Leonid Tsvetkov. Disturbance
Rien se ne perd, rien se ne crée. Con queste parole, in pieno Settecento, Antoine Lavoisier definiva la prima legge di conservazione della massa cambiando radicalmente quella che sarebbe stata di lì a venire l’evoluzione della fisica e della chimica. Lo stesso principio fu poi infatti alla base degli studi sulla termodinamica, prima, e successivamente di quelli sulla relatività di Einstein.
Parte da una considerazione simile l'artista russo-americano Leonid Tsvetkov (1980) nella sua mostra Disturbances, curata da Manuela Pacella da Ex-elettrofonica (fino al 30 maggio). Nel suo caso però le trasformazioni fisico-chimiche si abbinano alla suggestione per quelle del tessuto urbano e dei reperti archeologici di Roma, in relazione alla loro specifica funzione e uso.
Lo spazio della galleria è animato dalla presenza di colonne cielo-terra, che sono, a guardarle meglio, degli assemblaggi di moduli cementizi: singoli pezzi colati all’interno di calchi ricavati da confezioni alimentari e simili (vasi, bicchieri, contenitori) infilate una sopra all’altra. Dal cemento alla carta stampata, il secondo corpo di opere (A4) è una selezione di fogli strappati da libri di architettura. Qui i progetti di basiliche e luoghi emblematici del potere sono sopraffatti dalla trasformazione dei supporti di carta, sottoposti al processo di elettrolisi terminato il quale sono stati asciugati e incorniciati. Ora illeggibili, le architetture disegnate sono state aggredite e decomposte allo stesso modo in cui la vegetazione invade i resti di una rovina abbandonata.
Il destino delle costruzioni umane è inevitabilmente legato al loro uso concreto, suggerisce Tsvetkov, che ha avviato questa riflessione già l’anno scorso durante la sua residenza all’American Academy di Roma. In quell’occasione aveva creato un'installazione, Everyday Downfall, in cui calchi di cemento tratti da confezioni e bottiglie di plastica si mimetizzavano tra i fregi e i frammenti archeologici romani della Villa Aurelia. Il punto di partenza del lavoro era il cumulo di frammenti di anfore che hanno creato nell'antichità il Monte dei cocci a Testaccio, oltre alla presenza sparsa dei resti antichi e di varie epoche nella città.
Everyday Downfall, 2013. Installazione all'American Academy in Rome
Cosa sono allora le "sculture" e le carte esposte da Ex-elettrofonica? Degli antimonumenti? Delle antiarcheologie? Quale la chiave di lettura? Una critica al consumismo o una sua ammissione come dato della civiltà attuale? O più ancora uno specifico modo di intendere i segni del passaggio temporale?
Dai cocci romani al packaging globale, nelle intenzioni di Tsvetkov la reinvenzione dei reperti ha il senso di una perturbazione, di un "disturbo" e di una contaminazione imprevedibile sia della lettura storica che della percezione contemporanea. Così l’archeologia, segno del passato, ma anche residuo o scarto, è letta da una prospettiva presente che ne rinnova la materia e la memoria.