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Fossano / Paesi e città
Se nasci e vivi in uno stesso luogo finisci per ignorarne la storia, le vicende più rilevanti storicamente o artisticamente. Il tuo sguardo è abituato dagli anni e dalla quotidianità a quelle mura, a quegli angoli, che sono quasi parte di te. Questo per me è Fossano, luogo in cui sono nato e vissuto tutta la vita. Fossano è al centro della provincia di Cuneo (facciamo presto a scriverlo prima che la provincia possa scomparire), quasi in verticale sotto Torino, nel basso Piemonte.
Fossano ha il centro su un altipiano che si affaccia sulla pianura verso ovest, diciamo verso il Monviso per intenderci. Il centro storico si vede bene nell’incisione del fossanese Giovenale Boetto del 1662 contenuta nel Theatrum Sabaudiae et Pedemontii, alla cui stesura collaborò attivamente. La città era nata intorno al 1236 sull’altopiano per ragioni di difesa dalla fusione di borghi contadini dai nomi evocativi: Romanisio, Villamirana, Lavodisio, Cervaria, difficili da difendere nella pianura. È caratteristico il castello degli Acaja, di forma quadrata con quattro torri ai vertici, da notare che le due torri orientali, rivolte verso la pianura, sono leggermente più basse, rispetto alle occidentali che dovevano controllare l’incassata valle dello Stura alle loro spalle. Il centro storico ha una forma quadrata a cui sia stato rosicchiato un angolo per seguire l’alveo dello Stura.
Fossano è anche un crocevia, quello dell’asse centrale, via Roma che andava dalla porta Nord a quella Sud e perpendicolare ad esso via Cavour che porta al castello e via Garibaldi in direzione opposta. Quel crocevia è contornato dalla Cattedrale (da noi detta Duomo), con a fianco la Torre Civica, e vicino la sede della Cassa di Risparmio di Fossano (già palazzo del Comandante) e di fronte dal Municipio. Via Roma è il cuore commerciale di Fossano, “andare in via Roma” è infatti sinonimo di uscire a fare commissioni, lì sono presenti: tre farmacie, tre tabaccherie, diversi uffici pubblici, due bar storici e altri nuovi ed ora il regno del franchising. Si sono invece estinti i caratteristici negozi vetusti che profumavano di secolo passato. All’estremo Sud, la porta e le mura sono scomparse, ora c’è una piazzetta con una discesa verso destra che conduce alla parte bassa della città detta il Borgo, o ‘l Borg. Prima di scendere sulla destra la Chiesa barocca della Santissima Trinità (opera di Francesco Gallo), incorporata nel massiccio edificio dell’Ospedale, ben visibile arrivando a Fossano da Mondovì. Nell’edificio dell’ospedale visse la famiglia di mio padre fino alla II Guerra Mondiale. Lì mio padre aiutò un amico medico nel tentativo disperato di salvare la vita ad un amico, partigiano improvvisato, durante le terribili giornate della ritirata tedesca.
All’altro estremo di via Roma, ove risiedeva la porta Nord, un bastione divenuto poi Dehor nel diciannovesimo secolo con bar e pista da ballo estiva. Il bastione sarebbe dovuto essere abbattuto negli anni ‘70, ma le polemiche e la saggezza popolare lo hanno risparmiato, lo scorso anno sono stati portati alla luce i resti delle mura raffigurate dal Boetto nella parte bassa a destra, fino all’angolo che ritorna verso il Castello.
Attorno a via Roma molti edifici sono antichi (palazzo dei baroni Daviso di Charvensod, il Vescovado, palazzo Santa Giulia, palazzo Thesauro, palazzo Riccaldone, etc.), ora ristrutturati, ridipinti e anche le vie lastricate in porfido. Se guardate la cartolina degli anni ‘30 vedete l’inizio di via Roma da Sud, potete osservare la doppia lastricatura per senso di marcia per agevolare il passaggio dei carri. A destra appoggiato alla ringhiera mio padre con i calzoni corti e la camicia bianca dal colletto largo, ha le gambe unite, immagino per reggersi senza il bastone essendo affetto dai postumi di poliomielite, accanto a lui in abito lungo mia nonna vissuta fino a 97 anni, senza mai essere stata ricoverata in ospedale, austera, temuta nei giudizi dalle sorelle. Sono davanti alla cartoleria che mio nonno aprì e gestì mia nonna dopo la sua morte improvvisa fino a metà degli anni ‘50. I due lati di via Roma sono contornati da portici per tutta la loro lunghezza dove i fossanesi passeggiano. Se all’altezza della Cattedrale girate a destra, sempre sotto i portici, dopo un isolato vedete un negozio chiuso da vecchie imposte di legno, era un’antica drogheria, aperta da mio nonno a inizio ‘900, lo vedete seduto con un giornale in mano.
Una seconda parte del centro storico è quella verso il fiume, si chiama Borgo Vecchio, o ‘l Borgôè, qui vivevano gli artigiani e i pescatori. Le case sono meno imponenti di quelle intorno a via Roma e verso il fiume, ora il lato più pregiato, non avevano nessuna finestra, infatti dal fiume arrivavano i miasmi della canapa messa a macerare e quindi era una zona malsana. L’acqua del fiume è sempre stata preziosa e favorì a Fossano la prima industrializzazione che dall’acqua traeva la forza. Inoltre erano presenti almeno quattro fonti usate come lavatoio: la Palocca, la Sangiorgia, la Rocheisa e non ricordo l’ultima. Se oggi sono sparite, l’eco resta forse nell’etimologia del nome della città derivata da “fons sana”, ma secondo altri invece da “foxatus” per indicare un fosso che la cingeva.
Già sede vescovile fin dal XIV secolo, nel solo centro storico sono presenti svariate chiese e campanili: la Cattedrale, le tre chiese delle confraternite dei Battuti: i Rossi nella già citata chiesa della S.Trinità, i Bianchi, nella chiesa del Gonfalone ed i Neri, nella chiesa di S.Agostino, ristrutturata con l’adiacente Palazzo Righini ora albergo e ristorante. Un’altra chiesa di valore è la barocca San Filippo, la chiesa del monastero delle benedettine, la chiesa di San Giorgio e di San Giovanni (ora un magazzino). Di S.Francesco resta solo un lato in piazza XXVII Marzo 1861, detta piazza delle Uova. Infine, l’antica chiesa del Salice, ora inagibile, è adiacente al carcere, ancora in uso e famoso per alcune fughe roccambolesche negli anni della mia infanzia.
Se dalla Cattedrale si va in piazza Castello, non ci si rende conto che fino al secondo dopoguerra, il Castello era attorniato dall’edificio di una caserma di cavalleria, poi abbandonata ed adibita a scuola. Fortunatamente la caserma fu abbattuta per restituire il Castello alla sua forma originaria e dagli scavi fu portato alla luce parte del fossato che lo circondava. Merito del sindaco Manfredi aver promosso l’uso del Castello come Biblioteca Civica per salvarlo dall’incuria e farlo diventare centro culturale. È possibile visitarlo godendo della vista dalle torri e percorrere il giro di guardia. Quella non era l’unica caserma in Fossano, ne esistevano almeno altre due nella città. I tempi sono cambiati e le caserme sono state adibite ad altri usi o abbattute. Rimangono ancora le due grandi lungo la statale per Cuneo, la prima è di addestramento degli allievi carabinieri e la seconda una volta era legata agli Alpini, ora alla Fanteria.
Fossano negli anni si è allargata prima nella parte bassa, il Borgo, dall’800 e poi durante il fascismo nella zona verso Bra e l’espansione continua ancora oggi.
Concludo questa piccolo tour con due poesie, la prima di Bernardo Garneri (poeta fossanese di fine ‘800 detto BRUT E BÔN) tratta da Balôssade Neuve e Fruste, dal titolo “LE PERE ‘D FOSSAN!...” (le pietre di Fossano), la seconda è l’inno carnevalesco di Fossano: “I MÔNARCA”, ideata e musicata da un mio lontano parente, il cavalier Giovanni Giovenale Ballatore, insegnante, accordatore di pianoforti e proto-scienziato ottocentesco, ad esempio costruì un osservatorio astronomico attivo fino al secondo dopo-guerra. Infine un sonetto di Torquato Tasso cita l’arrivo del Duca di Sessa durante la guerra contro i francesi di metà ‘500.
LE PERE ‘D FOSSAN!...
A la bônta ‘d sôr Sindic...
Fôssan, - a venta dilô, - i l’ai trôvalô
Pì bel, pì signôril, pì bin rangià
Che lon ch’a fussa qôand i l’ai lassalô
Vintesinc ani fà. -
Però j è ‘ncôra certi sciapalot,
Certe strà fora man, certi pôrtiet
Ch’a ‘v ruvinô la sola d’ii garet
A forssa ‘d bric e ciot...
E certe pere, cribiô, certe pere
Dure, gôregne côma bosc ‘d fôrca!...
Prôvè a baleje ‘nssima na massôrca,
E ii canti ‘l Miserere!...
Ah che pere, - sôr Sindic, - ah che roc!...
Ma j elô nen manera d’arangeie?
Ch’ai penssa, - per piasì, - ch’ai penssa ‘n poc...
Fussa ‘n pò... rimbôreje?!...
I MÔNARCA
Largo: i sôma i gran Mônarca
Sôma côi dël rabadan;
Viva côi ch’a menô la barca
Viva nôi, viva Fôssan!
Sôma busse ‘n po’ ‘d barbera
Côn na grossa d’agnôlot;
E poi soma vnu ‘n ‘s la fera
Per cômpresse dii subiot.
L’ôma veuja ‘d fè ‘d tapage
Mentre sôma ‘d carlevè;
Sôma sì, arme e bagage
Per fè festa e per criè.
Largô: i sôma i gran Mônarca ...
Sôma stait al bal ‘d la Grela
Sôma stait al giù al Borgôè,
E ‘n pagand nostra gabela
I’ôma sì la crôs ‘d papè.
Per tre dì vôrôma rie,
Per tre dì beive e mangié,
Debit... mai... malincônie
Mandè al diaô, e poi cantè.
Largô: i sôma i gran Mônarca ...
Dal Rôcheis e la Palôca
E dal Sals al Rômanis
I’ôrdinuma che una ciôca
General cheurva ‘l pais.
Dal ciochè ‘d le quôatr sfere
Qôindi tuti a prôclamran,
Côn ‘na vôs da sciapè ‘l pere,
Côn ‘d sciôpatade ‘d man:
Largô: i sôma i gran Mônarca ...
I Mônarca ch’a durmiô
L’han durmì bastanssa ‘n pess,
A lè l’ôra ch’a ‘s desviô
A lè ‘s secôl del prôgres.
‘D nostr Fôssan vôrôma fene
Un bisô, un pcit Turin,
Ma ‘v pregôma d’agiutene
A criè seira e matin:
Largô: i sôma i gran Mônarca ...
Rifarôma, prôpônrôma
Tante cose ch’a van bin,
Lon ch’a l’è vei rimôdernrôma
Senssa fè dii carôssin.
Club, teatrô, opere pie,
Bibliôteche, ‘d foi papì,
D’istrussiôn, ‘d filantrôpie
Per ch’i peussô sempre dì:
Largo: i sôma i gran Mônarca
Sôma côi dël rabadan;
Viva côi ch’a menô la barca
Viva nôi, viva Fôssan!
UN SONETTO DI TORQUATO TASSO
Poiché spiegaste il glorioso piede
per l’arme dè l’invitto avolo vostro
Consalvo Magno, a cui cia avete mostro
d’esser vero nipote e degno erede;
Quanti i bei passi far, tante vi diede
vittorie illustri il Re supremo nostro
onde sormonta or nell’empireo chiostro
di Sessa il nome, sì ch’ogni altro cede,
Da voi Cuneo e Fossan d’assedio tolto,
presso Centallo inespugnabil forte,
Moncalvo e rocche inaccessibil tante,
che ben potete dir con lieto volto,
giunto ad alto valor benigna sorte,
qui venni e vidi e vinsi in un istante.
Le poesie sono scritte in piemontese, ma la grafia è quella originale e non segue le norme successive, ad esempio della “Compania dij Brandè” e della Gramàtica piemontèisa. Al bisogno potete consultare le risorse online suggerite dalla pagina di Wikipedia alla voce “lingua piemontese”.