Cogruzzo / Paesi e città
Fin da piccolo, ho avuto una sensazione, dentro, di cui sono diventato consapevole solo più tardi: la sensazione di come il paesaggio della bassa, della bassa in generale, ma nel mio caso della campagna che dalla città di Reggio Emilia va verso il fiume Po, al Po si uniformi come tono, come atmosfera, come odore, come rumore. Che poi non è rumore, è silenzio, distensione, placidità, sospensione, spirito raccolto nonostante l’apertura totale: apertura sia della campagna, ampia e bassa, di cui non si vede l’orizzonte, che del Po, largo, piatto e orizzontale.
Secondo me, quindi, non è la campagna, come si potrebbe pensare, che uniforma a sé il Po, inghiottendolo nel suo paesaggio; è il Po che detta legge, placido in regale imponenza, e fa che la campagna diventi una sua estensione. Ma non solamente la campagna, il Po assorbe anche il cielo; così il paesaggio da quelle parti è un tutt’uno di acqua, terra e aria, dei quattro elementi primordiali mancando solo il fuoco, perché l’energia è del tutto assente in questo indifferenziato ampio spazio che si distende in un’agitazione di rilassatezze.
Il Po è immoto e silenzioso, grigio come metallo, fermo nonostante i turbinii di corrente; pure la campagna è immobile e silenziosa, che sembra un vasto fiume verde, viola e rosato, ingrigito dalla nebbia, anche quando la nebbia non c’è, perché ne rimane l’impronta.
Il silenzio del Po è squarciato solo dalle sirene di qualche vecchio barcone, o qualche rimorchiatore che spinge due o tre chiatte, o qualche motonave: sono sempre meno, queste imbarcazioni, perché sempre meno si fidano del Po che con le sue magre fa arenare e con le sue piene non fa passare sotto i ponti.
Il silenzio della campagna è invece tagliato dal suono delle campane. La terra più laica e bestemmiatrice dell’universo è piena di chiese e campanili, intonacati di un giallo mattone tenue; ogni paese, anche i borghi con quattro case in croce, come l’Argine, ha la sua chiesa col campanile che svetta; si sentono in ogni dove le campane dare concerti che sembrano alle orecchie incompetenti tutti uguali, ma che invece sono diversi perché ogni campanile ha il suo stile musicale, il suo ritmo, la sua parlata e il suo concertista: e ogni stile ha, dietro, il suo campanaro; e ogni campanaro ha, dietro, una intera famiglia di campanari, perché i campanari hanno avuto il padre, il nonno e il bisnonno campanari che si sono tramandati l’un l’altro, oltre la tecnica, anche un modo proprio, precipuo e preciso di suonare le campane.
Sul fiume c’è Boretto; poco lontano, da una parte Gualtieri, e dall’altra Brescello; che bei nomi! I nomi delle città sono belli in tutto il mondo, ma nella bassa hanno un fascino particolare: sono di una bellezza estrema, ma contenuta, smorzata come lo è il paesaggio avvolto nella nebbia, come lo è il Po color acciaio, nomi belli e assonanti, assonanti con sé stessi e assonanti con la pianura che li circonda.
Andando verso la campagna s’incontra Resegheta, re / se / ghe / ta, da dove salta fuori un nome così? e procedendo, a ventaglio ci sono Marinona, Pontazzo, Bigliana, Sorbolo, Poviglio, nomi bellissimi anche questi, e sempre più allontanandosi dal Po ci sono Meletole, appena un pochino più su di Cornetole, e Cornetole, appena un pochino più giù di Meletole. Dietro l’angolo di Cornetole c’è Cogruzzo, tre strade e venti case: la chiesa di San Leonardo sta in mezzo, poco distante dalla Casa del Popolo, la casa più importante di Cogruzzo (per questo chiamata Villa del Popolo), perché è la più grande (tre piani su due ali divise da una scala interna), la più popolata (dodici unità abitative, quattro per piano) e la più prestigiosa (ci abitano la famiglia dei titolari della trattoria I Due Pentoloni di Castelnuovo Sotto, la famiglia di un appuntato dei carabinieri della stazione di Brescello e il maestro single della scuola elementare Ada Negri di Poviglio).
Dalla Villa del Popolo si vede bene la chiesa di San Leonardo: è là dove finisce la lunga stradina di terra battuta e ghiaia per gran parte delimitata da due fossi, uno da una parte l’altro dall’altra, uno più grande l’altro più piccolo, verdi d’erba con spelacchiature varie e con diverse chiuse che servono all’irrigazione dei campi. Una volta, cinquant’anni fa, i bambini ci facevano anche il bagno, in quei fossi melmosi, dove pullulavano le rane e c’erano un sacco di girini che oggi non ci sono quasi più. La sera l’acqua stagnante richiamava nugoli di zanzare, uscivano fitte non si sa da dove soprattutto poco prima e subito dopo il tramonto, roba da mettersi la corazza per proteggersi; poi le zanzare sparivano quasi tutte, come d’improvviso, e al loro posto, col buio, subentravano le lucciole. Le lucciole oggi, ancora peggio delle rane, non ci son più; scomparse. Mentre le zanzare pullulano. Ci si chiede di continuo cos’è frullato per la testa al buon Dio quando ha eliminato dalla faccia della Terra le lucciole, che sono buone, innocue e belle, mentre ha lasciato le zanzare, che sono cattive, dannose e brutte. Poi ci si stupisce che i preti si stupiscano che ci siano tanti atei in giro.
Mentre si procede verso la chiesa di Cogruzzo lungo la strada acciottolata e si butta lo sguardo oltre questi due fossi, la pianura ancora una volta si perde nell’orizzonte: a sinistra prati di melghetti, un po’ di vigna e, alla fine del carradone che taglia il vigneto, un filare di olmi; a destra campi di grano e in fondo, vicino alla chiesa, una decina di alti e affusolati pioppi che stormiscono muti col visibile tremolio delle foglie.