La striscia di Chiappetti / Val d'Aosta
Malgrado il fatto che la nostra epoca sia quella della religione della natura e che gli “spazi verdi” siano al centro dell’attenzione, l’identità di un oggetto culturale apparentemente ben delimitato come il giardino appare piuttosto problematica. Il “giardino planetario” teorizzato dal paesaggista francese Gilles Clément resta una prospettiva utopica. La realtà è fatta di milioni di luoghi separati l’uno dall’altro (l’etimologia di hortus come pure quella di paradeisos, paradeiza indica un sito chiuso, un intervallo che si sottrae a ciò che lo circonda grazie a una sua differenza specifica) con rarissimi casi di vere “eterotopie” (Foucault), cioè di giardini che sappiano trasporci in un “altro mondo”. I giardini, anche quelli straordinari, hanno perso col tempo proprio la loro alterità estetica, pur mantenendo ovviamente la loro qualità di rifugio privato.
Fra i casi estremi che destano curiosità va raccontato brevemente quello di un lembo di terra di circa 1 km di lunghezza – all’estremità nord del Piemonte – che forma, malgré lui, una sorta di grande giardino collettivo di rara magia. La zona, situata nella frazione Chiappetti di Quincinetto, appare a prima vista come il contrario di un locus amoenus: una stretta striscia di terra orizzontale è qui esposta al lavorio lento della geologia locale, cioè al fatto che sassi e massi anche di grandissima dimensione continuano a cadere dall’alto. A ciò si aggiunge la vicinanza pericolosa della Dora, che regolarmente inonda questa linea angusta e, soprattutto, l’autostrada Torino-Aosta, che ha tagliato il territorio in due. Il paesaggio risultante è quindi marcato da una serie ininterrotta di ferite: enormi blocchi piombati a terra, infrastrutture che tolgono l’orizzonte, il fiume minaccioso che fa tabula rasa.
L’accesso alla striscia di Chiappetti è nel contempo facile e complicato. Da un lato, l’automobilista è sorpreso scoprendo a lato dell’autostrada un mondo magico, fatto di blocchi erratici fuori scala e di una vegetazione lussureggiante. Basta distogliere lo sguardo per pochi secondi dalla strada per cogliere la bellezza drammatica di un frammisto di ordine e disordine, di verde intenso e di grigio sublime. Per chi, dopo aver esperito questa realtà sorprendente, voglia andare “dietro il paesaggio”, occorre uscire a Quincinetto e compiere alcuni tentativi non intuitivi per ritrovare la vecchia strada, spesso chiusa alla circolazione, in riva alla Dora. Ed è qui che la striscia grigio-verde di Chiappetti rivela tutta la sua alterità, visto che tra gli enormi massi, all’interno di una foresta minerale quasi ininterrotta, c’è chi ha saputo trasformare il terreno restante, a volte di pochi metri quadrati, in una serie di magnifici orti. Orti contadini e umili si intende, fatti di vigna, di frutteti, con zucche, pomodori, ma pure di fiori. L’incanto di questo territorio, al tempo stesso continuo e discontinuo, è dovuto innanzitutto alla facoltà umana di resistere, alla testardaggine di chi, esposto a una natura spesso mortifera e ingrata, ha risposto ancorando la sua esistenza proprio a questo locus terribilis.
Uno degli elementi chiave di questo paesaggio estremo è la vigna. Coltivata con una modalità che ricorda il pergolato, essa è una sorta di “casa dell’uva”. È come se all’interno di un perimetro invaso da massi fuori misura, l’uomo abbia voluto mostrare di che cura è capace per riappropriarsi il territorio. La lotta è impari ma gli anziani che se ne occupano con passione non demordono. Sanno benissimo di essere ormai l’ultima generazione di guardiani di tanta commovente bellezza.
La lezione che ne traggo è che tutto questo non è né giardinaggio né vezzo ecologista (per intenderci: non ha niente a che vedere con la ridicola moda dei giardini urbani), ma è una urgenza profonda di chi si confronta con la natura in modo immediato e non ideologico.
So anche che questo mondo scomparirà e ciò lo rende ai miei occhi ancora più prezioso.