Zingonia. Utopia e realtà

17 Ottobre 2014

Quando nel 1964 Renzo Zingone, imprenditore romano, proprietario della Banca Generale di Credito, e in precedenza – tra l’altro – di miniere d’oro e di rame in Venezuela, decide di fondare una nuova città in provincia di Bergamo, in un territorio agricolo tra i comuni di Verdellino, Verdello, Boltiere, Ciserano e Osio Sotto, ha già alle spalle la realizzazione del Quartiere Zingone, ubicato a Trezzano sul Naviglio, alle porte di Milano. Come nel caso precedente, la scelta del nome della nuova città – Zingonia – rivela la volontà di attenersi rigorosamente all’indicazione del padre Gennaro, che in una lettera del 1930 ai figli Corrado e Renzo aveva raccomandato loro la «sempre maggior valorizzazione del nostro nome».

 

Zingonia, missile   Zingonia, missile

 

E come nel caso precedente si avvale, dal punto di vista progettuale, della collaborazione dell’architetto Franco Negri, nato nel 1923 e laureatosi al Politecnico di Milano nel 1956. Pietra angolare di entrambi gli interventi sono i capannoni industriali prefabbricati prodotti dalla Zingone Strutture che, nell’idea del suo creatore, erano destinati a costituire il cuore produttivo dei nuovi insediamenti. E tuttavia, con una differenza specifica: mentre nel Quartiere Zingone si dovevano affiancare agli altri comparti produttivi e industriali presenti nella fascia dell’hinterland milanese, a Zingonia gli stessi capannoni rappresentavano gli avamposti di una vasta operazione mirata a trasformare radicalmente non soltanto il territorio della bassa bergamasca ma addirittura le modalità e le consuetudini di vita dei suoi abitanti.

 

Renzo Zingone. ZingoniaRenzo Zingone. Zingonia

 

A fondamento della concezione di Zingonia sta un’aspirazione che, sebbene motivata da comprensibili ragioni economiche, include al proprio interno anche un’essenziale componente utopica. In questo senso, la concentrazione in un unico luogo di residenza e lavoro, con la conseguente – almeno potenziale – sconfitta del pendolarismo, va letta come il tentativo da parte di Zingone di modificare nel profondo un assetto sociale largamente radicato in Italia. Se a ciò si aggiunge la zona verde con destinazione sportiva e per il tempo libero, anch’essa presente a Zingonia in misura non secondaria, non si fatica a riconoscere nell’idea della nuova città una versione nemmeno troppo riveduta e corretta di quella teorizzata una ventina di anni prima nella Charte d’Athènes dal gruppo francese dei CIAM, capeggiato da Le Corbusier.

 

Zingonia, steccaZingonia, piscinaZingonia, cinema

Zingonia, piscina, cinema, stecca

 

Nella realtà, la proposizione di un modello sociale e urbano notevolmente aggiornato (un modello che prevedeva una mobilità del lavoro e sul territorio di tipo americano) in un’area come quella bergamasca, considerata in quegli anni “depressa” dalla legislazione italiana, finirà presto con scontrarsi con resistenze fortissime; e sarà il fenomeno migratorio dal sud Italia, piuttosto che la riallocazione di forze produttive provenienti da Milano o da Bergamo, come probabilmente Zingone sperava, a interessare Zingonia e a fornire alle imprese che vi si insedieranno la gran parte della mano d’opera da esse impiegata.

 

La volontà di utopia sottesa all’idea di Zingonia trova la sua piena espressione nei disegni – non a caso mai realizzati – che compaiono nella parte finale del presente libro, originariamente pubblicato dalla ZIF (Zingone Iniziative Fondiarie) nel 1965. Si tratta di progetti appena schizzati, non firmati, ma ascrivibili – quantomeno nella loro concezione – a Franco Negri; rapide visualizzazioni, che se da un lato rivelano una serie di interessanti influenze del recente passato (da Le Corbusier agli Smithson, passando per gli architetti sovietici degli anni trenta e Mies van der Rohe), dall’altro sono la prefigurazione di intuizioni architettoniche ancora di là da venire (su tutte – curiosamente – quelle di Rem Koolhaas e OMA).

 

Zingonia, centro commercialeZingonia, centro commerciale

 

È in questi progetti da Ville Radieuse lombarda, raffiguranti grattacieli e stecche residenziali, ville monofamiliari, ma anche centri direzionali, centri commerciali, teatri, spazi pubblici, che Zingonia si “immagina” – almeno nello spazio bidimensionale della carta da disegno – una moderna città per 50.000 abitanti, una sorta di Brasilia italiana, dotata di eliporto e connessa alla rete stradale nazionale mediante la vicina autostrada Milano-Venezia e alla rete fluviale del nord Italia attraverso un canale artificiale navigabile provvisto di una darsena con zona di porto franco.

 

Non è però tanto la distanza tra quella città immaginata e la realtà che negli anni successivi vi si è andata sostituendo a decretare il fallimento dell’utopia di Zingonia. Utopica – in special modo se misurata con un metro odierno – risultava già in fondo la stessa idea di costruire una città dal nulla, con le sole forze di un imprenditore privato; al punto da far definire da questi l’«inseguimento di un ideale», e addirittura «una vocazione», quella nuova professione la cui “invenzione” egli stesso rivendica: il costruttore di città. Una professione che prima di Renzo Zingone poteva comunque vantare predecessori illustri in Italia come Adriano Olivetti, e che dopo di lui sarà abbracciata – tra i pochissimi altri – dal giovane Silvio Berlusconi. E però, con differenze anche vistose tra le sue varie versioni.

 

Renzo Zingone. Zingonia

 

Ma nell’Italia degli anni sessanta investire consistenti capitali in un’impresa titanica qual è la realizzazione di una nuova città non doveva essere poi tanto impensabile o temerario, per chi ovviamente potesse disporne. E se qualcosa può essere rimproverato a Zingone non è tanto l’assurdità del suo progetto, o la sua avventatezza, quanto piuttosto di non averne previsto la sostanziale debolezza dal punto di vista della gestione amministrativa, diviso com’era (e com’è) il territorio di Zingonia tra cinque diversi comuni; vale a dire di essersi illuso, con la sua mentalità da imprenditore, di poter fare a meno della politica quale elemento essenziale di direzione e controllo della “cosa pubblica”. E ancora – e più in generale – di non aver saputo indovinare, con quella stessa mentalità da imprenditore, i tempi della crisi che, a partire dal 1963, con le prime ondate di scioperi e i frequenti cambi di governo, incominciava a investire l’Italia appena uscita dal boom economico.

 

Renzo Zingone. Zingonia Renzo Zingone. Zingonia

 

Con tutto ciò, la costruzione di Zingonia viene intrapresa a buon ritmo, tanto da consentire ai primi abitanti di popolare gli edifici residenziali già tra il 1965 e il ’66. Risulta evidente fin da subito però la riduzione delle ambizioni proiettate sul nuovo insediamento, non soltanto nelle dimensioni e nell’articolazione complessiva, ma anche nella qualità dei singoli interventi. Non è un caso che l’architetto Negri lo ritenesse il suo progetto meno riuscito e quello da lui stesso meno amato. Delle visioni iniziali soltanto i capannoni permangono, sviluppati serialmente sulla base di tre distinte tipologie: “Bergamo”, “Roma” e “Vittoria”, a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche.

 

Renzo Zingone. Zingonia Renzo Zingone. Zingonia

 

La loro proliferazione, benché forse non pari alle attese, è comunque tale da farne l’inconfondibile “marchio di fabbrica”, l’elemento distintivo dell’intero paesaggio urbano di Zingonia. Per il resto, vengono realizzati le torri residenziali, le villette unifamiliari, il centro sportivo, il cinema, l’hotel, l’ospedale, la chiesa (su progetto più tardo di Vittorio Sonzogni), mentre fontane e sculture (tra cui una mai realizzata disegnata da Mario Radice e Ico Parisi) costituiscono i pochi elementi di “abbellimento” dell’aspirante città. I 50.000 abitanti previsti si ridurranno – anche nel momento di massima espansione – a poche migliaia. Esclusivamente la larghezza delle strade e la toponomastica rimangono a testimonianza di una vagheggiata grandeur: nomi di città, nomi di capitali, nomi di continenti, oltreché nomi di fiori e nomi femminili (riservati ai complessi residenziali: Anna, Athena, Barbara, Bettina).

 

Zingonia, piastraZingonia, piastra

 

Proprio a questi ultimi spetterà il compito – nel corso del tempo – di rappresentare Zingonia nei suoi aspetti migliori e più deteriori. Realizzati in modo dignitoso e riservando una certa attenzione agli spazi comuni e di distribuzione al livello del suolo i palazzi e la torre di 14 piani di Verdellino, in piena economia e con minor accuratezza le sei torri di Ciserano, i due aggregati residenziali saranno dapprima il simbolo dell’impulso di progresso di cui Zingonia vuole farsi portatrice, e poi via via l’incarnazione del degrado fisico e sociale del quale la stessa diviene teatro.

 

Ma prima che questo accada va registrata l’uscita di scena, intorno alla metà degli settanta, dell’“eroe eponimo” Renzo Zingone, comprensibilmente scoraggiato dalla sfavorevole congiuntura economica italiana, sicuramente deluso dalle inadempienze dei politici locali e infastidito dalla crescente “pressione” dei partiti, e presumibilmente attratto dalla prospettiva di più lucrosi affari di là dall’oceano. Il passaggio della costruzione e della commercializzazione degli edifici di Zingonia nelle mani della società Coima fondata nel 1973 da Riccardo Catella non migliorerà però la situazione. E saranno l’incuria e la cessazione di qualsiasi manutenzione dei condomini residenziali a determinarne il progressivo abbandono, e conseguentemente la svendita e la parziale occupazione abusiva. Fino alle ipotesi più recenti di un loro abbattimento e sostituzione con altre attività.

 

Renzo Zingone. Zingonia

 

Attualmente la realtà di Zingonia parla di un insediamento la cui percentuale di immigrati stranieri arriva quasi all’80%, suddivisi tra più di 40 nazionalità differenti; ma anche di un comparto produttivo ancora vitale, con punte di eccellenza spesso notevoli, grazie pure al contributo di quei lavoratori stranieri. Una situazione eterogenea e contraddittoria, come lo è la realtà di sovente. Una realtà che è quanto di più distante si possa immaginare dall’utopia – non più però di quanto quest’ultima possa illudersi di assomigliare alla realtà.

 

Renzo Zingone. Zingonia Renzo Zingone. Zingonia

 

Ed è forse ciò a rendere Zingonia un caso tanto singolare quanto emblematico: uno specchio di dimensioni ridotte in cui però si riflettono – come in un film che da neorealista viri al drammatico, passando per la commedia all’italiana – tutte le virtù e i vizi, tutti gli slanci, le ambizioni, le fragilità, le illusioni e le disillusioni, ma anche tutti i caratteri umani, tutte le tendenze e le tensioni sociali dell’Italia degli ultimi cinquant’anni. E infatti, la divaricazione esistente tra i suoi presupposti iniziali e il punto di approdo finale (o almeno attuale) è precisamente quella che separa l’Italia del 1964 dall’Italia del 2014; così come entrambi rappresentano – sia pure in forma estremizzata, esasperata – le due Italie a cui appartengono. Per questa ragione la vicenda di Zingonia merita di essere considerata tanto per la sua utopia quanto per la sua realtà: ambedue volti, tra di loro irriducibili, dello stesso affascinante e terribile arcano chiamato Italia.

 

All'interno della mostra Monditalia alla XIV Biennale Internazionale di Architettura di Venezia, si può visitare, fino al 23 novembre 2014, Z! Zingonia, Mon Amour, un progetto di Argot ou La Maison Mobile e Marco Biraghi (con Maria Elena Garzoni, Hiroyuki Kakiuchi, Anton Kotlyarov, Giulia Maculan, Giacomo Mezzadri, Nicolò Ornaghi, Riccardo Radaelli, Giulia Ricci)

 

Zingonia... una nuova città (1965) è stato ripubblicato da Lettera 22, a cura di Luca Astorri, Marco Biraghi, Matteo Poli.

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