Speciale
Addis Foto Fest 2016 / La Citadella
Alla Biennale Dak’Art, nel 2014, abbiamo incontrato questa giovane donna dallo sguardo fermo e determinato, il modo di fare sicuro e un’energia contagiosa, che ti fa venire voglia di abbandonare quello che stai facendo per metterti a marciare in nome della sua causa. Si chiama Aida Muluneh. Ha un sorriso irresistibile. Fotografa di talento, attivista culturale, donna d’affari, madre, è soprattutto uno straordinario essere umano. Ogni giorno, ad Addis Abeba, la sua città natale, fa qualcosa di molto importante: riunisce intorno a sé una comunità, stimola i giovani talenti creativi, li ispira con il suo lavoro e, mattone su mattone, cerca di costruire una nuova immagine dell’Etiopia attraverso la cultura, l’arte e l’educazione. Leggete qui la storia del suo cammino quotidiano verso il cambiamento che ci ha regalato un anno fa per Why Africa?
Oggi stiamo collaborando con Aida e Addis Foto Fest 2016 e l'Istituto Italiano di Cultura locale per realizzare AtWork Addis Abeba. Si è appena concluso il workshop intensivo di 5 giorni che ha coinvolto 21 fotografi, architetti e artisti visivi locali. Il tema suggerito dal leader del workshop Simon Njami era “What is home?” Le 21 storie raccontate tra le pagine dei taccuini usciti dal workshop saranno esposti alla DinQ Gallery di Addis Abeba a partire dal 17 dicembre. L’Addis Foto Fest inaugurato il 15 dicembre durerà fino al 20 dicembre.
Mentre i taccuini prodotti durante il workshop sono esposti ad Addis Ababa vi invitiamo a leggere il testo di Simon Njami che prende l’ispirazione dall’esperienza del workshop.
lettera27
Quando ho scelto il tema di questo nuovo capitolo, non immaginavo di ritrovarmi intrappolato tra le contraddizioni con cui volevo si confrontassero gli studenti. “What is Home?” – ovvero, cosa intendiamo per “casa” – è una domanda impossibile per chi, come me, non si riconosce nella tradizionale nozione di casa che i giovani artisti etiopi hanno espresso unanimemente nella prima giornata del workshop: uno spazio dove trovare conforto, un posto legato alla famiglia, il luogo dove affondano le proprie radici. Ci siamo quindi trovati ad avere a che fare con realtà concrete, tangibili. Spazi che si possono toccare e localizzare. Se penso all’idea di casa, penso a una realtà necessariamente legata a una geografia dispersa. A luoghi interconnessi e intercambiabili. E tuttavia l’associo inevitabilmente a un’idea di permanenza. È lo spazio in cui costruiamo la nostra identità. Uno spazio che si trova, al tempo stesso, dentro e fuori di noi. Contrariamente alla concezione classica e secolare di una casa inamovibile, identificabile, riconducibile a un senso di appartenenza, e dunque a una serie di vincoli, la mia casa migrante è legata a un’idea di libertà. Un concetto apparentemente contraddittorio, poiché implica distacco, anziché attaccamento. Ho fatto mia l’idea di libertà propria degli stoici: ovvero, un’idea di libertà assoluta. Secondo la loro visione filosofica, vi sono eventi sui quali non abbiamo alcun controllo, e che possiamo chiamare contingenze, ed eventi che dipendono da noi. La nostra libertà risiede, dunque, nella nostra capacità di astrazione rispetto agli eventi esterni e di concentrazione su noi stessi. Epitteto citava l’esempio di Marco Aurelio, che “costruì una cittadella inaccessibile ai problemi causati dai moti irrazionali dell’animo: passioni e sentimenti che sono contrari alla natura”. Non so se passioni e sentimenti siano elementi che indeboliscano la ragione, ma mi piace l’idea di questa cittadella all’interno della quale è possibile evitare i condizionamenti di ciò che avviene nel mondo. È in questa cittadella che si trova ciò che io chiamo “casa”.
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