Storia di un elemento architettonico / Architettura del baldacchino
Che cos’è un baldacchino? L’etimologia del nome è di quelle capaci di farci compiere un giro del mondo (o quantomeno, di una bella porzione di esso) in una sola parola. Baldacchino deriva da Baldac, o Baldacco, che in origine indicava una stoffa proveniente da Baghdad, uno dei principali centri di produzione della seta e di altri tessuti preziosi del mondo antico. Ed era appunto un pezzo di stoffa quadrato, sostenuto da quattro aste di legno, a costituire la forma originaria del baldacchino. A che cosa questo servisse è abbastanza evidente: si trattava di un riparo, qualcosa come una tenda trasportabile sotto la quale avere un provvisorio ricovero. Il baldacchino, dunque, era un soffitto portatile, una protezione più vasta di un ombrello e soprattutto dotata di un ben maggiore valore simbolico. Chi stava sotto un baldacchino aveva e insieme assumeva una speciale dignità e importanza, al pari di chi – nell’iconografia tradizionale, a tutte le latitudini – stava seduto in confronto a chi stava in piedi. E non è un caso che spesso le due condizioni si trovassero unificate.
Da sinistra: Barca sacra egizia, Tomba di Sennefer, XVIII dinastia Sheikh Abd el-Qurna; Taddeo Zuccari, Palazzo Farnese, Caprarola
Baldacchino processionale
Nel corso del tempo il baldacchino ha assunto un ruolo sacrale e liturgico, nelle culture del Vicino Oriente e in quella romana, così come – più tardi – nella cultura cristiana. Nel suo utilizzo processionale era inteso a proteggere, lungo un percorso prestabilito, un oggetto sacro, il corpo di un defunto o quello di un sovrano: una protezione che era al contempo anche un’ostensione. I materiali impiegati erano sicuramente preziosi: oltre alla stoffa, il legno e i metalli.
Da sinistra: Giotto, Il sogno di Innocenzo III, Assisi, Basilica superiore, 1292-1296; Vittore Carpaccio, Sogno di Sant'Orsola, 1495
È in questa fase che il baldacchino compie una prima trasformazione, da elemento mobile a elemento fisso o semifisso, con il conseguente trasferimento dall’esterno agli interni. Non è agevole ricostruire tutti i passaggi che hanno determinato questa mutazione in componente d’arredo o in forma architettonica vera e propria. Ma è certo che – come attesta un’abbondante e variegata iconografia – da un certo momento in avanti esso fa la sua comparsa all’interno degli spazi domestici, nelle camere da letto (oppure, nel caso di residenze reali, nella sala del trono), e negli spazi ecclesiastici, in corrispondenza degli altari, sotto forma di ciborio. Nel primo caso il baldacchino (spesso dotato di cortine perimetrali) offre un riparo dal freddo, in età nelle quali le case erano poco e malamente riscaldate. Ma più in generale esso offre soprattutto una copertura di natura simbolica. Si tratta di un segno di enfasi, di una sottolineatura semantica che ribadisce quanto l’edificio in cui il baldacchino è contenuto afferma già di per sé. È un’unità spaziale definita inserita entro uno spazio più grande e comprensivo (casa o chiesa che sia), una “gabbia di Faraday” spirituale, che tiene a distanza dal dormiente o dall’officiante i possibili influssi negativi – una gabbia fornita di pareti più o meno virtuali e di un proprio “cielo” privato.
Da sinistra: Giuseppe Naudin, Sala del trono, Fondazione Monte di Parma; Auguste Garnerey, Reggia di Caserta
Il più celebre tra i baldacchini è certamente quello disegnato da Gian Lorenzo Bernini per la Basilica di San Pietro a Roma. Pur trattandosi di un oggetto monumentale (le sue colonne tortili di bronzo, prodotto della fusione di parti del Pantheon, misurano 11 metri di altezza, e l’intera struttura, alla sommità della croce che lo corona, raggiunge i 28 metri), il suo modello è con piena evidenza il baldacchino processionale con il quale, nel corso delle feste liturgiche, si portavano – e si portano tuttora – le spoglie o la statua del santo in giro per le strade della città; un riferimento che mantiene il baldacchino berniniano incertamente sospeso tra l’architettura e la scultura.
Da sinistra: Disegno del Baldacchino di San Pietro; Gian Lorenzo Bernini, Baldacchino di San Pietro
L’evoluzione del baldacchino in direzione dell’architettura avrà luogo soltanto molto più tardi, in un periodo relativamente recente. È con la trasformazione delle moderne città in immensi snodi infrastrutturali, labirinti inestricabili disposti su più livelli, che il baldacchino fa la sua comparsa in vasti spazi urbani. Sintomatica di questa fase è la nuova Potsdamer Platz a Berlino, realizzata a partire dai primi anni novanta. Qui il baldacchino (raddoppiato come per effetto di un artificio barocco) assume il ruolo di “coperchio” ai varchi di accesso al complesso mondo infero che si apre sotto di loro; un mondo comprendente diverse linee metropolitane e ferroviarie, oltreché un ragguardevole numero di spazi commerciali. Tecnicamente questi coperchi, progettati dallo studio Hilmer & Sattler und Albrecht, in collaborazione con Hermann+Öttl e J. Modersohn, servono a proteggere le scale mobili e gli spazi sottostanti dagli agenti atmosferici; tale azione protettiva però è ormai spogliata di qualsiasi risonanza simbolica, benché i due baldacchini – quasi fossero memori delle loro lontane origini – continuino a essere collocati nello spazio della Potsdamer Platz come fossero mobili all’interno di una gigantesca stanza.
Da sinistra: Percier & Fontaine, Camera di Napoleone a Malmaison; Percier & Fontaine, Letto a baldacchino
Hilmer & Sattler und Albrecht, Bahnhof Potsdamer Platz (1995-2006)
Potsdamer Platz, ph. Domingo Leiva
Potsdamer Platz, ph. René Frost
Un rapporto analogo – ma con effetti diversi – è istituito dal baldacchino che occupa la parte centrale della Piazza Gino Valle a Milano, realizzato dallo Studio Valle Architetti Associati tra il 2003 e il 2012. La funzione assegnatagli è quella di coprire l’accesso ai parcheggi sotterranei; una funzione che lo spropositato soffitto sorretto da altrettanto possenti “zampe” assolve in modo palesemente esorbitante. Ed è proprio questa smisuratezza dimensionale in rapporto alla limitatezza del compito svolto a svuotare di significato il baldacchino e a ingenerare una sensazione di straniamento: più che di un mobile, nella più grande piazza di Milano, questo oggetto ingombrante assume le sembianze di un inutile soprammobile, al cospetto dei monumentali edifici obliqui costruiti dallo stesso Studio Valle e della pletorica testata dell’ex Fiera di Mario Bellini.
Piazza Gino Valle, ph. Giuseppe Dall'Arche
Quali indicazioni trarre dall’evoluzione del baldacchino? In essa troviamo inscritto il medesimo destino toccato in sorte a molti altri elementi (oggetti o forme sacrali, originariamente legati a pratiche rituali) che nel corso del tempo, con l’inevitabile processo di secolarizzazione, anziché scomparire, hanno acquisito sempre maggiore presenza (per non dire “prestanza”) fisica, a discapito della loro stessa ragion d’essere. Così, se in origine il baldacchino era un inequivocabile segno di dignità e d’importanza per chi era posto sotto la sua protezione – un’importanza e una dignità che esso conferiva e rifletteva al tempo stesso (e ciò sia che venisse impiegato nello spazio libero e aperto della città sia che fosse disposto nello spazio delimitato e protetto della casa o della chiesa) –, nella sua versione moderno-contemporanea la crescita ipertrofica che lo caratterizza corrisponde a un’inesorabile perdita di senso.
Con ciò il baldacchino non soltanto manifesta la propria compiuta reificazione ma anche la completa reificazione dello spazio metropolitano di cui fa parte. Di pari passo alla riduzione del baldacchino a “cosa” puramente quantitativa, infatti, anche lo scopo cui esso è destinato subisce lo stesso depauperamento. Come lo spietato emblema dell’odierna società capitalistica, il baldacchino si presenta come una poderosa cornice che inquadra un “vuoto”, vale a dire una funzione puramente servile.