La gioia di Depero

3 Gennaio 2023

Da qualche tempo sul Futurismo si sono riaccese le luci della ribalta, come dimostrano le occasioni espositive, quali, ad esempio, l’apertura al pubblico di Casa Balla, a Roma, e le mostre recentemente allestite rispettivamente a Padova, Futurismo. La nascita dell'avanguardia, (Palazzo Zabarella, 1° ottobre 2022 – 26 febbraio 2023); a Palermo, Depero. Mito presente, (Palazzo Riso, 4 ottobre 2022 – 15 gennaio 2023) e a Mantova, Depero automatico acrobatico (Palazzo della Ragione, 1° settembre 2022 – 26 febbraio 2023).

Quest’ultima, ideata da Electa in collaborazione con il Mart (Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto), con la curatela di Nicoletta Boschiero, (responsabile della Casa d’Arte Futurista Depero), l’allestimento di Massimo Curzi e l'immagine coordinata dello Studio di Leonardo Sonnoli (autore anche di quella di Casa Balla), si è aperta in concomitanza con la 26° edizione del Festivaletteratura.

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In alto: manifesto per Casa Balla, Roma, 1921; manifesto per la mostra Depero Automatico acrobatico, Mantova, 1922 entrambi dello Studio di Leonardo Sonnoli. In basso: manifesto della mostra Futurismo 1910/1915, Padova; manifesto della mostra Depero, Mito presente, Palermo, 1922, anche questa mostra è stata curata da N. Boschiero per il Mart di Rovereto.

Fra gli artisti futuristi, Fortunato Depero (1892 – 1960) è sicuramente il più sui generis, per quell’inclinazione verso la produzione di ‘oggetti d’uso’ che lo contraddistingue, naturale sviluppo, in lui, dei complessi plastici, che Marinetti, nella premessa della Ricostruzione futurista dell’universo (11 marzo 1915), aveva definito come “nuovi oggetti costruiti dalle mani dell'artista con gli elementi astratti dell'universo.” 

Nel panorama futurista, Depero, insieme a Giacomo Balla, si è occupato anche di quelle ‘cose’ che adesso, prodotte su più vasta scala, si chiamano di design e che allora si chiamavano invece di Arte Applicata. Questa scelta di campo la deve sicuramente alla sua formazione giovanile e al luogo in cui è avvenuta, oltre che agli importanti incontri che avrebbe fatto successivamente con l’universo Futurista ed i suoi accoliti.

A noi, oggi, questa sua scelta appare trascurabile, tanto la riteniamo normale, abituati come siamo alla convivenza fra le arti e alla multidirezionalità delle ‘azioni’ degli artisti, ma, all’inizio del secolo scorso, la distanza fra le cosiddette Arti Maggiori (pittura, scultura e architettura) e quelle definite invece Minori (Arti Applicate) era piuttosto marcata, per non dire addirittura insormontabile. Essa aveva persino risvolti che coinvolgevano il prestigio degli stessi artisti, i quali, ovviamente, disdegnavano le seconde. Ci sono voluti decenni e decenni di dibattito e di scelte coraggiose perché quella distanza fosse finalmente colmata e, senza dubbio, va riconosciuto a Fortunato Depero il merito di esserne stato, qui da noi, fra gli audaci artefici: egli è, insomma, insieme a Giacomo Balla, un pioniere del design. E lo è a maggior ragione se ci si riferisce a quella sua famosissima bottiglia del Campari Soda, essa sì già prodotta industrialmente, con quella sua inconfondibile forma conica per praticità di imballaggio e con il marchio impresso a rilievo sul vetro smerigliato, senza bisogno di etichetta, che è subito divenuta un’icona.

Ovviamente, Depero è stato un antesignano pure del Graphic Design, con quei suoi coloratissimi manifesti pubblicitari scanzonati e giocosi per la Campari, l’Alberti di Benevento, la San Pellegrino, la Pirelli, la Santagostino, la Lane Rossi, eccetera eccetera, e i progetti per le copertine delle riviste americane American Printer, Vanity Fair e Vogue. Maestro del lettering, inventa caratteri e, in un caso, persino tridimensionali, quando progetta il Padiglione del Libro per la casa editrice Treves e Bestetti-Tumminelli alla III Biennale di Arti Decorative di Monza del 1927. O ancora con il suo famosissimo libro, intitolato Depero futurista 1913 1927, edito da Dinamo Azari e meglio noto come Libro imbullonato, primo esempio di libro-oggetto, a cui, di lì a più di trent’anni, nella stagione dell’Arte Concettuale, ne faranno seguito moltissimi altri e dei quali egli è, ancora una volta, un precursore.

L’arte dell’avvenire sarà potentemente pubblicitaria”, ha scritto Depero nel Manifesto dell’arte pubblicitaria del 1931 e lui un contributo in questa direzione lo ha dato proprio ‘potentemente’.

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Fortunato Depero. In alto: manifesto per il liquore Strega, 1928; manifesto per il Bitter Campari, 1928; Bottiglia del Campari Soda, 1932; copertina di Vanity Fair, marzo 1931; copertina di Vogue, 1949. In basso: il Padiglione del Libro per la casa editrice Treves e Bestetti-Tumminelli alla III Biennale di Arti Decorative di Monza del 1927; Depero futurista 1913 1927, meglio noto come Libro Imbullonato Manifesto dell’Arte Pubblicitaria, 1932.

Nato a Fondo, nella trentina Val di Non, Depero si forma alla Scuola Reale Elisabettiana di Rovereto, una scuola superiore di Arti Applicate di impronta austriaca, che si poneva l’obiettivo di insegnare una “arte saldamente legata al mestiere, dove le qualità didattiche dei maestri aprivano al talento individuale e ai fermenti culturali”, come recita il catalogo della mostra che le è stata dedicata nel 2008. Sui suoi banchi, insieme a Depero, si sono inoltre formati anche il pittore Tullio Garbari, gli architetti Giovanni Tiella e l’immenso Luciano Baldessari, il patriota Giovanni Tonini e addirittura Gianni Caproni, l’antesignano dell’aviazione italiana, per la cui fabbrica di aerei Depero creerà il logo. 

È stata poi la profonda sintonia con Rosetta Amadori, che sarebbe divenuta sua moglie, a confermare il definitivo orientamento di Depero verso la cultura del fare. Con lei, sua ténor, per dirla in musica, con quella sua straordinaria abilità di cucito e di composizione di arazzi, oltre che di management, nel 1919, fonda a Rovereto la Casa d’Arte Futurista, un laboratorio creativo specializzato nella produzione di arazzi, di stoffe decorate, di capi d’abbigliamento, di giocattoli e di oggetti d’uso dall’inconfondibile verve cromatica.

La Casa d’Arte Futurista di Depero, al contempo laboratorio e punto di vendita, era chiaramente ispirata a modelli mitteleuropei, soprattutto alla Wiener Werkstätte (1903–1932). D’altronde Rovereto, fino a cinque anni prima faceva ancora parte dell'Impero austro-ungarico e le influenze culturali viennesi si facevano indubbiamente sentire. Altra cosa curiosa (sarà un caso o era veramente l’air du temps?) essa viene fondata nello stesso anno in cui, a Weimar, Walter Gropius dà vita al Bauhaus, scuola con la quale il nostro, pur magari ancora non conoscendola, condivideva gli obiettivi di equiparare arte e artigianato, in più con una sua “adesione incondizionata al mondo moderno, intendendo con questo sia l'adozione di uno stile avanguardistico, sia la glorificazione dell'industria, della scienza, della politica, della moda.” (G. Belli, ‘92)

Il successo dei lavori prodotti dalla Casa d’Arte Futurista si deve anche alla fortuna di avere avuto accesso a un bacino di manodopera qualificata di artigiani tessili abilmente diretti da Rosetta Amadori (soprattutto le roveretane Matilde Righi e Ines Fatturini).

Per quanto concerne il suo fondamentale apporto alla nascita di quel che sarebbe diventato il design, bisogna riconoscere che “Depero è un anticipatore senza eguali della scoperta della merce come prodotto artistico e culturale, tanto che risulta uno dei primi artisti europei a riconoscere, da intercettatore di immagini, il potere magico di New York.” (G. Celant, ’92)

Ricordo una bellissima mostra, realizzata a Rovereto nel 1992, (dal cui catalogo sono tratte le due precedenti citazioni), che ha ridato finalmente luce all'opera artistica di Depero, per la prima volta in modo monografico, dopo il forzato oblio conseguente alle accuse di una sua connivenza con il fascismo. (Una prima ‘riemersione’ del suo lavoro era avvenuta nel 1986, nella coraggiosa e fondamentale mostra sul Futurismo, organizzata a Palazzo Grassi, a Venezia, dal grande Pontus Hulten, con il titolo di Futurismo&Futurismi.)

Nella mostra di Rovereto si sottolineava il rapporto di Depero con il poiein greco, ovvero con l’arte del fare. Si intitolava La Casa del Mago. Le Arti Applicate nell’opera di Fortunato Depero. 19201942 ed a curarla era stata Gabriella Belli, colei che nel 1982 aveva trasformato il Palazzo delle Albere di Rovereto nella prima sede del MART.

Chapeau!

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Fortunato Depero. In alto: diorama pubblicitario per il bruxus, tavolo e sedia rivestite in bruxus; sedia, 1927. Al centro: Martellatori, 1923 (ricostruzione 2000), Mart; Orso, 1923; schizzo per sedia, 1927. In basso: Pinocchietto, 1917; panciotto a tarsie in panno, 1924; schizzi di mobili e di sedia. A destra: arazzo Festa della sedia, 1927, tarsia in panno.

Un’altra prerogativa di Depero, poi, è che egli ha molto viaggiato: dopo Roma, che lo ha consacrato futurista a vita, c’è stata Capri, 1917, dove è avvenuta la sua collaborazione con il poeta svizzero Gilbert Clavel, da cui hanno preso avvio le idee per i costumi dei Balli Plastici.

C’è stata Parigi, 1925, dove, insieme a Balla e a Prampolini, ha rappresentato l’Italia all’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes, riscattando, con la prorompente modernità delle loro opere la pedissequa osservanza al diktat mussoliniano passatista-autarchico-pseudoclassico cui era improntato l’orripilante Padiglione Italiano che le ospitava (qui su Doppiozero).

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Mantova, Palazzo della Ragione, Depero automatico acrobatico. In alto: manifesto della mostra; arazzi in tarsia in panno. In basso: tarsie lignee in bruxus; studi di manifesti per Campari.

In quella rassegna Depero vinse numerosi premi, e si trattenne nella capitale francese per un periodo di 18 mesi aprendovi persino uno studio.

E poi c’è stata New York (1928–1930). Anche se l’esperienza americana non gli ha portato il successo commerciale che auspicava, gli ha però permesso di maturare fondamentali riflessioni sul ruolo dell’arte moderna e soprattutto su quello dell’arte decorativa che gli stava maggiormente a cuore, e di mettere a punto importanti formulazioni teoriche che avrebbero poi visto la luce al suo rientro in patria e alle quali si è fatto cenno. 

Ovviamente, c’è stata Milano, che lo ha visto partecipare alle Biennali monzesi e alla V Triennale. Milano, dove, nel 1934, apre uno studio-atelier in Corso Plebisciti, n. 12 per promuovere la sua Casa d’Arte. E c’è anche la Milano di Fedele Azari, con la sua galleria-casa editrice del Libro Imbullonato e poi la Milano del suo amico e collezionista, Gianni Mattioli, il più grande collezionista di Futurismo e di Metafisica del mondo. (Dal 28 ottobre 2022 alcune opere della sua collezione sono esposte al Museo del Novecento, a Milano).

Da ogni viaggio, da ogni incontro con altri intellettuali, con altri artisti e con altre esperienze artistiche, Depero ha saputo trarre un apporto fondamentale per la propria arte.

Quando, ad esempio, a Roma, nel 1916 aveva frequentato gli artisti parigini mentre realizzava i costumi per il balletto di Sergeij Djagilev (Le chant du Rossignol di Stravinskij, che purtroppo non andò in scena), conobbe i pittori russi Michail Larionov e Natalia Goncharova, esponenti del Raggismo (che frammentava le forme per poi ricomporle secondo nuove, vibranti dinamiche), i quali esercitarono una evidente influenza sul suo lavoro grafico e persino su quello suo tessile. E che dire, poi del suo incontro con Picasso sulla scena del balletto Parade (di cui realizzarono i costumi a due mani)? Anche da lui Depero seppe trarre spunto arricchendo il proprio vocabolario espressivo e forse accadde pure viceversa.

Non a caso il catalogo della mostra di Mantova (Electa, pp. 176, € 25), anch’esso a cura di Nicoletta Boschiero, contiene una vasta sezione intitolata Souvenir de voyage, suddivisa in tre capitoli: Capri, Parigi, New York, con testi autografi del maestro futurista, che viene a costituire un ricchissimo diario di viaggio in cui è lui stesso a raccontarci degli incontri, delle esperienze, delle aspirazioni e delle frustrazioni vissuti in quei luoghi. Il capitolo finale è invece dedicato alla sua collaborazione con la Campari.

Al Palazzo della Ragione sono esposti 90 pezzi, databili fra il 1917 e il 1938. Tra questi spiccano i pannelli rivestiti in bruxus, quel materiale autarchico a base di cellulosa, inventato dalla cartiera torinese di Giacomo Bosso (bruxus è il nome latino del legno di Bosso, evidente calembour giocato sull’omonimia). E poi ci sono alcuni giocattoli (come non pensare, guardandoli, anche a quelli del suo ‘collega’ futurista sassarese Eugenio Tavolara? Alcuni dei quali sono esposti all’Archivio di Stato di Napoli, fino al 30 gennaio 2023, nella rassegna La Fiera dei Balocchi. Mostra del giocattolo antico).

Tuttavia, i protagonisti di maggior impatto visivo ed emotivo della rassegna mantovana sono gli arazzi in tarsie di panno, tra le produzioni più famose della Casa d’Arte Futurista Depero, che avrebbe chiuso nel 1942, mentre il maestro avrebbe trascorso gli ultimi anni della propria vita a progettare e a costruire la Casa Museo Depero, con un credo nel valore del proprio lavoro artistico incrollabile ed encomiabile, convinto che il tempo gli avrebbe tributato i riconoscimenti che meritava. 

E ha avuto ragione.

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