Fantascienza sino-giapponese in Italia / FantAsia
La fantascienza sino-giapponese è un oceano vasto, ricco di mari, insenature, profondità lontane dalla costa. Chi non sa nuotare, chi non conosce le lingue in cui è scritta, vede affiorare sopra il pelo dell'acqua creature mitiche e meravigliose, consapevole che sotto la superficie si cela un intero mondo di testi da esplorare. I rari curatori editoriali e traduttori che offrono versioni italiane sono esploratori generosi, che mettono a disposizione di noi lettori della Penisola i loro vascelli e batiscafi, accompagnandoci alla scoperta di rotte altrimenti inaccessibili.
Negli ultimi decenni le traduzioni di fantascienza giapponese e cinese in Italia hanno rappresentato rare e benvenute eccezioni entro uno spazio editoriale dominato dalle traduzioni di autori anglo-americani. In un mercato librario (non solo fantascientifico e non solo italiano) largamente dominato dall'inglese come lingua fonte (si vedano le statistiche dell'Unesco index translatiorum), la scarsità di traduzioni di fantascienza dall'estremo oriente si può ricondurre a una molteplicità di concause specifiche, dagli orizzonti d'attesa che gli editori principali sono ormai abituati a immaginare presso i loro lettori, al numero relativamente ristretto di traduttori professionisti specializzati nelle lingue di interesse e al contempo in grado di tradurre fantascienza, un genere che – con il suo grado di invenzione e rifunzionalizzazione linguistica e il fitto intertesto di riferimento, i relativi protocolli di lettura che da questi derivano – richiede competenze peculiari, a mezza via tra la traduzione di narrativa e la specializzazione richiesta da quella poetica.
Il 2017 si avvia però a conclusione come un'annata che ha arricchito i nostri scaffali di due antologie importanti: Lo scudo dell'illusione. Racconti fantastici della letteratura giapponese moderna, curata e tradotta da Massimo Soumaré e pubblicata nella collana Asia Sphere per i tipi della romana Atmosphere libri, e Nebula. Fantascienza contemporanea cinese / curata da Francesco Verso ed edita da Future Fiction, anch'essa con base a Roma.
Con la prima, Lo scudo dell'illusione, Soumaré continua la sua opera di presentazione dell'arcipelago letterario del fantastico nipponico in Italia. Tappe fondamentali di questa opera sono state ad esempio le sezioni e i volumi dedicati al Giappone della serie antologia Alia (pubblicata dalla sigla torinese CS_Libri tra 2003 e 2011, e ripresa nel 2014 in versione elettronica), e Onryo, avatar di morte, curato con Danilo Arona nel 2012 (uscito nella mondadoriana Urania) che ha affiancato storie horror nipponico e nostrano, oltre alle molte collaborazioni saggistiche e traduttive con riviste e sedi non specializzate in senso di genere.
Questo Scudo giunge come un'acquisizione significativa per i lettori, tanto più entro il megatesto globale dei generi speculativi in cui lo spazio del Giappone è stato caratterizzato da una ricezione euro-americana che ne ha fatto a lungo l'immagine di un'alterità radicale e aliena, e/o una riduzione a elementi esotici, affascinanti ma poco o per nulla in dialogo intertestuale con quanto scritto in giapponese – un japanesque di maniera, talvolta supportato da poca sostanza culturale. Della fortuna delle immagini fantascientifiche del Giappone e di Tokyo sono testimonianze opere miliari del genere, un esempio per tutti Neuromancer di William Gibson, romanzo che nel 1984 ha contribuito in modo fondamentale alla codificazione del repertorio cyberpunk, il cui incipit, forse il più celebre della fantascienza contemporanea, è dedicato al cielo sopra Tokyo – “The sky above the port was the color of television, tuned to a dead channel” – e preannuncia l'impronta del Giappone sullo scenario globalizzato e iper-tecnologizzato del futuro immaginato dall'autore di origini statunitensi.
In quest'ottica appaiono significative e tutt'altro che casuali le scelte di Soumaré: i due racconti di Natsume Sōseki (1884-1924) che aprono la raccolta, “La torre di Londra” (1905) e “Lo scudo dell'illusione” che dà il titolo al volume (1905) restituiscono l'immagine di un occidente europeo visto da est, in cui la sanguinaria storia stratificatasi nei muri della London Tower e il ciclo bretone di Artù sono le fonti di ispirazione di un fantastico popolato di inquietanti spettri e che trasfigura la cultura cortese con onirico romanticismo. La storia e la cultura inglese, bretone, italiana, note all'autore che aveva soggiornato a Londra alcuni anni all'inizio del secolo e le cui conoscenze spaziavano dalla Canzone dei Nibelunghi al De amore di Cappellano, alla Commedia dantesca (di cui nei testi si leggono echi e citazioni), dovevano certo essere elementi lontani e misteriosi per i lettori giapponesi pochi anni dopo l'estinguersi dell'isolazionismo dell'ultimo periodo Edo. Il lettore e la lettrice italiani di oggi sono dunque invitati a un esercizio di doppio straniamento: quello tipicamente fantastico, di uscita dal paradigma consueto di percezione e interpretazione della realtà fenomenica, e quello interculturale, che scoprendo nello sguardo di un “altro” una sconosciuta immagine di sé, favorisce la relativizzazione del proprio posizionamento entro un più ampio quadro di relazioni di natura (inter)culturale e linguistica. Su un invito analogo la raccolta si chiude, con le ambientazioni mediterranee e le riscritture mitologiche ed evangeliche nei racconti di Dazai Osamu (1909-1948): “Corri Melos!” (1940) e “L'accusa affrettata” (1940).
L'antologia prosegue e arricchisce il sofisticato sguardo alle origini del fantastico nipponico degli ultimi due secoli, che Soumaré ha già coltivato in precedenti sedi. Si pensi anche all'inclusione di Yamamura Bochō (1884-1924), la cui raccolta Chiruchiru-michiru (1920) tradotta integralmente include una serie di brevi favole, dominate da elementi naturali che prendono vita e parola (una vita fantastica, lontana da apologhi e allegorie) e da una vena liricamente malinconica.
Il percorso giunge a metà del 1900 attraverso racconti di Yumeno Kyūsaku (1889-1936), Miyazawa Kenji (1896-1933), Unno Jūza (1897-1949) e il già citato Dazai, ciascuno con due, tre o quattro storie. Si tratta di autori solo occasionalmente tradotti in italiano, talvolta con racconti brevi in riviste specializzate, raramente con raccolte o romanzi (tra cui ad esempio l'antologia di racconti di Miyazawa Una notte sul treno della Via Lattea e altri racconti curata da Giorgio Amitrano per Marsilio nel 1994).
Le opere incluse ne Lo scudo offrono esempi di un fantastico incline alla fiaba (es. “Negli occhi del maestro”, 1924, di Yumeno), a una rarefazione di ispirazione buddhista (es. “Il fanciullo oca”, 1932, di Miyazawa), ad alterazioni dello stato di coscienza ordinario riconducibili a insanità mentale o a leggendarie sostanze psicotrope (i due irridenti e deliranti monologhi tratti da I pazzi ridono, 1932, di Yumeno). Si nota dunque l'ispirazione più spiccatamente fantascientifico-tecnologia dei due racconti di Unno, “Il caso dell'omicidio del robot” (1931) e “Il mondo dopo mille anni” (1939).
Nel saggio di apertura il traduttore ci avverte dell'approccio adottato per rendere in italiano il lessico scientifico impiegato dall'autore negli anni Trenta (es. congelamento anziché l'ora invalso ibernazione), privilegiando una versione conforme agli usi coevi. E al saggio introduttivo i lettori possono guardare anche per un aiuto nella collocazione dei racconti all'interno del complesso della produzione di ciascun autore, e di questi ultimi nella storia della letteratura (non solo fantastica) nipponica, riletta in chiave comparatistica e internazionale.
Da un'operazione affatto diversa nasce Nebula, antologia bilingue che propone in cinese e in italiano quattro racconti di tre autori e un’autrice contemporanei, nati negli anni tra Sessanta e Ottanta del Novecento e tutt'ora attivi. Le voci di Chen Qiufan, Xia Jia, Wu Yan e Liu Cixin aggiornano il panorama della fantascienza cinese in traduzione italiana, che sino ad adesso aveva incluso due soli precedenti. Il primo, L’onda misteriosa, era uscito nella serie mondadoriana da edicola Urania nel 2006, versione italiana realizzata da Roberto Marini dell'inglese Science fiction from China. Quest'ultima, curata da Wu Dingbo e Patrick D. Murphy ed uscita in lingua inglese nel 1989, includeva storie pubblicate tra 1978 e 1987 da autori cinesi di Cina e della diaspora, da Tong Enzheng a Ye Yonglie, da Wang Xiaoda a Zheng Wenguang, molti dei quali mai apparsi né italiano né in inglese prima di allora. Nel 2010 gli aveva fatto seguito, sempre in Urania, Shi Kong: China Futures, curata e tradotta da Lorenzo Andolfatto dal cinese direttamente in italiano, che aveva offerto un'ampia panoramica di storie brevi uscite tra 1980 e 2006 sulla rivista Kehuan Shijie. Anche in questo caso diversi degli autori inclusi comparivano in italiano per la prima volta, come Jin Tao, Liu Wenyang, Wang Jinkang, Liu Cixin e He Xi, in tempi in cui il successo internazionale della trilogia di The Three-Body Problem di Liu (scritta a partire dal 2006 ma tradotta in inglese a partire dal 2014) non poteva ancora fungere da traino.
Nebula è ora frutto di una collaborazione della sigla Future Fiction (già collana dell'editore Mincione, ora sigla autonoma) guidata dal curatore Francesco Verso, con l’azienda cinese Storycom, l'Istituto Confucio di Milano, e la Scuola Internazionale di Comics di Roma (e quest'ultima frutta al volume quattro lussuose illustrazioni dedicate ciascuna ad uno dei racconti).
La prefazione di Wu Yan, anche autore incluso con un racconto oltre che professore alla Normale di Pechino, offre una fotografia di quanto della narrativa fantastica e fantascientifica italiana è stato tradotto ed è conosciuto in Cina, da Ermanno Libenzi a Italo Calvino, passando per Tommaso Landolfi e Anna Rinonapoli, e tratteggia un'affascinante immagine riflessa della cultura italiana, a partire dalle tre corone della letteratura, e da un Marco Polo immaginato e favoleggiato.
I quattro racconti che seguono costituiscono nel complesso una delle letture più piacevoli e stimolanti di questa annata fantascientifica. All'ordine del giorno diverse declinazioni di una tecno-scienza pienamente calata nel presente in grado di dirci moltissimo delle sfide e dei percorsi culturali dell'odierna Cina, e al contempo in grado di toccare temi caldi a livello globale.
Il management e la protezione della proprietà intellettuale per mezzo di trademarks elettronici sempre più sofisticati acquisisce un inusitato fascino in “Buddhagram” di Chen Qiufan (prima edizione cinese 2015), coniugandosi ad elementi di un buddhismo zen visto sia nelle declinazioni esornative e popolareggianti di una religiosità consumata dalla gente, sia in quelle filosofiche di un'escatologia già influente sulla produzione europea – si pensi a “The Nine Billion Names of God” di Arthur Clarke (1953), o al concetto di realtà come illusione che ha fatto la fortuna del franchise The Matrix (1999-).
Il pubblicitario Zhou Chongbo escogita un'idea vincente per promuovere il software di un cliente. Il software permette di ricostruire l'originale di un'immagine, quand'anche questa sia stata pesantemente manipolata. La chiave per acquisire grossi clienti nell'industria potrebbe essere avere successo prima di tutto sul mercato del consumo quotidiano, sotto forma di app. Far consacrare questa app da un monaco sembra poi un ottimo modo per sfruttare l'inclinazione religiosa e la credulità dei consumatori cinesi. Né il softwerista né i pubblicitari si aspettano però gli effetti miracolosi che l'app sembra avere su tutto ciò che viene con essa fotografato, e tanto meno che questo possa mettere in moto una catena di eventi che finisce per compromettere la struttura stessa della realtà.
Il maestro buddhista-tecnologista Deta paragona il ruolo di Chongbo a quello di un PNG (personaggio non giocante) in un videogioco: Chongbo ha il compito e la possibilità di porre rimedio all'accaduto. Ma che si tratti di una metafora o che l'universo sia realmente un programma (due letture che solo in fantascienza possono coesistere senza escludersi mutuamente) non ha importanza: forse a causa della moglie che lo tiranneggia (un bug, un difetto nel programma), o semplicemente seguendo il libero arbitrio, che lo porta a spendere gli ultimi momenti di vita col figlio appena nato, Chongbo rifiuta il proprio ruolo e lascia l'universo al suo destino. Convincente in questo senso la narrazione in prima persona, con l'ammiccante numerazione dei capitoli in codice binario, che solo nella chiusa giunge a far coincidere tempo della storia e del discorso nel presente (anche in senso verbale) di una piena realizzazione di ciò che sta per accadere.
Il titolo italiano, con scelta felice, privilegia un fronte ironico e lieve (rispetto alla più compresa attitudine dell'originale, Kaiguang, tenuto letteralmente nell'inglese “Coming of the Light”). E il circolo delle influenze filosofico-letterarie si chiude, con una citazione di Clarke pronunciata dal maestro Deta, quasi ad epitomizzare la natura transnazionale dell'intertesto fantascientifico oggi.
Si passa quindi al tema dell'invecchiamento della popolazione, ai droidi comandati a distanza, e alla logistica delle metropoli ormai congestionate nel commovente “L'estate di Tongtong” di Xia Jia (2014), per poi passare al divertente “Stampare un mondo nuovo” di Wu Yan (2013), in cui un'istituzione universitaria di scarsa fama deve tentare il tutto per tutto per diventare un polo di ricerca di primo piano e salvarsi così dalla chiusura, decretata da imminente riforma del sistema universitario cinese. Il racconto propone un'esilarante parodia delle logiche del mondo universitario, dove la parte scientifica del binomio fantascientifico è data dalle scienze economiche e gestionali, dal management educativo, dalle tecniche di leadership.
“Le bolle di Yuanyuan” di Liu Cixin (2004) affronta infine il tema dei cambiamenti climatici e della desertificazione, offrendo, grazie alla fissazione della giovane protagonista per le bolle di sapone, una sequenza di immagini poetiche; il racconto sembra così voler tornare alle origini della fantascienza come immaginazione applicata a una tecno-scienza svincolata dall'uso utilitaristico, per poi riportare invece la nostra attenzione all'impellenza molto pratica dei problemi che affliggono l'ecosistema in cui viviamo in misura sempre più drammatica.
Questi temi non rappresentano certo nuove acquisizioni per la fantascienza corrente, ma non è tanto l'originalità assoluta delle questioni poste, quanto l'intelligenza nel ri-uso del repertorio a fare l'interesse dei racconti. I lettori fuori dalla Cina godranno inoltre con curiosità i riferimenti al presente della Repubblica, alla cultura tradizionale, al recente passato e all'eredità della rivoluzione culturale.
I casi de Lo scudo dell'illusione e di Nebula confermano dunque alcuni elementi degni di nota del campo editoriale italiano: l'iniziativa di cui sono capaci attori di piccole dimensioni, in grado di conservare una forte vocazione progettuale e alla proposta letteraria e culturale, nonché l'estremo interesse delle letterature speculative prodotte in altre lingue, e dei generi fantastici come osservatorio privilegiato sul costituirsi e mutare di intertesto pienamente globale.