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Antiossidanti: elisir contro il caos
Tranne qualche eccezione non mi è mai piaciuto il rock di Vasco Rossi, gusto personale certo ma troppo prevedibile almeno quello degli ultimi trent’anni, troppi.
Tra le eccezioni c’è una frase, tra le migliori di sempre …la vita è tutta un equilibrio sopra la follia.
Sostituite follia con disordine, con caos e avrete una perfetta descrizione poetica del secondo principio della termodinamica, quello a cui siamo tragicamente attaccati, quello che alla lunga porterà tutto alla morte termica, l’universo come il più insignificante dei virus, una cellula, noi…
Ciò nonostante il nostro destino è vivere, finché c’è vita (guardando a un altro lato della Via Emilia), “finché fa male finché ce n’è...”
Beh… è su tutto questo e intorno a questo che ci sarebbe una “ricetta immateriale”. Inaspettata, si è lentamente diffusa tra la popolazione adulta; silenziosa è diventata quasi abitudine, spargendosi tra l’umanità dei consumatori che siamo.
Una ricetta immateriale a dire il vero particolare, perché non avrebbe a che fare con prelibatezze gastronomiche, territori, tradizioni locali o quant’altro e neanche con proteine, grassi o carboidrati, insomma con l’intero universo mondo che fa del nostro cibo qualcosa che sfama e nutre il corpo, e che può fare – quando condiviso – una gioia per il corpo e lo spirito.
No, si tratterebbe di una ricetta immateriale suscettibile di mille variazioni, quelle che avrebbero a che fare con gli alimenti e le sostanze antiossidanti, vero e presunto elisir di fine millennio scorso e di questo all’inizio.
Oggi, chiunque mediamente acculturato, informato o anche solo mediamente attento alla comunicazione e alla pubblicità sa che in natura esistono particolari sostanze – vitamine, sali minerali, composti bio attivi – in grado di svolgere un’azione protettiva verso il nostro organismo. Chi poi tra noi mediamente acculturati, informati, sensibili alla pubblicità non ha sentito mai parlare di radicali liberi? Sarebbero queste vere e proprie molecole killer che nel corso di una vita favoriscono le principali malattie degenerative di cui potremmo soffrire e alla lunga sarebbero una causa dell’invecchiamento.
Bene, le sostanze e gli alimenti antiossidanti sarebbero “il farmaco e il rimedio”, una specie di scudo offerto dalla natura per contrastare i danni da radicali liberi.
È verso questi danni e la velenosa presenza dei radicali liberi che nel corso degli anni è stata via via messa l’attenzione sulla vit. C, sulla vit. E, sul retinolo, sul selenio, sullo zinco, sul beta carotene e i carotenoidi, sull’acido lipoico, sul coenzima Q, su un grande numero di polifenoli vegetali (quercetina, resveratrolo tra i più noti), sulle antocianine, sull’astaxantina e altro ancora. Un’attenzione mutevole verso le diverse sostanze via via che nel corso del tempo le conoscenze scientifiche si affinavano e con loro la divulgazione che ne seguiva. Su queste sostanze e naturalmente sugli alimenti in grado di fornirne elevate quantità. E così è stata la volta delle bacche di rosa canina, dell’olio di germe di grano, del cavolo nero e delle brassicacee in genere, dei mirtilli, delle more, dei ribes, del tè matcha, del succo di uva nera, della curcuma, del melograno, delle bucce delle olive e delle foglie dell’olivo, del fungo chaga, solo per citarne alcuni.
È anche in questo percorso che tra suggestioni e convinzioni, ciascuno ha costruito un proprio tentativo di elisir. Suggestioni e convinzioni personali appunto perché ancora conosciute approssimativamente le fini interazioni in quel complesso processo che è il metabolismo cellulare, che è la vita stessa. Così, attualmente la scienza medica è prudente sull’utilizzo ad alte dosi di integratori allo stato puro preferendo la complessità degli alimenti naturali. Alle mutevoli conoscenze biomediche di questo o di quell’altro principio si preferisce la cautela e la certezza di alimenti selezionati nei millenni e nel “caos” delle innumerevoli possibilità alimentari.
Ma quale è stata l’origine di questa polimorfa ricetta immateriale diventata consuetudine quando si è evoluta tra conoscenze scientifiche e suggestioni, tra la comunicazione giornalistica e quella pubblicitaria, talvolta anche solo tra pose e mode...?
Per questa domanda credo si possa rispondere solo attraverso testimonianze e frammenti di storia personale, ognuno i suoi, dispersi tra i consumatori che siamo.
Personalmente ricordo bene quando tutto ebbe inizio; negli anni ottanta, un esame semestrale della facoltà di medicina (uno di quelli che oggi attribuiscono un numero minore di crediti) mi aveva aperto una prospettiva nuova nel guardare alla biologia, al corpo umano, alla comprensione di cosa fosse la vita. Insomma era stata un’inaspettata quanto autentica folgorazione.
L’esame era Radiobiologia, la disciplina trattava delle interazioni tra le radiazioni ionizzanti e la materia vivente; inevitabile partire da Hiroshima e Nagasaki, dalla peste radioattiva, dai tumori che per decenni uccisero migliaia di persone, dalla paura che da allora si è instillata nelle menti di intere generazioni.
Ma quello che soprattutto mi colpì con l’irresistibile forza delle novità fu lo scoprire che la maggior parte del danno da radiazioni fosse quello indiretto, legato all’interazione tra radiazioni e acqua del nostro corpo e non quello diretto tra radiazioni e la nuda materia vivente.
Le molecole d’acqua colpite da radiazioni venivano scisse in composti – i radicali liberi – molto instabili e che andavano a legarsi a molecole di interesse biologico, in particolare il DNA, inducendo la maggior parte delle mutazioni e del danno conseguente.
E poi soprattutto, fu lo scoprire che i radicali liberi erano comunque prodotti sempre in un certo numero nel nostro organismo, come una sorta di “rumore di fondo” provocato all’esterno dalle radiazioni cosmiche e all’interno anche durante i normali processi metabolici propri della vita.
Scoprivo che ogni istante della mia vita aveva non solo “fuori” ma anche “dentro” un suo necessario veleno.
A tutto questo si opponevano meccanismi riparatori all’interno dell’organismo: diversi enzimi che rimuovevano il danno e riparavano il DNA, sostanze che neutralizzavano i radicali liberi – gli antiossidanti appunto – presenti nelle nostre cellule così come assunte con la dieta.
Un esamino comune ai corsi di laurea di Biologia e Medicina mi apriva alla possibilità di capire il caos in cui si era sviluppata la vita, il caos in cui era costantemente immersa, gli “antidoti” che durante milioni di anni di evoluzione la stessa vita aveva selezionato e in un certo modo… previsto, solo per sopravvivere.
La radiobiologia inoltre mi avrebbe inevitabilmente avvicinato a capire qualcosa in più sui meccanismi dell’invecchiamento in generale. Era appunto la teoria che ne vedeva la causa nel danno da radicali liberi, vale a dire l’accumulo nel corso di una vita delle mutazioni provocate da questi instabili composti… e poi la lotta tra questi ultimi e le sostanze antiossidanti che quotidianamente avveniva nelle nostre cellule fin dalla nascita.
L’epilogo era comunque scritto, solo il “viaggio” poteva essere differente per ognuno di noi a seconda dello stile di vita, dell’ambiente e delle sostanze incontrate, della dieta seguita, della genetica avuta in dono per sorte, più o meno favorevole alle molecole riparatrici e protettive.
Solo più tardi – dopo molti libri di altro genere, molti giorni e ahimè molti radicali liberi – fu più chiaro come la vita tutta fosse un fragile e sottile equilibrio tra infinite possibilità… sempre ballando sul filo del caos.
Noi possiamo solo ballare più o meno bene i passi che impariamo cammin facendo… sempre appesi, sempre dentro a quel caos che avvelena mentre ci protegge.