Speciale
Occhio rotondo 38. Pescatrici
Tuffatrici o nuotatrici? Le due ragazze si sono appena gettate in acqua dalla barca e ora aprono le braccia per nuotare. Devono raggiungere il fondo del mare per una immersione che dura quarantacinque o cinquanta secondi, al massimo un minuto. Recano legata a una gamba una corda che è la loro ancora di salvezza: tenuta ferma da un giovane posizionato sulla barca costituisce la protezione estrema. Se non risalgono, lui le tira all’insù, ma già dopo quel breve lasso di tempo, quasi un lampo, le ragazze danno uno strattone al cavo, e chi sta di sopra recupera la cima con la massima velocità e forza. Sono due corpi nudi, rivestiti solo dal perizoma che copre il sesso femminile, forme chiare nello scuro dell’acqua. Le giovani donne Ama scendono per pescare sulle rocce gli awabi. Sono conchiglie che contengono un mollusco molto prelibato e assai ricercato in Giappone, che se ne sta nascosto là dove le alghe sono più fitte; le ragazze devono scovarle e staccarle con un colpo secco dello strumento che portano infilato nella cintola.
Nello scatto di Fosco Maraini non sono solo delle donne e delle pescatrici, bensì due divinità marine: “i loro corpi abbronzati dal sole e dal salmastro sono l’immagine dell’umanità delle origini”. Nel 1954 lo scrittore, orientalista, antropologo e fotografo si reca con una piccola troupe cinematografica sulle cosiddette Sette Isole a venti chilometri dalla penisola di Noto. Cerca una popolazione in cui le donne praticano per alcuni mesi dell’anno l’attività d’immersione e pesca. Finalmente le trova in due isolette, Hegura e Mikurìa. Vuole riprenderle mentre svolgono la loro azione, ma la cosa non risulta semplice per la diffidenza e la ritrosia del capo villaggio. Poi con un piccolo colpo di genio Fosco riesce a infrangere il muro. Andato a pescare con un fucile sottomarino, cattura un budo, un dentice, e, mentre torna dalla caccia con la sua fiocina e la sua preda sotto braccio, chiede all’amica che l’accompagna, Penny, di togliersi il reggiseno e di restare con solo lo slip, così come usano fare le donne Ama. S’avviano a piedi verso il villaggio e lo stratagemma funziona: il pesce, il fucile e il petto nudo colpiscono gli Ama, e gli consentono di procedere alle riprese delle ragazze. Nel libro in cui è raccontato l’incontro con “le amazzoni dell’oceano”, L’isola delle pescatrici (La Nave di Teseo), Maraini mostra tutto il suo talento di narratore e di fotografo.
Tratte da fotogrammi del film o da scatti fotografici, le numerose immagini contenute nel libro ci mostrano un mondo scomparso, cancellato dal progresso, una realtà antichissima e arcaica ritratta con i moderni strumenti ottici della civiltà occidentale. Mentre a Lugano si tiene una retrospettiva del lavoro fotografico dell’antropologo fiorentino, scomparso nel giugno di vent’anni fa (L’immagine dell’empresente. Fosco Maraini, a cura di Francesco Paolo Campione, MUSEC, Skira), ritorna finalmente in libreria questa piccola opera, una delle più belle ed esemplari della sua attività narrativa e visiva. Come si comprende sfogliando questo volumetto, dal sapore insieme antico e attualissimo, Maraini si muove a suo agio sia nella prosa come nella fotografia. Guardando e leggendo le vicende dell’incontro con gli Ama, con le divinità marine dell’isola, le fanciulle pescatrici, ci si rende conto che il tempo in cui vive l’opera dell’autore – sono trascorsi settant’anni da allora – è mitico e insieme archetipico. Molte delle immagini scattate o riprese da Maraini sembrano uscire dal tempo presente per collocarsi in quello che Gian Carlo Calza nella prefazione al volume definisce in illo tempore, indicando con questa formula il tempo eterno d’una vicenda che ridiventa attuale e viva nel momento stesso in cui si la si rivive in immagine. E questo per la forza e lo stile dell’esperienza che narra.
Le pescatrici a seno nudo, sorridenti e allegre, coraggiose e concentrate, sono altrettanti Kouroi, statue greche del periodo arcaico, ma qui di sesso femminile. Invece di osservarle in un museo dedicato alle antiche civiltà, le vediamo muoversi davanti all’obiettivo di Maraini con la grazia e l’eleganza di quel tempo lontano per noi inattingibile. Il documentarista e scrittore fiorentino possiede il tocco magico di chi sospende ciò che ritrae con la fotografia in una bolla temporale in cui anche noi possiamo entrare. Un piccolo miracolo che si ripete ogni volta che guardiamo le tuffatrici e nuotatrici immerse nel mare, ferme per sempre, eppure dirette verso l’abisso oscuro dell’oceano.
Appena tuffate si dirigono verso il fondale © Fosco Maraini.
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