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Torino spiritualità / Buio
Non si può parlar di buio senza mettere in mezzo la luce, se il buio è per definizione mancanza di luce, cioè della condizione che permette di vedere gli oggetti; o anche colorazione quasi nera, contrapposta al bianco della luce. Questo in senso «proprio», come si dice. Derrida lo chiamava pulito, ma lui poteva permettersi di giocare col doppio senso francese di propre e noi purtroppo no, però egualmente chiamiamolo il senso pulito. In senso figurato («sporco»? beh, sì, se l'immaginazione sporca la realtà) il buio è condizione di ignoranza, mistero, simulazione, mancanza di informazione. Insomma si accompagnano al buio una serie di accostamenti non proprio amabili. Molto meglio vanno le cose al presunto contrario/avversario del buio, la luce. Lì è tutto un brillare, in tutti i sensi; è uno sfolgorio, uno splendore di oggetti visibili irradianti raggi luminosi, un tripudio di conoscenza, chiarezza, evidenza, certezza, indiscutibilità. In tutti i sensi, dicevo, i quali però non se ne stanno lì ognuno nel suo recinto delimitato, i propri e puliti con la realtà e gli impropri un po' sporchetti con l'immaginazione, ma è tutto un rimandarsi e modificarsi a vicenda. Né luce e buio sfuggono a questa dinamica.
L'immaginario del buio (e della luce)
Se la luce è metafora, simbolo, allegoria della verità, che cosa sarà il buio? Sarà evidentemente falsità. Non c'è nemmeno bisogno di scomodare Platone e l'allegoria della caverna, o Derrida con la mythologie blanche, lo capiscono tutti. E poi? Sempre procedendo analogicamente, alla luce della conoscenza corrisponderà il buio dell'ignoranza, allo splendore del bene l'oscurità del male. E via dicendo, in un crescendo di contrapposizioni positive, legate alla luce, e negative, legate al buio, se il buio non è che assenza di luce. Povero buio, privato della dimensione ontologica e ridotto a non-A, non luce, come se per vivere bene ogni cosa dovesse essere illuminata. Di fronte allo splendore e alla chiarezza della luce il povero buio, tra i secoli bui, l'oscurantismo e il cuore di tenebra, ha ben poca voce in capitolo. Eppure, se le cose sono sempre e tutte illuminate si perde il piacere della luce stessa che sorge per contrasto (fiat lux!), e si finisce per ubriacarsi di un'illuminazione che ferisce occhi e mente.
Il fatto è che viviamo immersi in un immaginario che associa con la luce il bene, la conoscenza, la verità, la giustizia e il buio col suo contrario. Che trasferisce poi tali proprietà anche ai colori, talché bianco e nero riprendono e insistono su tali valori. Il nero (e i neri!) non la vincono facilmente contro il bianco (e i bianchi, alcuni dei quali rivendicano la loro supremazia, diamine!); persino le notti, per essere vissute positivamente, devono diventare bianche (illuminate e piene di vita), così come le voci bianche che incantano e le voci nere che nemmeno esistono.
Anche il concetto di rivelazione è legato alla luce, come la simulazione si appaia con l'oscurità. La rivelazione cristiana è depositaria dell'ortodossia, ovvero retta credenza, conformità ai principi di una determinata dottrina, specificamente di una religione. L'opposto di ortodossia è eterodossia, che è dottrina o opinione diversa da quella definita come vera. È l'eresia, che si oppone a dottrina rivelata come vera. Nella definizione dei teologi l'eresia dottrinale si oppone a una verità rivelata e proposta come tale dalla chiesa cattolica. La verità rivelata è una delle verità più forti che ci siano, ed è da credersi in quanto fede. Come si rivela la vera fede? Mostrandola alla luce in tutta la sua purezza e integrità. Così come si rivela la vera conoscenza.
Si pensi al frontespizio dell'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert, capolavoro e programma dell'Illuminismo in quanto rischiaramento del mondo tramite la luce della ragione: vi si vede la Verità sfolgorante di una luce che allontana e disperde le nubi; a destra, la Ragione e la Filosofia le strappano il velo (la rivelano nella sua nudità); mentre l'Immaginazione, avanzando da sinistra con una corolla di fiori tra le mani, la abbellisce; inginocchiata ai suoi piedi, la Teologia ne riceve anch'essa illuminazione, come pure tutte le scienze e le arti ivi rappresentate: botanica, architettura, chimica, storia, musica, commedia, tragedia... (dipinto di Charles Nicolas Cochin, incisione di Bonaventure Louis Prévost, 1772).
La metafisica e la metaforica della luce dispongono di un ambito vastissimo di ricerca tra cui primeggiano gli studi di Hans Blumenberg il quale, quasi compendiando con la sua ricerca il fenomeno (ciò che si mostra alla luce, ciò che appare), scrisse un saggio sulla luce della verità all'inizio della sua ricerca (Licht als Metapher der Wahrheit, La luce come metafora della verità, 1957), e uno sulla verità nuda (disvelata e rivelata) in conclusione della stessa (Die Nackte Wahrheit, La verità nuda, opera postuma testé pubblicata).
E il buio? Con i suoi sinonimi di oscurità, tenebra, opacità? Con il suo nome che cambia nelle lingue europee (cui ci limitiamo) mentre la luce conserva sempre l'etimo latino con quella consonante liquida iniziale che scorre e si illumina davanti a noi: lux.
Il termine buio ha una storia suggestiva – almeno questo – giacché dovrebbe derivare dal *burius, colore rosso-nerastro di cosa arsa, bruciata; l'aspetto di ciò che rimane del legno dopo la combustione che ha fornito la luce e il calore del fuoco; un tizzone spento e bruciacchiato, che forse emana anche fumo, il fumo che nasconde; questo il senso originario del buio in lingua italiana. Suggestivi anche il francese sombre, dal latino sub umbra; di incerta origine i tedeschi Dunkelheit (forse fumoso... come quel tizzone?) e l'inglese darkness. Per tutti è chiara (sic) invece l'associazione del buio con ignoranza, segreto, cecità intellettuale, simulazione.
Simulazione
Il delatore e il calunniatore agiscono nascosti nel buio, e insieme simulano la verità, la nascondono, la coprono, la rendono simile ma non genuina, vera, reale. Si esprimono in maniera tortuosa, ambigua, doppia, oscura. Oscura è la menzogna del simulatore (nonostante tentativi di riscattarla da parte di Machiavelli e Montaigne). Eppure anche la dissimulazione e persino la delazione possono avere una funzione positiva paragonabile a quella dell'ombra in pittura: questa, ha scritto Giovanni Macchia, è «la via che conduce alla luce, cioè alla conoscenza». A ben vedere però, anche la funzione dell'ombra è positivamente valutata non per se stessa ma in quanto porta «alla luce». Così il delatore, che oggi nella figura del whistleblower – –tradotto come «segnalatore di illeciti» ma letteralmente lo «spifferatore» – è diventato un denunciatore che, agendo nel buio, porta «alla luce» reati e irregolarità.
Il buio pulito
Insomma di bui impropri ne abbiamo a bizzeffe. Di bui reali, puliti, molti meno, oggi alle nostre latitudini quasi per nulla. Inoltre di questo tipo di buio ci si accorge soltanto quando viene a mancare, come negli ultimi tempi. La nostra qualità della vita è sensibilmente peggiorata dall'eccesso di luce, dentro e fuori delle nostre abitazioni, e trovare il buio oggi, magari per riuscire a contemplare le stelle cadenti, è diventato un fattore di lusso.
La qualità della vita che appare oggi minacciata da eccessi di vario genere: di rumore, di velocità, eccesso di scelta, eccesso di ricerca della felicità. È il nostro peccato di hybris, di superamento di limiti e confini, cui gli antichi greci contrapponevano quali virtù la medietà, la misura o moderazione. Che non sono mediocrità e prudenza; non si tratta infatti di tarpare le ali alla libertà di inventiva, a soffocare la sfida dell'umano ingegno, l'iniziativa e l'intraprendenza o persino la creatività. Niente di tutto questo.
Però. Però guardiamoci attorno e osserviamo il mondo che abbiamo prodotto. Potremo anche essere ricchissimi e rinchiuderci la sera nel nostro deposito a fare il bagno nella piscina dei dollari come Paperone: ma anche così i rumori provenienti dall'esterno e le luci dell'illuminazione circostante, comprese le infinite lucine degli apparecchi che non si riescono a spegnere neanche volendolo, disturberanno la nostra quiete e il nostro riposo (io ormai giro per gli alberghi con cuscinetti adesivi neri che appiccico sui display per poter dormire).
Una buona qualità della vita è anche una città che sa rispettare il «diritto al buio» all'esterno e all'interno dei luoghi urbani. Esistono studi che registrano l'alto tasso di inquinamento luminoso di molte regioni, ma sembrano rimanere senza effetto. Che l'illuminazione faccia consumare di più? Che offra la percezione di una maggior sicurezza? Che faccia sentire più felici, colmando la nostra brama di felicità? E riusciremo forse a modificare le ultime parole di Goethe, «Mehr Licht!», più luce!, con un paradossale «più buio!» se saremo finalmente in grado di comprendere che il buio non è assenza o negazione di luce ma è presenza in sè.
Ad Infinita Notte, dal 26 al 29 settembre - Torino Spiritualità 2019: qui il programma completo.