Abbecedario del reale / Buco
Autopsia è un termine usato come testimonianza
oculare di date o episodi da parte degli storici per
rendere il loro parere più autorevole
L’autopsia è l’odore del nulla.
Anne Carson, Nox
Un buco è un ventre più profondo, un buco è una parte di vascello, Buco è il nome di molti ristoranti ed è una pasta cava dove far entrare il sugo. Il buco scava lo stomaco per fame, dolore, paura. È il grande condottiero dell’assenza.
Un buco è nero e non rosso, buio e non luminoso, inghiotte senza restituire, la bocca dei vulcani è un buco pieno di lava, la lava scava un buco nel terreno bucandolo di fuoco. Il buco piega come suggerisce il verbo tedesco Bogen e piegando e incurvando attira nel suo nulla. Il buco non è il cratere in cui si mescola. Il buco, come succede in fisica nei buchi neri, rallenta il tempo e non fa uscire la luce. Ci guarisce da ogni illusione di Creazione, da ogni desiderio di vita.
Signori, mi avete commissionato la parola ‘buco’ il giorno in cui mia madre è morta. La notte ho dormito nel divano accanto al letto. Ho ascoltato il suo respiro diventare sempre più fioco. Alle quattro e mezza il respiro è diventato silenzio. Ho ascoltato quel silenzio con l’attenzione dovuta a ogni evento inedito. Continuo ad ascoltarlo. Se somiglia a qualcosa si trova in un bosco sotto l’eclisse quando tutti gli uccelli ammutoliscono. Sono rimasta con il silenzio e il silenzio è diventato il buco. Anzi il silenzio è stato il viatico per andare laggiù. Signore e signori, anche io conosco l’odore del nulla proprio come il cane che annusa il feretro del fratello in un libro di Anne Carson. Anche io so deporre lo sguardo. Sono entrata nel buco con il corpo di mia madre che ho composto consultando il sito francese: xxxx. Uno degli insegnamenti riguardava un buco: la gola. Per ricomporre i tratti del viso bisogna inserire del cotone idrofilo (molto cotone idrofilo) dalla bocca all’esofago. Mia madre è morta di cancro.
Le metastasi ostruivano il condotto dell’esofago. Dopo la gola ho inserito il cotone negli altri orifizi. Nel giro di poco tempo tutto il corpo era sigillato. Il sito aveva dato indicazioni esatte. Il cotone ha riempito il vuoto delle guance, ha modellato il mento e la bocca. Riempire ha restituito un simulacro di bellezza, un viso pieno e non un teschio in cui entrano le correnti e gli spifferi. Da quel momento in poi il buco è stata la bara e poi il loculo nella cappella di casa. Un buco dentro l’altro (come le scatole di Prevert) fino al muro chiuso dal muratore. Per quanto mi riguarda il buco (allo stomaco come si suol dire) non mi ha più – o non ancora – lasciato. Ogni mattina scendo nella sua cavità proprio come nell’estate del 19xx scendevamo in un pozzo, con mio fratello. Mettevamo i piedi nei pioli di ferro fino a sfiorare l’acqua nera, voltandoci verso il gorgoglio e facendoci lambire i talloni dal fango. Nel freddo di quel cilindro buio la voce diventava profonda e la paura aveva un peso. È facile scivolare, basta che un’erba sul ferro sia troppo umida. Mio fratello risaliva in fretta, io parlavo a me stessa, severamente dicendo: vai, o lasciati cadere nell’acqua putrida. Andavo. Quando sentivo sotto la pancia il bordo della pietra e capivo di essere ancora una volta salva, strisciavo sul prato e respiravo l’aria calda del sole.
Da questi ricordi si può dedurre la mia predilezione per i buchi reali e non metaforici e mentre scrivo rifletto che il buco si può declinare al femminile e diventa la buca. La buca è quella che scavano gli animali infilando le zampe nelle zolle umide. So come si pianta: si scava prima con le mani e le dita, poi si fanno scendere le radici (in profondità). Si ricopre di terra concimata anche con i vuoti del caffè o con la buccia delle patate o con gli escrementi del cane o gatto. Per i limoni sono buone le bucce dei lupini. Di nuovo con le mani si sistema la terra.
La buca ha un odore che il buco non ha, per questo quando si riempie il suo nulla si dissolve. La buca è una tana, il buco no.
La mattina presto sogno di scendere nuda in quella che si definisce nuda terra. Le ossa cadono e si sbriciolano. Nell’orto della casa nel paese dove è seppellita mia madre giacciono i resti del nostro porcellino d’india. Io e mio fratello lo seppellimmo, con grande pompa, avvolgendolo in un sudario di carta argentata, quella da forno da cui provammo anche a ricavare delle corone da mettere in testa per la funzione. Il porcellino era stato assassinato dalle nostre cure con un bagno troppo caldo. Pensavamo al suo corpo dissolto, la carta smembrata, il lavoro degli insetti.
Quasi tutti facendoci le condoglianze parlano di ‘vuoto’, ma invece noi non sentiamo la perdita, non rivogliamo indietro il corpo, non vogliamo riempire di nuovo quel vuoto. Siamo semplicemente in uno spazio il cui termine esatto è ‘buco’.
Aspettatemi. Vorrei uscire dalla mia sofferenza individuale e meditare sul GRANDE BUCO NERO, sul suo silenzio che forse Leopardi e il suo enorme Gallo avevano intuito.
Nel buco nero la massa è così densa che la luce come ho detto non esce (infatti), il buco nero è in realtà una stella nera. Stella-nera concentrata come la terra-nera dei Quaderni di Osip Mandel’štam che amava i luoghi di frontiera perché esperto di buchi, che amava l’orizzonte perché aveva provato a buttarsi nel buco sotto la sua finestra dell’ospedale di Čerdyn’.
Signore e Signori, vorrei andare avanti scrivendo ma devo misurarmi con alcuni buchi domestici, la lavatrice, gli armadi svuotati, il water, la lavastoviglie. Tutta la casa è riempita da un concerto di macchine ronzanti che rallenta la concentrazione. Inoltre, di colpo piove, il tetto ha un buco, nulla di grave, ma ci vuole un catino e in effetti l’acqua scende dalle nuvole “a catinelle” avrebbe detto mia madre. Mi fermo a guardare la città bagnata dal vano della finestra, mi siedo perché ci vorrà un po’ prima che la pioggia riempia questa grande conca di plastica chiara. E poiché ci vorrà tempo ascolto lo scroscio del temporale e conto i tuoni e i lampi. Da sempre uso la matematica per distrarmi, da sempre sono grata delle tregue fatte di osservazione. Il buco è lo spazio dove sto infilando brandelli di alfabeto.
Questo testo è estratto da Abbecedario del reale, a cura di Felice Cimatti e Alex Pagliardini, ed. Quodlibet, 2019.