Moralità psichedelica

1 Marzo 2024

Secondo il senso comune un farmaco è un prodotto medicinale impiegato a scopo terapeutico per alleviare un sintomo o porre rimedio a una patologia in atto. La possibilità che una persona in salute faccia uso di farmaci non è contemplata se non nell'ambito di un consumo voluttuario dove il farmaco, altrimenti definito droga o stupefacente, lungi da apportare benefici, è responsabile di un comportamento classicamente definito dannoso per sé e per gli altri. Certamente c'è una minore consapevolezza che persone non bisognose di ausili terapeutici e nemmeno in cerca di esperienze voluttuarie, facciano ciononostante uso di farmaci nella quotidianità. Un uso che in realtà è sempre più diffuso e che è definito strumentale in quanto mirato a creare uno stato soggettivo, soprattutto mentale, che aiuta al conseguimento di precisi e immediati obiettivi. Tipicamente questo uso si rivolge ai "potenziatori farmacologici", una classe eterogena di farmaci accomunata dalla capacità, reale o supposta, di aumentare particolari capacità mentali e/o fisiche. Abbiamo così i "potenziatori cognitivi", di cui il ritalin (metilfenidato) è certamente il più noto, indicati nel disturbo di deficit dell'attenzione nel bambino e poi vastamente impiegati da chi vi trova un aiuto nella propria quotidianità professionale o di studio; i “performance and image enhancing drugs”, rappresentati innanzi tutto dagli anabolizzanti steroidei e utilizzati da chi cerca un rimodellamento muscolare più da esibire che da sfruttare; e poi i molti agenti impiegati nelle pratiche di chemsex per aumentare la prestazione sessuale. Molto interesse interdisciplinare si sta dedicando a questa nuova frontiera della farmacologizzazione del quotidiano e si rimanda chi voglia approfondire l'argomento ad una serie di articoli ad esso dedicati dall'International Journal of Drug Policy (Special Section: Human Enhancement Drugs, Vol. 95, September 2021). 

Qui si vuole invece richiamare l'attenzione su una nuova possibilità di potenziamento farmacologico: quello a carico del senso morale. Che ciò sia possibile è certamente sorprendente e in effetti aumentare la moralità è qualcosa di profondamente diverso dal potenziare le capacità cognitive di una persona; se quest'ultimo effetto consiste nel provocare temporaneamente uno stato mentale che facilita la soluzione di problemi cognitivi qualunque ne sia la natura, nel caso del potenziamento morale sono le circostanze che determinano in che misura un effetto –l'empatia, ad esempio – prodotto dal farmaco si traduce in un aumentato comportamento morale. Come è stato sottolineato, si può dare il caso che l'effetto empatico provochi l'esatto contrario, è l'esempio del giudice che, convogliando tale effetto verso l'imputato, trascura le soverchianti prove a suo carico, mandandolo assolto. È evidente che l'aumento dell'empatia causa un evento che è contrario al senso di giustizia, altro aspetto intrinseco della moralità (Sparrow R., ‘Egalitarianism and Moral Bioenhancement’, The American Journal of Bioethics, 2014; 14.4: 20–28.). Pertanto secondo il filosofo britannico Brian Erp (Earp, B. D., 'Psychedelic moral enhancement'. Royal Institute of Philosophy Supplement, 2018; 83: 415-439), il potenziamento morale, differentemente da quello cognitivo indotto dal Ritalin, deve essere flessibile in funzione dei contesti, oltre che robusto e sostenibile. 

Tra tutti i farmaci psicotropi, quelli che sembrano meglio assolvere il compito di "moral enhancer" sono gli psichedelici, svelatori della psiche, secondo il neologismo coniato dallo psichiatra Humphrey Osmond in sostituzione di allucinogeni e psicotomimetici, termini che poco gradevolmente richiamavano certe somiglianze tra gli effetti di questi farmaci e la condizione mentale dello schizofrenico. Per quale ragione LSD, psilocibina, o l'infuso Ayahuasca dovrebbero aumentare il senso morale dei loro consumatori non è immediatamente intuibile e deriva dalla peculiare attività psicofarmacologica di questi farmaci. Ciò che Osmond definì a metà del secolo scorso psichedelico consiste in una profonda alterazione dello stato di coscienza – il cosiddetto trip – che, su base meramente empirica ma con successo, trovò subito applicazione terapeutica in particolari condizioni come l'alcolismo e lo stato ansioso-depressivo del malato terminale. Nel contempo quell'alterazione dello stato di coscienza si fece strumento di supposto accesso al soprannaturale sotto l'insegna di due versi del poeta inglese William Blake – «Se le porte della percezione fossero sgombrate,/ Ogni cosa apparirebbe com’è, infinita» – da cui Aldous Huxley trasse il titolo, Le porte della percezione, per un suo saggio che quasi sembrò suscitare se non proprio una nuova religione, almeno un movimento spirituale. Gli psichedelici divenendo di conseguenza enteogeni, capaci cioè di portare la divinità dentro di sé.

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Per ciò che qui concerne e cioè il "potenziamento della moralità", di particolare interesse sono state le ricerche condotte da Roland Griffiths presso la John Hopkins University di Baltimora. Esse hanno ripreso il cosiddetto Esperimento del Venerdì Santo (del 1962) dove studenti di teologia ascoltarono il sermone religioso sotto effetto della psilocibina o del placebo in un disegno sperimentale a doppio cieco. Come già osservato allora, le ricerche dello psicofarmacologo americano hanno rilevato, attraverso l'uso di opportuni strumenti psicotecnici, che la psilocibina induce uno stato mentale che in alcuni dei soggetti di studio è stato assimilato a un’autentica esperienza mistica. Nel proseguimento dei suoi studi Griffiths ha preferito sostituire l'espressione "esperienza mistica" con un più laico "quantum change experiences", "esperienze improvvise, peculiari, benevoli e spesso profondamente significative" capaci di causare "trasformazioni personali che riguardano un ampio ventaglio di emozioni, conoscenze e comportamenti […]." Se a distanza di sedici mesi erano rivalutati con un questionario di misura dei tratti di personalità, coloro che avevano avuto una piena esperienza "mistica" mostravano elevati punteggi per quanto riguarda la franchezza (openness). Come ha notato la filosofa spagnola Virginia Ballesteros (Ballesteros V., 'Applied Mysticism: A Drug‐Enabled Visionary Experience Against Moral Blindness' […] Zygon®, 2019), la franchezza è associata a flessibilità cognitiva e predisposizione all'esplorazione, due elementi importanti nel perseguire un ampiamento delle qualità morali. Altri studiosi hanno colto la capacità degli psichedelici di aumentare le capacità di prendere coscienza delle cose (mindfulness), di provare vicinanza agli altri (connectedness), di sentirsi vicini alla natura e di operare in senso ambientalista; non ultimo per importanza, c'è una diminuita tendenza al narcisismo. Infine, il filosofo australiano Chris Letheby (Chopra, S., and Letheby C., “Psychedelics and Moral Psychology: The Case of Forgiveness”, Philosophical Perspectives on Psychedelic Psychiatry. Oxford University Press, 2024.) ha analizzato a fondo la possibilità che l'assunzione di psichedelici possa facilitare il perdono sia nella sua componente razionale che emotiva.

A questo punto è ovvio chiedersi attraverso quale meccanismo gli psichedelici provocano effetti così peculiari. Secondo una interpretazione, lo psichedelico provocherebbe un reset dei sistemi cognitivi implicati nell'auto-rappresentazione tale da modificare il sé fenomenico che filtra e organizza il flusso di informazioni che provengono dalla realtà esterna. In altre parole, lo psichedelico porterebbe il soggetto a mutare la propria rappresentazione della realtà. È importante notare che questa interpretazione è coerente con la teoria generale (Relaxed Beliefs Under Psychedelics: REBUS) di azione terapeutica degli psichedelici in alcune patologie mentali, quali la depressione maggiore e il disturbo da stress post-traumatico, formulata recentemente dallo psicofarmacologo britannico Carhart-Harris: “… attraverso il loro effetto entropico sull’attività corticale spontanea, gli psichedelici allentano la precisione delle priorità o convincimenti di più alto livello, liberando quindi il flusso bottom-up di informazioni, particolarmente quelle provenienti da fonti intrinseche quale il sistema limbico” (Carhart-Harris, R. L., and Friston K.J. 'REBUS and the anarchic brain: toward a unified model of the brain action of psychedelics.' Pharmacological reviews 2019).

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Un esempio di questa riconsiderazione, farmaco-indotta, dei convincimenti di più alto livello è stato fornito da un case report pubblicato dal gruppo di ricerca dell'Università di Chicago diretto dalla professoressa Harriet de Wit e ripreso in un articolo della BBC. In breve, un giovane di 31 anni esponente di un gruppo suprematista bianco, perde il lavoro e molte delle sue relazioni personali quando la sua attività estremista diviene di dominio pubblico. Privo di sostentamento, senza nulla con cui riempire le giornate e ancora in una fase negativa di recriminazione non per i suoi convincimenti ma per essersi fatto scoprire, decide di partecipare a una sperimentazione farmacologica presso il laboratorio della professoressa de Wit, appunto. Come ha raccontato alla giornalista della BBC, mezz'ora dopo avere assunto, senza saperlo, MDMA (Ecstasy), comincia a pensare: "Aspetta un attimo – perché sto facendo questo? Perché ho sempre pensato che fosse giusto compromettere i rapporti con quasi tutti nella mia vita?" Nel corso dell'esperimento più il tempo passava e più intensamente provava un sentimento che poteva verbalizzare solo con una parola: "connection". A due anni di distanza da quella improvvisa esperienza, il percorso di ravvedimento era in atto ancorché lontano dal concludersi: "Ci sono momenti in cui ho pensieri definitivamente razzisti e antisemiti. Ma ora posso rendermi conto che questo tipo di pensieri danneggia molto più me stesso che gli altri." 

Il caso appena descritto è sicuramente peculiare in quanto apparentemente consistente in un effetto primario e improvviso del farmaco psichedelico, una sorta di illuminazione; in genere infatti l'effetto farmacologico è di facilitazione dell'azione svolta da interventi concomitanti consistenti in particolari messaggi forniti in un altrettanto particolare contesto. Valga come esempio l'ulteriore evoluzione degli studi condotti da Griffiths nei quali la somministrazione di psilocibina era associata a un programma definito non settario di meditazione mirato a promuovere l’integrazione di valori spirituali nella quotidianità. Ne risultava un indubbio aumento dell'intensità di tali valori che persisteva ancora sei mesi dopo l'esperimento. Ma in cosa consistevano questi valori? L’utilizzo di uno specifico test psicometrico mostrava che essi erano di natura fortemente conservatrice: rispetto per la tradizione, moderazione nei sentimenti e nelle azioni, umiltà, accettazione delle circostanze della vita e conservazione delle credenze religiose e della fede. I risultati di questo esperimento giustificano la preoccupazione espressa in termini meramente speculativi da Erp (2018, cit.): "[…] piuttosto che gente psicologicamente emancipata, un setting istituzionalizzato o clinico potrebbe svolgere la funzione ideologica di formare soggetti che si conformano al meglio alle aspettative della società". Un altro studioso ha osservato che sul lungo periodo questo effetto è socialmente disfunzionale: "il dissenso morale – inibendo potenzialmente la costruzione del consenso – è in realtà una importante caratteristica della società" poiché "senza il dissenso, il buonsenso comune procede incontrastato e il progresso morale diviene essenzialmente impossibile." (Schaefer G.O., ‘Direct vs. Indirect Moral Enhancement’, Kennedy Institute of Ethics Journal, 2015). 

È il caso di ricordare che questi dilemmi sono stati oggetto della letteratura distopica della prima metà del Novecento. Naturalmente il pensiero va subito ad Aldous Huxley e ai suoi Il mondo nuovo e L'isola, il primo con il soma capace di manipolare la libera volontà degli individui, il secondo con il moksha che invece apriva le porte dell'empatia e del misticismo. A mio avviso ancor più anticipatore delle attuali preoccupazioni di bioeticisti e filosofi circa le tecnologie della moralità è il davamesc B2, lo psichedelico in cui ci imbattiamo leggendo Insaziabilità, romanzo di quasi un secolo fa (1929) dello scrittore polacco Stanislaw Witkiewicz. Il romanzo è vagamente collocato tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, quando un Occidente dilaniato tra fordismo, bolscevismo e fascismo attraversa una profonda crisi che, ancor prima che politica, è di civiltà, e attende impotente di essere sommerso dalla marea cinese che preme ai suoi confini orientali. Nell’ultima parte del romanzo l’intreccio svela un ruolo sempre più importante di una nuova droga che proviene dall’Oriente, il davamesc B2 appunto, un "narcotico infernale, i cui effetti visionari superavano di cento volte la realtà più evidente", opera dei "cervelli più ferrati tra i chimici cinesi, scomponendo e riunendo gli innocui elementi C, H, O e N in fantastiche formule strutturali". La droga era diffusa da una setta misticheggiante capeggiata da un santone al servizio dei cinesi e si era dimostrata uno strumento formidabile per fiaccare la resistenza all’invasione nella misura in cui la fede e le pillole di davamesc indebolivano la personalità degli adepti, uccidendo in loro "qualsiasi intuizione del futuro, qualsiasi capacità di integrare i vari momenti in una costruzione della vita a lunga scadenza. Ne conseguiva una totale polverizzazione dell’io in una serie discontinua di istanti, con l’implicita possibilità di sottomettersi a qualunque disciplina, forse pure insensata o financo meccanica".

Ora che questi farmaci hanno cessato di essere immaginari per diventare concrete realtà all'interno di una strisciante farmacologizzazione del quotidiano, sempre più chiaro si fa il doppio taglio di strumenti che con troppo ottimismo si sono definiti "potenziatori morali", potendo divenire anche efficaci strumenti di manipolazione morale. È auspicabile che la voce della bioetica si faccia sentire sempre più chiaramente prima che gli incubi distopici del davamesc diventino realtà.

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