La morte al Mercatone del Mobile

27 Maggio 2015

“Era già morto da tempo”, mi ha detto il dottore abbassandosi la mascherina. Solo in quel momento ho notato che aveva la barba di almeno due giorni e i capelli in disordine; il suo aspetto trasandato mi è sembrato appropriato all’annuncio che aveva appena fatto.

“Da cosa l’ha capito?”, ho chiesto, angosciata.

“Quando ho trapanato non è uscito sangue. C’è un’otturazione molto grossa su quel dente, è come se fosse stato soffocato.”

L’idea di quella cosa morta silenziosamente, forse già da anni, dentro la mia bocca, mi ha disturbata. Poi, per una strana associazione di idee, ho pensato che, in particolari circostanze, anche io mi sento come quel dente: viva in apparenza, ma in realtà morta dentro. Per esempio, mi capita quando vado in giro per mobili.

Non sono mai andata a vivere in una casa completamente da allestire; la mia pigrizia e la necessità di risparmiare mi hanno sempre spinta a scegliere appartamenti già ammobiliati (spesso con gusto assai discutibile); forse, se l’avessi trovata, avrei comprato una casa con già tutti i mobili dentro, ninnoli compresi. Ma la mia nuova casa è vuota, e, dopo mesi di studi, ho capito che esistono solo due persone alle quali posso chiedere di accompagnarmi nella mia personale via crucis per arredarla: mia madre, con la quale comunque litigo su tutto, quindi la differenza non si nota, e il mio amico Andrea, che, misteriosamente, trova divertente fare cose come trascorrere i pomeriggi a prendere le misure dei divani o perdersi in dotte disquisizioni sulle prestazioni di questo o quell’elettrodomestico con i commessi di Mediaworld.

 

Ecco uno dei nostri dialoghi tipici:

“Sai Andrea, domenica, grazie anche a un paio di bicchieri di rosso, ho trovato il coraggio e sono entrata in quel mobilificio di cui mi avevi parlato… ho trovato il divano che cercavo! Ho fatto delle foto, ti piace?”

“Mi sembra un po’ grande. Ti eri portata la piantina della casa?”

“Beh, a dire la verità no. Sono andata a occhio.”

“Interessante. Quindi hai comprato un divano quattro posti con penisola e pouf abbinato senza sapere se ti entrerà in soggiorno?”

 

Da allora ho considerato più prudente farmi accompagnare sempre da qualcuno nei miei acquisti.

Andrea ed io eravamo appunto in uno di quei megastore hi-tech dai nomi vagamente minacciosi, un pomeriggio verso le 18, quando, sopraffatta da luci, musica e gente accalcata, l’ho supplicato:

“Usciamo, ti prego.”

“Un momento”, ha risposto lui, che stava controllando sull’etichetta se il 32 pollici in offerta fosse o meno full HD, “il commesso è andato a guardare se ce n’è ancora uno in magazz…”

Ma, voltandosi, ha visto la mia faccia stravolta, e si è lasciato trascinare via senza protestare.

 

“Io, comunque, non ho ancora capito come vuoi arredare lo studio”, ha sibilato una volta in macchina, intendendo: “Sei una donnetta isterica e inconcludente.”

“Non l’ho capito neanche io”, gli ho risposto, evitando per un pelo il frontale con uno che voleva accaparrarsi il mio parcheggio prima che ne fossi uscita del tutto. Poi ho continuato: “A volte mi chiedo che senso abbia tutto questo. Voglio dire, prima o poi tutti dovremo morire, no? E allora perché perdere ore e ore della nostra vita a scegliere una lavastoviglie, a farci fare i preventivi per le librerie su misura, a sfogliare i volantini dei centri commerciali per cercare le lavatrici in offerta? Perché non dedicare il nostro tempo, che è una risorsa scarsa, ad attività più nobili, più utili, a qualcosa che possa renderci migliori?”

“Hai ragione”, ha risposto lui, ma voleva dire: “Sei più molesta del venditore di rose a mezzanotte in piazza di Spagna quella volta in cui volevo provarci con Stefania.”

“Ora però gira lì a destra, dobbiamo andare all’Ikea”, ha aggiunto, sadico.

“Ma perché?”

“Come “perché?”, non ti ricordi che volevi cercare una scarpiera e la libreria per l’ingresso?”

“Oh, quello. No.”

“Come “no”?”

“Ho ordinato tutto via internet. Me le hanno consegnate due settimane fa.”

“Ah”, fa lui, deluso. Gli piace tantissimo andare all’Ikea. Ognuno ha le sue perversioni.

“Dai, passiamoci lo stesso, così vedo qualche lampada.”

Andrea sorride, contento come un bambino sulla strada per il luna park.

“E come va con Filippo?”, mi chiede, pregustando già le specialità svedesi della Bottega Svedese e le occasioni dell’Angolo delle Occasioni.

“Mah… alti e bassi.”

“Oddio. E perché?”

“Sai, si era offerto di montare quei mobili che ho comprato su internet. “Se lo farà davvero, il minimo è chiedergli di sposarmi”, ho pensato.”

“Quindi volevi liberarti di lui?”

“In che senso?”

“Niente. Tornando ai mobili, in due settimane non ha ancora trovato il tempo di montarli?”

“Per la verità sì, ha tentato.”

“E?”

“Un disastro totale. Dopo due ore che combatteva contro la brugola ha confessato: non è capace.”

“Allora non lo sposi.”

“No. Non lo sposo.”

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