La Biennale Danza a Venezia
Venezia è una città di passaggio, da attraversare di corsa. Per tradizione e per vocazione: nei secoli, crocevia di commerci, culture, idee, porta cosmopolita fra Oriente e Occidente; oggi, altrettanto frequentata, ma da studenti e turisti, mentre i cittadini – sempre meno – si rintanano nei quartieri più popolari, Cannaregio, e poi Dorsoduro e Castello, e l'Isola della Giudecca. Non è forse un caso che proprio in questi quartieri si sia sviluppato il progetto della Biennale di Sieni, irradiandosi dal prezioso cuore di San Marco – dove si colloca la sede dell'istituzione e il suo centro pulsante – in campi, palazzi e calli. Anche quest'anno l'approccio del direttore artistico disegna, più che un festival, una scommessa ormai vinta sulla transitorietà e l'impermanenza ogni giorno rivendicata dalla città lagunare. Prima di tutto perché va a intercettare le persone proprio laddove non se l'aspettano, nella quotidianità del loro viaggio – per turismo, studio o lavoro – nel dedalo di viuzze della città. Per chi volesse approfondire, il racconto di quelle giornate è online sul social blog La danza nella città.
La dignità del gesto
Corpo e luogo sono le due coordinate fra cui si possono tessere i percorsi che hanno animato questa edizione della Biennale Danza. Fra loro, il gesto: a intercettare le diverse proposte di esposizione e ricerca immaginate dai numerosi coreografi italiani e internazionali che anche quest'anno si sono riuniti a Venezia. Alla “dignità del gesto”, infatti, è dedicata l'edizione 2015, la terza curata da Virgilio Sieni: un titolo e anche un proposito, fondato su quegli “esercizi per il futuro” che il coreografo ha donato alla città dal 25 al 28 giugno, insieme agli artisti che ha invitato. In particolare, è il gesto d'assieme e corale a dominare le suggestive “esercitazioni” che hanno popolato la città nei primi pomeriggi d'estate. A partire dal Récital des Postures in versione Extension curato dalla svizzera Yasmine Hugonnet: una diagonale di performer ad attraversare come una linea di fuga il piano nobile di Palazzo Trevisan degli Ulivi (sede veneziana del Salon Suisse) ha dato vita a un paesaggio umano che continuamente sbocciava per poi ritrarsi, come percorso da onde telluriche in un palpitare di piccoli e progressivi mutamenti posturali. Per continuare poi con un altro lavoro che trova nel gesto corale la sua prospettiva: le Esercitazioni ritmiche di Venezia, dirette da Claudia Castellucci, che partendo dalla dimensione circolare e giungendo infine alla frontalità, hanno concretizzato in Campo Sant'Agnese una geometria fondata sul passo, sul battito del piede sul terreno, sulla diversità dell'impatto che si può provocare, sulle sue eco e risonanze fra un corpo e l'altro. Posti l'uno di fianco all'altro sia nel programma sia nella geografia urbana, questi due lavori hanno espresso con precisione, ciascuno a proprio modo, la forza potenziale del singolo che si fa molteplice, del corpo individuale che cede all'unità, proponendo al pubblico l'emozione di un possibile corpo condiviso costruito proprio sulla qualità del movimento e del gesto, e sulla loro dignità. Un senso e una chiave nitidamente percepibili anche nelle intenzioni di altre proposte, come quella curata in Campo San Trovaso da Radhouane El Meddeb e da Cesc Gelabert a Sant'Angelo, nel lavoro di Alessandro Sciarroni e di Francesca Pennini.
Hugonnet, ph. Akiko Miyake
Anche in questo senso le diverse “pratiche sul corpo” scelte da Virgilio Sieni per questa Biennale Danza colgono la “danza come spazio di convivenza con l'altro nell'atto della ricerca” e danno vita a “un atto politico e culturale nella convergenza del corpo con il luogo e viceversa, messi in opera per la loro capacità di creare comunità”. E il senso è particolarmente percepibile nel ritorno in Biennale del Vangelo secondo Matteo creato da Sieni stesso: progetto “sulla trasmissione del gesto” che lo scorso anno ha animato gli spazi dell’Arsenale con 27 quadri che hanno coinvolto 200 interpreti provenienti da tutta Italia e che quest’anno è possibile re-incontrare a Venezia con il riallestimento dei quadri “veneti” e una suggestiva video-installazione.
Vangelo, di Virgilio Sieni, ph. Akiko Miyake
Polis: artisti e viaggiatori
Ma quello della “dignità del gesto” è un taglio allo stesso tempo teorico e pragmatico che – per usare di nuovo le parole del direttore – si sostanzia anche “come apertura e costruzione di una polis fondata sul dialogo tra spazi e tracce dell'uomo, tra la misura dell'artista e le esperienze del viaggiatore”. La linea di lavoro sulla polis veneziana si sviluppa anche nel 2015. Oltre campi, campielli e calli, conservatori e musei, figurano fra i luoghi di spettacolo grandi suggestivi saloni di alcuni palazzi storici e addirittura lo spazio unico dello “squero” di San Trovaso: una delle ultime tradizionali officine per la manutenzione e costruzione delle gondole, si è offerta come palcoscenico al vibrante lavoro di Annamaria Ajmone. La “polis” che si apre è innanzitutto questa: quella di una città alla danza, e degli artisti al tessuto urbano, con tutti i rischi, le particolarità inaspettate, i guizzi intenzionali e non che ne derivano. Ma “polis”, altrettanto carica di incontri e di umanità, potrebbe essere anche quella dei tantissimi partecipanti ai laboratori, accolti nelle sezioni College di ciascun segmento della Biennale: arrivano a Venezia per qualche giorno o settimana, vi risiedono e la fanno vivere, ci lavorano e poi si tuffano in una dimostrazione pubblica del percorso svolto, con la guida di coreografi di caratura nazionale e internazionale. È il caso, ad esempio, del nuovo percorso intrapreso da Alessandro Sciarroni sul motivo del “turning”, della rotazione del corpo sul proprio asse, un esperimento ipnotico che il coreografo ha potuto mostrare a Venezia nella bella cornice del Teatrino di Palazzo Grassi creato da Tadao Ando. Ma anche delle Variazioni posturali da Francesca Pennini e CollettivO CineticO, per il medesimo spazio: una partitura che ha saputo sprigionare un'energia travolgente, grande lucidità registica e una buona dose di ironia, ponendo i performer in una situazione di gioco che ha permesso al corpo di farsi spazio, e allo spazio di dimostrarsi corpo vivo, in un esito che certifica la possibilità di cogliere in modo estremamente produttivo l'intensività dell'occasione laboratoriale, la diversità e la specificità dei partecipanti, il breve tempo della dimostrazione pubblica.
Dall'alto: CollettivO CineticO Grassi, ph. Akiko Miyake; Sciarroni, ph. Akiko Miyake
Il viaggiatore, infine, in queste diverse stratigrafie di “polis” è altrettanto molteplice: è l'artista, che viene a Venezia a lavorare; è poi il partecipante alle opportunità laboratoriali; ma, infine, è anche e soprattutto lo spettatore, intenzionale o non, che segue i “camminamenti” fra la danza e la città disegnati da Sieni o che magari incrocia la vita del festival quasi per caso.
Dall'alto: Claudia Castellucci, ph. Akiko Miyake; Ajmone, ph. Michelle Davis
Fase: Anna Teresa de Keersmaeker
Alla fine della giornata, dopo percorsi e campi, esercitazioni e posture, corpi corali e laboratori, il festival si prende un tempo e uno spazio a parte, quello vertiginoso dei teatri dell'Arsenale. Qui, in chiusura, il 27 giugno è stato presentato il bellissimo Fase, che ha consacrato all'attenzione internazionale negli anni '80 il Leone d'Oro 2015 Anne Teresa De Keersmaeker. Minimalissima la scena, i costumi, le luci; e anche la musica travolgente di Steve Reich (per cui il pezzo è stato creato); così come i micro-gesti scelti per una partitura essenziale e fondata sul loop della ripetizione. Fase è un pezzo che torna a interrogarci, oggi, adesso, sul senso, le possibilità, la forza della sperimentazione (immaginando per esempio insieme complessità e semplicità, oppure integralità della ricerca e condivisione col pubblico).
Fase, ph. Anne Van Aershot
Non è un caso, forse, che proprio in questo magnifico spettacolo sembrino andare a riepilogarsi tutte le questioni sollevate da questa Biennale Danza che abbiamo incontrato finora: la dignità del gesto e un senso della danza che si possa fare territorio di incontro con l'altro; lo scarto fra corpo individuale e corpo corale; la misura della visione artistica e quella della comunità che la provoca e che la accoglie. Così, ben oltre i caratteri convenzionali di un festival, ma anche al di là dei limiti che solitamente inquadrano una direzione artistica, la Biennale Danza di Virgilio Sieni pare proporsi come una ampissima coreografia in sé, un gesto artistico e politico che esorbita sempre più dai confini consueti, nel tentativo estremo di abbracciare il mondo intero, sia quello dell'arte e della danza, che quello dell'umanità.