Berlusconi. Quel che resta del corpo del capo
Cosa resta del corpo del Capo nel videomessaggio, nell’ultimo appello del 18 settembre ai tifosi e agli elettori? Poco. Il viso sembra privo di intensità, sotto lo spesso strato di cerone, la mimica facciale quasi assente: non riesce a tenere dietro ai toni di voce, ai passaggi più forti ed emotivi del discorso. Opaca è tutta la fronte e la testa nella parte alta. Anche il tronco, imbustato dentro il doppiopetto blu di antica memoria democristiana, non produce nessun effetto mimico. Rimane congelato, statuario: un manichino. Così appare nel mezzobusto che emerge da dietro la bianca scrivania, vuota, salvo il testo del discorso, che però legge dal gobbo, vicino alla telecamera, la penna, e un misterioso libro, di cui si scorge alla sua destra solo la costa azzurra (un tocco intellettuale mentre la libreria dietro è inespressiva come lui).
L’espressività è ora tutta demandata alle mani, che commentano i punti salienti del discorso. Le tiene appoggiate sul sottomano di cuoio, che afferra a tratti per manifestare intensità, e su cui le cala di momento in momento per dimostrare forza, concentrazione e soprattutto determinazione, in modo insistito, anche troppo. Usa le mani, e soprattutto l’indice. Come il suo ex-rivale, e cofondatore di Forza Italia, Gianfranco Fini, che nell’aprile del 2010 l’aveva affrontato in piedi tendendo l’indice contro di lui (“Che fai, mi cacci?”). Ora anche Berlusconi utilizza quel dito.
Lo punta verso i telespettatori, come nel celebre manifesto di arruolamento americano, “I want you”, disegnato nel 1917 da James Montgomery Flagg. Come fa notare Claudio Franzoni in Da capo a piedi (Guanda) si tratta di un gesto sdoganato piuttosto di recente, nonostante il celebre invito della U.S. Army, almeno nell’uso corrente, per quanto i leader politici del passato, Adenauer in primis, lo usavano spesso. Si tratta dell’indice del maestro, della guida, del capo; il suo precedente illustre è nella statua di Costantino, oggi ai Musei Capitolini. C’è sempre un tono potenzialmente minaccioso nell’indice puntato, che come il medio alzato, secondo gli etologi, avrebbe il valore anche il valore di un’allusione fallica.
Gesto maschile, che appare opposto e simmetrico al gesto più femminile della cancelliera tedesca, Angela Merkel, che unisce pollici e indici delle due mani: riflessione e insieme forza. Grazie all’uso pubblico e politico, l’indice teso è passato da indicare ad additare, scrive Caludio Franzoni nel suo libro. Berlusconi qui però non addita, ma piuttosto rimprovera e ammonisce. L’indice dell’istitutore: Se non farete così… Nell’appello finale ai suoi tifosi ed elettori manifesta perciò un’intrinseca debolezza: Unitevi a me, protestate, partecipate. Ci intima qualcosa che vuole ottenere, ma non è convinto di averlo. Sta per: Fate tutti il vostro dovere! Molto diverso dal gesto, quello sì minaccioso e provocatorio, di Fini, anche perché diretto a lui, a Silvio, che si trovava sul palco, in una posizione di “potere spaziale”. Il braccio destro appare nel video invece particolarmente mobile.
Sostiene la mano, che si agita in aria, e si muove da destra a sinistra, e viceversa. Sono gesti in cui le qualità predicatorie del leader appaiono tuttavia smorzate. Non una vera sottolineatura delle parole, non gesti d’accompagnamento, che corrispondono all’enfasi del discorso, ma piuttosto gesti di sfogo, che emergono di colpo dalla corazza in cui il suo corpo è catafratto, e forse anche annichilito, di certo sparito. C’è disperazione, o almeno molta poca convinzione, in quei movimenti. Picchia sul tavolo, abbassando e stringendo il portadocumenti di cuoio. Si capisce che è arrabbiato, ma non abbastanza; vuole dare enfasi al detto, ma il movimento si smorza, perché tutta quella mimica gestuale resta a lato del suo dire, non segue il senso profondo delle parole: è uno sfogo. A un certo punto appoggia la mano sul cuore, in un moto che vuole indicare un sentimento di fedeltà, di fiducia, ma anche una forma di giuramento intimo (giuro sulla mia famiglia: quale?).
Alza anche la mano con il palmo aperto, ma funziona poco. Di gesti soliti, che gli abbiamo visto fare nei comizi da “venditore”, l’enumerare, ad esempio, prendendo con una mano le dita dell’altra, una a una, per spiegare, illustrare, enunciare, adesso non c’è traccia. La sua gestualità ha qualcosa di vecchio, d’usuale, da direttore, preside, burocrate. Non incrocia mai le braccia, come ha fatto nel passato, movimento in cui è implicita la sfida, scrive Franzoni: alla Napoleone. E neppure unisce indice e pollice per argomentare – una volta soltanto e sbrigativamente –, una modalità tipica dei ragionatori, come accadeva a Aldo Moro, a Rumor e agli altri capi corrente democristiani, gesto che pure in passato s’era visto nei suoi incontri pubblici in sale e teatri (per quanto argomentare non appartenga al suo repertorio, o meglio da presentatore televisivo: annunciava e presentava).
Nessun sorriso, nessuna gestualità distesa, nessuna captatio benevolentiae, come in passato. Nessuna battuta o barzelletta, nessuno scherzo. Il corpo congelato e la ristretta mimica delle mani rivelano una condizione interiore di crisi, trasmettono l’idea di un uomo che si sente assediato, che reagisce, ma non agisce. Risentimento in vista dell’abbandono. Quasi un: Mi rimpiangerete!
Una versione più breve di questo articolo è apparsa su L’espresso del 3 ottobre 2013