Meglio buttarla sul sentimentale / “Di cuore”
Ci si faccia caso: da un po’, le manifestazioni orali e scritte della gratitudine, pubblica e privata, contengono regolarmente di cuore: “Grazie di cuore per...”, “Ringrazio tutti di cuore di...”, “Un ringraziamento di cuore a chi...”.
Sulle prime, il fenomeno si è mosso lentamente. È stato quindi poco percepibile: di cuore pareva una formula come molte altre, in quel contesto. Del resto, tale è sempre stata: non è una novità. Nuovo è che stia conformisticamente dilagando. È diventato impossibile non notarla: del resto, chi la proferisce vuole proprio che la si noti. E non c’è variante che non stia al momento soccombendo alla sua inarrestabile avanzata.
A non aggiungere oggi di cuore a un’espressione d’animo grato, in certi ambienti, è come se non si ringraziasse: “Comeee? Ha detto uno schietto grazie e basta? Nudo e crudo, senza di cuore? Te l’avevo detto: è supponente. Pensa di non doverti nulla e, ti dirò, sono certa che di te non gliene frega proprio niente. Dice per dire, che ti è grato. Mandalo al diavolo”.
Solo due doverose parole di analisi funzionale, in proposito. Di cuore è una modificazione che non interviene al livello dell'enunciato (di ciò che si dice) ma a quello dell'enunciazione (dell’atto del dire: grazie e simili sono peraltro performativi). In altri termini, di cuore agisce sul medesimo piano di composizione discorsiva che occupano tradizionalmente avverbi come sinceramente, veramente. Avverbi siffatti (e gli aggettivi corrispondenti, quando si tratta di modificare un nome, come sopra con schietto) sono ormai comunicativamente usurati. E se lo sono, come sembra, lo sono per paradosso. Sono sentite come irrealistiche, nel contesto della comunicazione odierna, le correlate virtù della parola: sincerità e verità. Troppo laiche e razionali, forse, per la temperie. E inoltre verificabili, almeno in linea di principio. Meglio buttarla sul sentimentale.
E così di cuore dilaga, con una parola dall’evocazione calda e pulsante. È vero: nel contesto della gratitudine, il relativo concetto ha sempre avuto corso, con i tradizionali cordiale, cordialmente, cordialità. Raffreddato e dissimulato, solo per via d’etimo, però. Anche perché opaca, la menzione dissimulata non è più parsa sufficiente. Cuore, significato e significante, riemerge dalla sua arca e sgorga dal petto di ciascuno.
Non gli fa difetto un carico metaforico spudoratamente viscerale. S’impone così anche in questa sfera dell'espressione quotidiana. Vi porta la giusta nota di sentimentalismo: meccanico e formulare; in armonia coi tempi, contraddittorio. L’ha fatto o lo sta facendo del resto in molti altri àmbiti comunicativi, anche molto impropri.
Per sopportare il trabocco di tanto cuore ci vuole stomaco. E, visto il successo, forse ci vuole anche un po’ di fegato per dichiararsene, come qui si fa, vagamente nauseati.
Comparso sul “Corriere del Ticino” il 18 ottobre 2017 in versione più breve e sotto altro titolo.