Tommaso Campanella / D’Italia
Se per tutto il Rinascimento cospicua è stata la produzione di testi ispirati alla nazione – specie nell’ambito del petrarchismo civile – , nel Seicento, sul versante della poesia, si rinvengono poche occorrenze significative del tema Italia. Tra esse spicca un sonetto di Tommaso Campanella, D’Italia (1622), nel quale torna il topos della personificazione femminile della nazione (La gran donna, ch’a Cesare comparse) e, dello stesso autore della Città del sole, una serie di otto madrigali Agl’italiani, che attendono a poetar con le favole greche, contro la pessima voga per la quale “gli Italiani cantano le bugie de’ Greci, e non le sue veritadi”.
La gran donna, ch’a Cesare comparse
sul Rubicon, temendo a sé rovina
dall’introdotta gente pellegrina,
onde ‘l suo imperio pria crescer apparse,
sta con le membra sue lacere e sparse
e co’ crin mozzi, in servitù meschina.
Né già si vede per l’onor di Dina
Simeone o Levi più vergognarse.
Or, se Gierusalemme a Nazarette
non ricorre, o ad Atene, ove ragione,
o celeste o terrestre, prima stette,
non fiorirà chi ‘l primo onor le done;
ché ogni Erode è straniero, e mal promette
serbar il seme della redenzione.
Questo sonetto è fatto perché l’intendano pochi; né io voglio dichiararlo. L’istoria di questa donna, che comparse a Cesare in visione, passando il Rubicon, fiume di Cesena, per venir contra il senato, è Italia col capo suo, Roma. L’istoria di Dina sverginata da Sichem e vendicata da Simeon e Levi, figliuoli di Giacob, che dinotano il sacerdozio e ‘l popular dominio, sta nel Genesi, ed oggi ecc. “Gierusalem” vuol dire vision di pace, e Roma è suo figurato. “Nazaret” vuoi dir fiore, e “Atene” similmente. Qui legit intelligat. Vide Dante, in Paradiso, canto 9. Erode, perché finse serbar il seme ecc.
Edizione di riferimento: Tommaso Campanella, Le poesie, a c. di F. Giancotti, Einaudi, Torino 1998