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Scarabocchi con Altan (1). La morale non esiste
Due personaggi su sfondo bianco, una linea a rappresentare la terra, e un brevissimo scambio di battute: “Poteva andare anche peggio”. “No”. È una delle vignette più famose di Altan, pubblicata all’indomani delle elezioni politiche del 2001: la sua perfetta sintesi però la rende adatta a molte delle spiacevoli occasioni che si presentano nella vita politica e sociale italiana.
Questa sintesi, nel disegno e soprattutto nel testo, è sicuramente il marchio di fabbrica dell’Altan vignettista, capace di fotografare l’umore degli italiani (o almeno di una buona parte degli italiani) nello spazio di un quadratino e di colpire i lettori con la velocità di un lampo.
Da qualche parte Altan stesso spiegava che tutto, in queste vignette, deve avvenire in cinque secondi, e che già otto sarebbero troppi. Ma le vignette sono solo una delle facce della produzione di Francesco Tullio Altan, indubbiamente uno dei maestri del fumetto italiano. Proviamo quindi a scoprirne altre, in attesa di incontrare Altan all’inaugurazione della quinta edizione del Festival Scarabocchi, a Novara dal 16 al 18 settembre. Il fumettista aprirà il festival venerdì 16 settembre dialogando con Michele Serra, mentre la mattina di sabato 17 incontrerà lettori grandi e piccoli per firmare le copie delle sue opere.
Nell’opera di Altan ci sono naturalmente le popolarissime storie di La Pimpa, il cane a pois creato nel 1975 sulle pagine del Corriere dei Piccoli. Ma il lato forse meno conosciuto della sua produzione va in direzione contraria rispetto all’essenzialità delle sue vignette e all’innocenza di La Pimpa.
Sono le storie a fumetti pubblicate tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 su riviste come Linus e Corto Maltese, che ora Coconino Press sta raccogliendo in grandi volumi: i primi due, Uomini ma straordinari e Ada e altre giungle, sono già disponibili e un terzo è in cantiere. Oltre alle storie più note di quel periodo, come Colombo e Ada nella jungla, questi libri raccolgono anche fumetti mai raccolti in volume come Zago Oliva e Ben, il quarto figlio di Noè. Si tratta insomma un “integrale Altan”, che per chi volesse conoscere meglio questo autore fa il paio con il documentario Mi chiamo Altan e faccio vignette, girato da Stefano Consiglio nel 2019 (dove tra le altre cose un cast d’eccezione composto da Stefania Sandrelli, Paolo Rossi e Angela Finocchiaro interpreta alcune delle vignette più famose del fumettista).
La prima cosa che salta agli occhi, sfogliando i due volumi editi da Coconino, è la straordinaria densità di questi fumetti: una quantità di personaggi, dialoghi e situazioni che riempiono le vignette fin quasi a strabordare dai margini. Anche in questi lavori, però, il disegno di Altan rimane inconfondibile, una linea di pennino sottile e ferocissima, e la vena dissacrante tipica delle sue vignette è ancora più accentuata.
Perché in queste prime storie Altan si dedicava sistematicamente a demolire le biografie di personaggi illustri: “uomini straordinari” come Cristoforo Colombo o San Francesco d’Assisi, che nelle mani di Altan diventano piuttosto “uomini schifosi” come quelli di David Foster Wallace. Il Colombo di Altan, per esempio, è vecchio, grasso e quasi perennemente ubriaco, e anche fumato dopo essere arrivato nelle “Indie”. San Francesco invece è un invasato, che sceglie la vita monastica come via più breve per la gloria e la fama mondiale. Anche un personaggio d’invenzione come Sandokan, nella versione di Altan, diventa uno psicopatico violento che conduce la sua battaglia contro gli inglesi solo per i soldi, e sono i soldi della Cia! Tutte queste storie nascono in un periodo in cui i disegnatori stavano scoprendo che con il fumetto si poteva fare davvero di tutto: nell’underground americano, nelle riviste francesi e italiane, una nuova generazione di autori si stava affermando ribaltando tutti i canoni precedenti.
Il primo degli uomini illustri su cui Altan mette le mani, nel giugno 1976, è Giacomo Casanova, e in realtà in questo caso non deve neanche inventare troppo, perché il personaggio si muove in una Venezia corrotta e decadente, dove sembra essere in corso un Carnevale permanente. Colombo invece è di qualche mese successivo, dicembre 1976 – novembre 1977.
In questi due primi lavori, tutti in bianco e nero, la densità a cui accennavamo è evidente. Soprattutto nelle scene d’insieme – la regina Isabella di Spagna che conduce l’attacco contro i Mori a Granada, oppure una panoramica della Venezia notturna di Casanova, o del ponte della caravella di Colombo – ognuna di queste vignette contiene due o tre storie che si muovono in parallelo, alcune in primo piano e altre in sottofondo.
Altan ha spiegato che all’epoca si sentiva quasi in dovere di “riempire” così tanto le tavole, e che una pagina di quelle equivarrebbe oggi a 5-6 tavole di graphic novel – i ritmi nella narrazione negli anni si sono molto più dilatati e rarefatti. Questa abbondanza però è anche figlia del contesto per cui venivano pensate queste storie, cioè puntate di otto-dieci tavole che venivano pubblicate ogni mese su Linus o altre riviste: c’era bisogno che ogni puntata avesse un suo sviluppo narrativo almeno un po’ autonomo. In questi fumetti c’è anche una piccola invenzione che è tutta di Altan.
Lo spazio bianco sotto le vignette, che di solito è appunto bianco, qui diventa una sorta di contraltare a quello che succede nella storia: dentro ci possono finire le onomatopee (rumori, suoni, esclamazioni dei personaggi), indicazioni sulla musica che idealmente accompagna una scena, ma anche normali didascalie e ogni genere di commento: a volte questi testi si rivolgono ai lettori, ma spesso assomigliano a delle note che Altan fa a se stesso, come indicazioni su un copione di teatro. In genere servono a dissacrare ancora di più: non bisogna prendere troppo sul serio nemmeno l’autore.
Non si salva nessuno nelle storie di Altan. La morale non esiste. E anche se c’è un accenno di lotta di classe, di conflitto tra i grandi personaggi e i loro comprimari – la ciurma di Colombo, il frate Caputo che assiste San Francesco – non è che i sottoposti siano molto migliori: semplicemente non hanno sogni di gloria e affrontano tutto con disincanto e cinismo. A volte, in queste storie, Altan pigia decisamente sul pedale del grottesco: personaggi che si vomitano addosso – come se fosse una inevitabile reazione al mondo – o vengono assaliti da scarafaggi e altri insetti di ogni tipo. Altan è spietato, cattivissimo.
Dopo aver ridicolizzato i suoi soggetti dedica ampi flashback alla loro infanzia e giovinezza, così scopriamo che se ora sono diventati così luridi e laidi, la colpa non è proprio tutta loro. È proprio il mondo che va così. La mamma di Colombo, ad esempio, è una prostituta, i religiosi del collegio in cui studia sono atei e sbudellano gatti, perfino i dotti di Salamanca sono solo dei burocrati panciuti che prendono soldi sottobanco.
Solo i “selvaggi”, i nativi americani di Colombo e i neri della non meglio identificata Africa di Ada nella jungla, sembrano salvarsi, dotati di un’eccezionale saggezza, sconosciuta ai ricchi bianchi. “Tu sa coltivare manioca? Sa suonare tamburino? Sa essere felice? No! Se non ti piaccio, vadi via”, dice il saggio J.K. Bumbo al suo interlocutore inglese appena atterrato nel suo paese, in una delle tavole di Ada nella jungla. Il problema è che i bianchi non se ne vanno, e ai locali non resta che osservare il loro inutile intrigare e complottare. E poi ci sono le donne, a partire da Ada Frowz (o Frooz), protagonista di Ada nella jungla e Macao.
Non un personaggio realmente esistito, in questo caso, ma un frutto della fantasia di Altan. All’inizio delle sue avventure – siamo nel 1939 – Ada vive nello “sozzo e selettivo” collegio di Sbeef, ma già alla seconda pagina eredita 50 mila sterline da un vecchio zio e comincia a girare per il mondo. Prima nella giungla africana, poi nell’estremo oriente, a Macao. Ecco, gli uomini disegnati da Altan sono sempre orribili, disgustosi, ridicoli e parecchio deformi, le donne invece possono essere bellissime, sicuramente sono spesso prosperose e sensuali... poi Ada condivide il caschetto nero della Valentina di Guido Crepax (Altan le ha anche disegnate insieme per il documentario di Giancarlo Soldi Cercando Valentina).
Nelle storie di Ada, Altan prende alcuni archetipi del romanzo d’avventura, da Robinson Crusoe a Tarzan, per divertirsi a parodiarli, smontarli e ricomporli. Anche in questo caso il fumettista ha spiegato il modo con cui all’epoca si avvicinava a queste storie: una sceneggiatura per le prime due-tre puntate per poi costruire la vicenda man mano che la storia veniva pubblicata. Così i personaggi che popolano il mondo di Ada fanno tutti il doppio, triplo e anche quadruplo gioco, in una trama che abbonda di colpi di scena.
Anche qui però compaiono, anche se solo per brevi scene, uomini straordinari: in Ada nella jungla troviamo un Adolf Hitler nullafacente, che guida la guerra chiuso dentro una villetta di Berlino, sempre in vestaglia e davanti alla tv. In Macao – siamo nel 1963 – invece c’è un John Kennedy sempre più sfiduciato: “Non c’è un giorno che non mi crolli un valore”, dice a un certo punto della storia. Nel 1988, in Francia, dalle storie di Ada fu tratto anche il film Ada dans la jungle, per la regia di Gérard Zingg (qui c’è il trailer). Per l’occasione Altan aveva realizzato una storia breve, Ada cerca un produttore, che finora era rimasta inedita in Italia e ritroviamo ora nel volume Ada e altre giungle.
Tra tutti gli uomini illustri raccontati da Altan, è sicuramente Ada il personaggio per cui il fumettista prova ancora un po’ di nostalgia: così nella storia Acquapassata, che Altan ha realizzato nel 2019 per il progetto Fumetti nei musei, ambientata al Castello di Sirmion, la protagonista che si aggira tra i torrioni si chiama Ida, ed è la nipotina di Ada Frooz, “una mia vecchia e cara conoscenza di altri tempi e altri fumetti”.
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Il Festival Scarabocchi si aprirà con Francesco Tullio Altan in dialogo con Michele Serra
ore 18 al Teatro Coccia
Ogni settimana le vignette, i disegni e le frasi di Altan ci fanno ridere, ci affascinano e colpiscono. Come fa a cogliere con così icastica forza intellettuale, comicità e sarcasmo gli aspetti del costume italiano? Il papà della Pimpa non è solo un formidabile umorista, ma anche l’autore di storie disegnate di indubbio fascino. Michele Serra, scrittore, umorista e giornalista, lo accompagna in questo dialogo in cui ricostruirne la carriera di uomo e artista.
Ingresso € 5
biglietti disponibili a partire dal 30 luglio su fondazioneteatrococcia.it, dal 30 agosto anche presso il Teatro Coccia (mar-sab ore 10.30-18.30, info 0321 233201)
sabato 17 settembre h 11.30 al Cortile del Broletto Altan incontra i lettori, grandi e piccoli, firmando le copie delle sue opere.