Altan, l'ottimista
Altan ha orecchio. Lui capta le parole nell’aria e le trasforma in frasi. Nell’aria c’è tutto: il pensionato che deve comprare i sacchetti biologici per l’umido, l’uomo che confida nel tornado che ripulirà, l’annunciatrice televisiva che trasforma le targhe alterne in polmoni alterni, il negazionista che sospetta il complotto del clima, eccetera.
Basta saper ascoltare, ascoltare bene, ovvero capire il significato recondito delle frasi. Perché i personaggi delle sue vignette parlano chiaro, senza infingimenti, non sono bugiardi, anche se non dicono sempre la verità. La verità delle vignette che da anni Altan pubblica su testate come “La Repubblica” o “L’Espresso”, e prima “Linus” e altre, è tutta nel disegno che accompagna le frasi. Il disegno non mente: dal disegno capisci tutto. I ritratti dei suoi personaggi rappresentano quello che gli studiosi definiscono l’aspetto paralinguistico della frase; è il tono in cui la frase viene pronunciata: acuta, acida, bizzosa, dolente, meravigliata, cinica, romantica, spietata, eccetera. E ne svela il vero contenuto.
I personaggi di Altan sono appunto personaggi, cioè attori di una recita, una commedia che da anni e anni si svolge sul palcoscenico della realtà, quella realtà che ci circonda e a cui spesso non riusciamo a dare un senso o un significato. Ma basta che Altan afferri la frase pescata nell’aria, la rielabori, la scriva e vi ponga accanto il suo personaggio, e tutto diventa chiarissimo, ma al tempo stesso irrimediabile.
Altan, lo si è detto a iosa, è uno straordinario sociologo e un antropologo degli italiani – e persino uno psicologo per quanto non si proponga di curare nessuno –, ma prima di tutto Altan è un commediografo. Le sue commedie, o tragedie che siano – sono una crasi tra tragedia e commedia: è il tragicomico italico –, funzionano ad atto unico. Si apre la scena. C’è un padre con la figlia, una figlia con la madre, un marito con la moglie, eccetera. Lei fa una domanda, lui risponde. Cala il sipario. Fine. Ma questa fine è anche un inizio, dal momento che non solo da decenni Altan insiste sui medesimi temi e problemi, come si vede in questa mostra, ma pure aggiunge, chiosa, commenta.
Le sue vignette, alcune delle quali indimenticabili – c’è chi le ritaglia e le appende in casa, altri le fotografano e le distribuiscono sui social –, sono oramai delle meta-vignette, opere di secondo livello, a volte persino di terzo, perché senza ripetersi, pur parlando delle medesime cose – inquinamento, corruzione, cinismo, menzogne, vigliaccheria, catastrofismo –, citano sé stesse, diventando il commento di sé stesse. Insistono ma non annoiano.
Viste tutte insieme – qui esposte ce n’è solo una piccola parte – funzionano come delle spiegazioni ulteriori di come vanno le cose. Come vanno? Male. Mi correggo: non sono proprio delle spiegazioni. Diciamo: dispiegano piuttosto quello che sta acquattato nelle pieghe della nostra italianità. Le pieghe contengono molte cose e spiegandole, o dispiegandole, Altan ci mostra il nascosto, che poi è come la lettera rubata di Poe: sta lì davanti ai nostri occhi, e noi non lo vediamo proprio perché troppo visibile.
Appena letta la frase, dopo aver guardato la scena che Altan ha allestito sul proscenio del giornale o rivista, ci capita di pensare: è proprio così. Proprio cosa? La realtà. Ma quale realtà? Quella che si coglie nell’aria, quella che lui Franceso Altan ha intercettato dalla radio, dall’apparecchio televisivo, da un discorso ascoltato per strada, sul treno, dovunque ci siano dei parlanti che commentano i fatti del giorno. Gli eterni e assolutamente intercambiabili eventi quotidiani, quelli che Georges Perec definiva l’infra-ordinario, ovvero: “il rumore di fondo d’ogni istante della nostra quotidianità”.
Ecco cosa sente con il suo orecchio fine e selettivo Altan: il rumore di fondo, quel ron ron fatto di frasi fatte ascoltate dai vicini di tavolo, di ombrellone, di viaggio, nei negozi, nelle sale d’attesa, negli spazi che un altro francese, Marc Augé, ha definito non luoghi. Ed è un non-luogo anche il tinello di casa, la cucina, la camera da letto, il bagno, perché tutti noi siamo partecipi di quel chiacchiericcio che l’orecchio assoluto di Altan ascolta imperterrito.
Quindi Altan si mette al tavolo e scrive e disegna. Nasce prima l’uovo o la gallina, la frase o il disegno? Difficile dirlo perché nella testa di Altan le due cose si formano insieme: la faccia e il corpo di chi parla, la frase che pronuncia. La frase non è un fumetto, un cartoon, non è una nuvoletta, ma una massima, qualcosa che in quel momento esprime un comune sentire. Non quello di chi vuole cambiare lo stato delle cose presenti, ma di chi ama farsi cullare da quello stato contribuendo così a far crescere il rumore di fondo.
Eppure queste frasi, aforismi taglienti o legnosi che siano, sono qualcosa di preciso, d’esatto. A loro modo di perfetto. Somigliano a quelle frasi che a volte si leggono nei gabinetti pubblici – o almeno una volta si leggevano lì, perché solo in quei luoghi qualcuno, uno sconosciuto o una sconosciuta, provava a dire la verità, a scriverla, nevrotica, paranoica o delatoria che fosse.
Altan fa parlare i suoi attori. Loro non si preoccupano di quello che dicono, possiedono la libertà di parlare, qualsiasi cosa dicano, piacevole o spiacevole, non importa. La libertà non riguarda il contenuto delle frasi che essi pronunciano, ma appunto l’assoluta indipendenza nel dire. La verità che proclamano – verità falsa o vera – consiste nell’affermare ad alta voce, senza possibilità d’essere contraddetti. L’assoluta libertà di cui godono i personaggi di Altan è quella dei buffoni medievali, dei clown, la libertà che smentisce sé stessa e in questo rivela davvero lo stato delle cose presenti.
Le vignette di Altan danno voce all’ambiguità che è la vera essenza del mondo in cui viviamo, un mondo contraddittorio, impuro e persino immondo, l’unico che possediamo. C’è un dialogo che mi pare perfetto per definire il mood morale di Altan, e insieme la vocazione morale del loro autore. L’ho letta anni fa in Cime abissali il romanzo di un “dissidente” russo in epoca sovietica, Aleksandr Zinov’ev.
Un pessimista dice all’ottimista: “Peggio di così le cose non potrebbero andare”. Risponde l’ottimista: “Potrebbero, potrebbero…”.
Altan - terra, omini e bestie
13 giugno - 22 settembre 2024
Tolmezzo, Palazzo Frisacco
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