New York sceglie de Blasio
Domani i newyorkesi eleggeranno il nuovo sindaco e volteranno pagina dopo i dodici anni dell’amministrazione Bloomberg, la più lunga della storia della città. I due candidati sono il democratico Bill de Blasio e il repubblicano Joe Lotha. Come tutti sapranno, l’elezione è già decisa. In base all’ultimo sondaggio che ho visto, uscito il 21 ottobre, De Blasio godeva infatti sul suo avversario dell’abissale vantaggio di 42 punti percentuali, 68 contro 24.
Nel linguaggio politico locale, de Blasio è un ultra-liberal, più o meno un radicale di sinistra. Nel 1988, quando aveva 26 anni, se ne andò in Nicaragua a distribuire materiale umanitario raccolto in chiara opposizione alla politica anti-sandinista del governo degli Stati Uniti. Oggi, in campagna elettorale, ha ricordato come a New York esistano 400.000 milionari, mentre il 47% della popolazione vive in condizioni di povertà o semi-povertà. De Blasio propone di tassare i primi (a partire da un imponibile di 500.000 dollari) per finanziare gli asili nido e i doposcuola. È anche favorevole a un controllo più stretto sulla polizia della città, per evitare che la repressione del crimine si accompagni a un’erosione dei diritti civili dei cittadini.
La svolta nei confronti del sindaco uscente è drastica. Bloomberg è uno straricco (tredicesimo nella classifica Forbes), pro-business e di formazione neo-liberale. È stato però un conservatore illuminato, distante, su questioni come l’aborto o l’immigrazione, dalle posizioni del partito Repubblicano nelle cui liste si era presentato nel 2001 e nel 2005 (nel 2009 si è schierato come indipendente).
Durante la sua amministrazione si è verificato un autentico boom delle costruzioni edili, con grappoli di grattacieli tirati su a Manhattan, Brooklyn e Long Island City. Però, nello stesso periodo, New York è anche diventata una città di ciclisti, grazie al sindaco che ha incentivato in ogni modo la costruzione di piste e corsie ciclabili. In un certo senso Bloomberg ha contribuito a creare un problema, il traffico, inevitabile prodotto della speculazione edilizia, e ha anche lavorato alla sua soluzione, l’incremento della circolazione su due ruote.
L’ovvia domanda è come si spieghi un cambio così deciso quale quello che si profila con il passaggio da un’amministrazione Bloomberg ad una de Blasio. Intanto bisognerà vedere se il mutamento sarà così profondo come quello prospettato in campagna elettorale, se insomma l’agenda del sindaco corrisponderà ai programmi del candidato. In attesa di questa verifica, mi sento di dire che l’ampia maggioranza che sostiene de Blasio ha una base sia economica che demografica. A New York come dappertutto, negli ultimi dieci anni il divario fra ricchi e poveri si è allargato in maniera vistosa, con l’aggravante che qui si sta tutti un po’ stretti, per ragioni di spazio, e che così la distanza si nota più che da altre parti.
Nello stesso periodo, poi, la demografia della città si è modificata in modo da creare le basi per una maggioranza democratica di lungo termine. I bianchi sono scesi al 33% della popolazione, mentre neri e ispanici arrivano insieme al 50%. Anche se questi dati non si rispecchiano immediatamente nella composizione del corpo elettorale - il 22% degli adulti di New York sono stranieri privi di cittadinanza e quindi di voto - sono comunque il segno di un’alterazione strutturale degli equilibri inter-etnici della città. In altri termini, gli strati sociali che si sono impoveriti durante l’amministrazione Bloomberg, dispongono ora di una solida maggioranza numerica fra gli elettori. Il progetto di de Blasio è di trasformarla in maggioranza politica.
Credo che il vero banco di prova del nuovo sindaco sarà costituito da due problemi che riceverà in eredità dalla passata amministrazione. Il primo riguarda il rapporto città territorio. Un anno fa, l’uragano Sandy ha dimostrato come le aree costiere, su cui si era costruito spensieratamente, non fossero così sicure come si era immaginato. Il disastro naturale ha colpito al cuore quel modello di città in perenne espansione che Bloomberg aveva promosso. Nei prossimi decenni, New York dovrà fare i conti con un inevitabile restringimento del suo spazio vitale e con spese enormi per la protezione dei litorali.
L’altro scomodo lascito dell’era Bloomberg è rappresentato dai rapporti tesi fra la polizia e le comunità nere e ispaniche. Un aspro contenzioso legale è in corso da più di un anno per determinare se i fermi e le perquisizioni personali siano condotti in maniera discriminatoria nei confronti di gruppi etnici considerati apriori come pericolosi. L’inasprimento della pressione disciplinare sulle fasce più povere della popolazione, a ben vedere, è la conseguenza dell’ampliarsi delle fratture, in termini di reddito e di speranza di felicità, che attraversano il corpo sociale. In campagna elettorale de Blasio si è presentato come la persona in grado di ridurre le tensioni fra forze di polizia da una parte, afroamericani ed ispanici dall’altra.
Non avrà un compito facile il nuovo sindaco, questo è evidente. Il contesto politico e culturale nel quale opererà nei prossimi anni non sembra infatti favorevole a politiche di espansione della spesa sociale. De Blasio potrebbe insomma fallire per la realtà effettuale che non lo consente. Ciò che mi sentirei in ogni caso di chiedergli è di far crescere lo spirito di New York, quello che si respira in metropolitana quando ci si accorge che, pur avendo tutti facce irrimediabilmente diverse, riusciamo a pigiarci nello stesso vagone in maniera, tutto sommato, civile. Poi la maggior parte di noi torna alla propria comunità, questo è inevitabile, ma il pezzo di strada insieme lo si è fatto. Ecco, io vorrei che de Blasio riuscisse ad allungare, magari anche di poco, quel tratto in comune.