invitava gli studenti a pensare con la propria testa, a diffidare di coloro che li invitavano pomposamente a salvare il mondo. «Non sta a voi. Non avete i soldi e il potere. Non avete quell’aria di solenne maturità», disse ai laureati del Bennington College, nel giugno del 1970. «Non sapete nemmeno usare la dinamite. Sta a persone più grandi di voi salvare il mondo. Voi potete dargli una mano. Non caricatevi sulle spalle il mondo intero. Fate una certa dose di baldoria, come si conviene alla gente della vostra età».
Una sorta di anteprima del toccante discorso tenuto da Steve Jobs ai laureati della classe del 2005, all’Università di Stanford in cui il guru della Apple lanciava l’ormai celebre invito Stay hungry. Stay foolish.
Ricordatevi di pagare il parcheggio
Certo, non si può dire che i discorsi di Kurt Vonnegut fossero proprio “politicamente corretti”, ma gli studenti di allora, ancora non inquinati dalle varie parole d’ordine e atteggiamenti un filo squadristici che circolano oggigiorno negli atenei americani e non solo, lo adoravano e i rettori, pure con qualche patema d’animo per le sue note “simpatie di sinistra”, finivano per invitarlo. Probabilmente oggi certe sue uscite non sarebbero tollerate per la loro talvolta scatenata franchezza, ma, visto l’uomo, a questa obiezione è facile immaginare una sua sonora risposta del tipo: «chi se ne frega».
Al discorso tenuto al Fredonia College, Vonnegut informava, per esempio, gli studenti che il rettore lo aveva pregato di eliminare, possibilmente, ogni forma di pensiero negativo dal suo discorso e, già che c’era, gli aveva chiesto di fare un annuncio: «Tutti quelli che hanno ancora in sospeso il pagamento del parcheggio sono pregati di saldare il conto prima di uscire da questo edificio, altrimenti si ritroveranno una sorpresina sul libretto».
Più volte Vonnegut aveva fatto sue le parole di uno scrittore d’inizio secolo, tale Kin Hubbard, secondo il quale: «tutte le cose fondamentali da sapere andavano spalmate sui quattro anni, non conservate per un un unico pippone alla fine», ma visto che ormai si trovava lì, «questo è quello che avrete da me: le cose veramente importanti alla fine». E, come se volesse giustificarsi, spiegava che, probabilmente, era lui ad essere fuori luogo, e aggiungeva: «Io sono un antenato. Vengo da un’epoca più semplice. Quando ero piccolo, l’unica cosa che andava detta in un discorso ai laureandi era: “Va’ ad ammazzare Hitler, giovanotto. E poi sposati e fai un sacco di figli”».
Come si comincia un discorso ai laureandi
L’arte oratoria ha le sue regole. Negli Stati Uniti, sia che il relatore sia un venditore di auto usate o il Presidente degli Stati Uniti, la formula è una e una soltanto: «Se mai doveste trovarvi a tenere un discorso, cominciate con una battuta, se ne sapete una», ricordava Vonnegut, «io sono anni che cerco la battuta più bella del mondo. Credo di averla trovata. Adesso ve la dico, però dovete aiutarmi. Dovete dire: “No” quando alzo la mano, così. D’accordo? Mi raccomando. Dunque, sapete perché la panna è tanto più costosa del latte? [Pubblico: No!]. Perché le mucche odiano accucciarsi su quei cartoni così minuscoli» [Risate scroscianti]. Poi raccontò che la stessa freddura l’aveva usata in un discorso scritto per il vice presidente della General Electric all’epoca in cui lavorava per quell’azienda. Il fatto era che il tizio la battuta non la conosceva e a quel punto: «ha cominciato a ridere e non è più riuscito a smettere e hanno dovuto portarlo via perché gli sanguinava il naso. Il giorno dopo mi hanno licenziato».
Il discorso più divertente? Quello mai pronunciato
Ma il più divertente e forse conosciuto Commencement speech di Kurt Vonnegut è un discorso che lo scrittore non ha mai pronunciato né scritto, che, a quanto si legge in rete, avrebbe tenuto al MIT nel 1997, divenuto virale per il suo attacco: «Se dovessi darvi un solo suggerimento per il futuro sarebbe: spalmatevi di crema solare». Il testo, dal titolo Wear sunscreen, era opera della giornalista premio Pulitzer Mary Schmich, che lo aveva pubblicato nella sua rubrica sul Chicago Tribune: si trattava, in pratica, del discorso di commiato che avrebbe voluto tenere in un’ipotetica cerimonia per giovani laureati (un’attività giornalistica piuttosto comune da quelle parti: Woody Allen ne aveva scritto, per esempio, uno, famoso, pubblicato dal New York Times). Fatto sta che il saggio della Schmich prese a girare su internet e attribuito, probabilmente per burla, a Vonnegut, ma come tutto ciò che finisce in rete, lì resta fino alla fine dei tempi. Da parte sua lo scrittore, interpellato dalla stampa, ebbe a dire che sarebbe stato orgoglioso di avere scritto lui quelle parole che invitavano gli studenti a lavarsi i denti, a cantare, a non perdere tempo con l’invidia, a conservare tutte le vecchie lettere d’amore e buttare i vecchi estratti conto, a non leggere le riviste di bellezza perché fanno solo sentire orrendi. Ma soprattutto invitava a fidarsi del suggerimento sull’uso della crema solare.
Nobel, libri e Harley Davidson
Per essere pronto a qualsiasi evenienza, compresa la possibilità di ricevere il Premio Nobel, Vonnegut ricordava, in un discorso, di essere stato boy-scout. «Il motto dei boy-scout è: “sii preparato”. Quindi, molti anni fa, scrissi un discorso da leggere nel caso avessi vinto il Nobel per la letteratura. Era lungo solo otto parole. Mi sa tanto che vale pronunciarlo ora. Ora o mai più, come si suol dire. Eccolo: “Mi avete reso un uomo molto, molto vecchio”».
In uno dei suoi ultimi Commencement speech, Vonnegut, parlando di cultura e conoscenza, invitava le allieve dell’Agnes Scott College a non abbandonare mai gli amati libri. «È così piacevole tenerli in mano. Anche un cervello da quattro soldi sa che i libri ci fanno bene. E non cercate di crearvi una famiglia allargata fatta di fantasmi trovati su internet. Piuttosto compratevi una Harley e entrate negli Hell’s Angels».