Speciale

Congedo illimitato

16 Dicembre 2011

Quando non lavori hai tempo a strafottere. Compili quattro profili curriculari diversi accorpando per titoli e categorie distinte le varie collaborazioni che hai  accumulato negli ultimi otto anni della tua vita. Cataloghi per autore la mole di fumetti che hai letto e che affogano gli scaffali lungo le pareti della stanza. Alla tua età tuo padre aveva un impiego, una moglie, due figli, un’auto usata e un mutuo ventennale. E la gastrite. Altri tempi, altre attese.

 

Al centro per l’impiego ti hanno spiegato che non troverai un lavoro adeguato alla tua istruzione, che i titoli non serviranno. Che bisogna adattarsi. Applicare diversamente le competenze. Ma tu ci provi lo stesso. Rispondi agli annunci che hanno qualche attinenza con le tue esperienze e aspirazioni. Pure vaga. E aspetti. Ti hanno detto che non esiste più il posto fisso. Non farai un lavoro gratificante e il tuo superiore avrà l’aria di un coglione. Assunto in periodi di vacche grasse. Quel che sai fare, le tue capacità, ogni tua cognizione, non ha mercato. Aspetti e chiedi in giro. Ti offrono mansioni umili e impieghi precari sottopagati per cui sei troppo qualificato. Sono tre anni che non fai un colloquio e deve pur esserci un motivo. Un vuoto impotente da colmare in attesa di niente. Devi metterti in testa che il mondo del lavoro è come andare in guerra, dicono. Un’azienda funziona come una caserma. Avanti march! E per riflesso condizionato aspettare ti ha reso un camminatore compulsivo. Esci di casa e compi lunghe marce per la città alternando quattro percorsi diversi di volta in volta per combattere l’agonia delle ore spente. Cammini e aspetti allo stesso tempo. Pensi a come sprechi il giorno che non tornerà più. Giorni, ore, minuti e secondi camminando in attesa di occasioni.

 

Ti resta poco denaro, e sei indeciso se tenerlo da parte per le necessità e le emergenze o se spenderne una piccola cifra per rompere il silenzio delle ore. Sai quel che cerchi. Hai chiaro quanto puoi permetterti di spendere. Ti allontani dal solito percorso. Sei sotto le luci al neon. Sì, sei entrato e tiri deciso verso il settore. Quello giusto. Hai afferrato il fumetto che desideri. Una piccola fissione atomica agita le viscere. Aspetti il turno alla cassa e noti che tutti gli avventori hanno sguardi bassi, fissi sulle copertine e i prezzi. Gli albi da sfogliare. Ogni tanto lanciano occhiate sentendosi osservati. Un moto di sospetto e diffidenza. L’unico che guardano negli occhi è il cassiere. Denaro in cambio di fumetti. Quindi usciranno via, si dilegueranno. Cosa hai comprato, davvero? Distillato di emozioni che consumerai solitario nelle ore buche di una stanza vuota. Lontano da occhi curiosi. Siano essi familiari o no. E allora ti abbandonerai ai sogni e alla fantasia per un tempo indefinito. Il gradimento sarà condensato. Finito di leggere, occulterai il volume in un luogo sicuro. La vita ritornerà nella dimensione dell’attesa di sempre. Curriculum, annunci e passeggiate implacabili.

 

Appena oltre lo stradone, fuori del centro storico, la città prende a fondersi e connettersi all’immensa periferia del mondo occidentale. Desolazione e squallore. Marciando verso il crepuscolo oltre i quartieri e le solite vie emerge la paura istintiva dei luoghi che non ti appartengono, come si aprisse una voragine nei polmoni. Nei pressi dell’incrocio c’è la donna secca. Lo sguardo spento di ogni giorno. Tutta vestita di nero. Gualcita. Sembra uscita dall’ospedale che incombe pochi isolati oltre. Una malata che ha qualcosa che non va, ma nulla di preciso. Trascina i piedi. Le mani affondate nelle tasche del giubbotto. La pelle consunta. I capelli sfilacciati. Il volto emaciato. Ti lancia uno sguardo storto. Dice che non si esce vivi dal pianeta Terra. E tu trascini l’attesa, un giorno dopo l’altro.

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