Perché Brexit?
Come si deduce dal suo inizio, questo articolo è stato scritto nel pomeriggio quando i sondaggi davano lo stesso margine percentuale a favore del Remain che poi è stato, invece, ribaltato dai risultati effettivi. Tuttavia lo lasciamo senza correzioni perché l’analisi e la previsione delle conseguenze negative sono puntualmente confermati da quanto sta accadendo in queste ultime ore.
Mentre scriviamo queste righe il rischio di Brexit è probabilmente svanito. Il rischio è stato alto per due motivi: il primo è antico, il secondo è moderno.
1. L’Unione europea è una costruzione di politici francesi, italiani, tedeschi: Monnet, Spinelli, Schuman, Adenauer, per citarne solo alcuni. La giustificazione principale è stata la volontà di evitare le guerre. Nel Novecento i paesi europei si sono massacrati per un decennio nelle due guerre mondiali (in realtà i massacri sono stati una costante anche prima, se si pensa alla Guerra dei Trenta Anni nel Seicento e alla Guerra dei Sette Anni nel Settecento). Le guerre europee hanno avuto orrende origini culturali – la volontà di predominio di una nazione sulle altre – ma spesso hanno avuto una causa economica: i paesi cercavano mercati di sbocco per le produzioni nazionali. Quando un paese non riusciva a esportare i propri beni – perché gli altri paesi lo impedivano attraverso l’imposizione di divieti e dazi – il primo paese decideva di conquistare militarmente le altre nazioni. Molti sostengono che anche all’origine dell’unificazione italiana non ci siano stati solo motivi ideali. In realtà i Savoia volevano conquistare il Regno delle Due Sicilie per creare un mercato interno dove poter vendere i propri beni: fino al 1861 i Borboni avevano relazioni commerciali privilegiate con il Regno Unito, non con gli altri Stati che sarebbero confluiti nel Regno d’Italia.
I padri fondatori dell’Europa – riprendendo tesi risalenti già all’inizio del Novecento – hanno proposto l’Unione, uno spazio geografico fondato sulla libera circolazione di beni, servizi, capitali e lavoro. L’obiettivo finale è l’Unione politica, una federazione degli Stati europei, da raggiungere attraverso passi intermedi, come la libera circolazione, raggiunta intorno al 1990, e la creazione dell’area dell’euro, avvenuta nel 1999.
Questa motivazione ideale della costruzione europea, soprattutto l’obiettivo dell’Unione politica, è stata sempre assente nel Regno Unito. Gli inglesi hanno una lettura diversa delle guerre europee. Le guerre sono scoppiate perché delle dittature – la Francia di Napoleone, la Germania di Hitler – hanno attaccato altri paesi. Il Regno Unito si è sempre difeso con successo. Gli inglesi ricordano con ironia che l’ultimo esercito straniero entrato nel loro territorio è stato quello normanno, guidato da Guglielmo il Conquistatore nel 1066. Non c’è bisogno della Federazione europea per assicurare la pace in Gran Bretagna.
Il Regno Unito entrò nella Comunità europea solo nel 1975, condividendo il primo obiettivo delle nazioni che avevano firmato il Trattato di Roma nel 1957: la creazione di un’area di libero scambio. In fondo hanno ragione Napoleone e Mussolini: gli inglesi sono un popolo di commercianti e vedono l’Europa come un mercato. Per importare ed esportare beni e servizi in Europa non c’è bisogno di una moneta unica né della prospettiva dell’Unione politica. Gli inglesi non credono a un’integrazione europea, perché vedono negli accordi raggiunti a Bruxelles un predominio della Germania, o un compromesso tra Germania e Francia, non un accordo raggiunto nell’interesse di tutti i paesi. Per gli inglesi Bruxelles è solo una città di burocrati.
2) Al tradizionale scetticismo degli inglesi verso l’Europa si sono aggiunti gli effetti della crisi e le paure dell’immigrazione. Il Regno Unito si è ripreso dalla crisi finanziaria globale meglio di altri paesi europei. Però la distribuzione del reddito è diventata, dagli anni Ottanta del Novecento, sempre più diseguale, molto più che in Italia; la globalizzazione ha beneficiato solo le classi più ricche; la classe media è in difficoltà; da ultimo è arrivata l’ondata degli immigrati. È aumentata la contrapposizione tra una Londra ricca e aperta al mondo e le aree locali, più povere e chiuse. Si sono diffuse paure. Nel Novecento il Regno Unito aveva avuto una destra debole, molto più debole di quelle di Germania, Italia e Francia. Questa anomalia inglese è sparita negli ultimi anni, perché è cresciuto lo United Kingdom Independence Party (UKIP), il partito di Nigel Farage, che ha raggiunto il 12% dei voti alle elezioni politiche del 2015, dopo aver superato il 27% alle Europee del 2014. I sostenitori della Brexit hanno individuato l’Unione europea come l’origine di tutti i mali. È un’analisi sbagliata, ma si è diffusa velocemente, insieme alla polemica contro le elite europee, contro le tecnocrazie.
Brexit avrebbe avuto conseguenze di breve e di lungo periodo. Nei primi giorni banche e altri intermediari avrebbero potuto reagire aumentando la preferenza verso la liquidità, vendendo titoli pubblici e così allargando gli spread, con possibili conseguenze negative per i titoli italiani; la Borsa inglese sarebbe potuta cadere, contagiando anche le Borse di altri paesi; la sterlina si sarebbe svalutata nei confronti dell’euro, arrivando alla parità. Nel lungo periodo gli investimenti nel Regno Unito sarebbero caduti; la disoccupazione sarebbe cresciuta, perché alcune grandi banche avevano annunciato licenziamenti; le banche internazionali forse si sarebbero spostate a Francoforte o a Milano, per godere dei vantaggi dell’insediamento in un paese dell’Unione europea; il PIL inglese si sarebbe contratto.
Le conseguenze di lungo periodo più importanti sono quelle politiche. La Brexit indebolisce il progetto della casa europea; altri paesi potrebbero comunque decidere di indire referendum o di cercare di strappare condizioni vantaggiose per restare nell’Unione, come già fatto dal Regno Unito all’inizio del 2016.
È probabile che Brexit abbia perso, ma la frattura tra Gran Bretagna e Unione europea c’è comunque stata. Culturalmente, l’Unione europea è più povera senza il Regno Unito, o con un Regno Unito defilato, perché manca un contro-altare a Germania e Francia, soprattutto sulle questioni della libertà, della concorrenza dei mercati, dell’innovazione, del dinamismo.