La rivolta degli innaffiatoi
Silvio Berlusconi ha inaugurato la campagna elettorale 2022 con due promesse: alzare le pensioni e piantare un milione di alberi. Che fosse un amante della natura lo si sapeva fin da “Una storia italiana”, la rivista edita da Forza Italia nel 2001, dove compare sorridente in mezzo a una fioritura di crochi, nel parco della villa di Arcore. Oggi, i cambiamenti climatici hanno imposto all’agenda politica di aggiornarsi: i posti di lavoro sono diventati alberi.
L’uscita del Cavaliere è stata rintuzzata da Ilaria Fontana, sottosegretaria al ministero della Transizione ecologica del governo Draghi: “Nel PNRR sono già previsti 330 milioni di euro di stanziamento per piantare un totale di 6,6 milioni di alberi per le 14 città metropolitane: 1.65 milioni di piante entro la fine dell’anno e la parte restante entro il dicembre 2024″.
Fontana ha anche fatto presente che il suo partito (M5S) con l’iniziativa “Alberi per il futuro” in questi anni ha piantato decine di migliaia di alberi. L’attenzione dei 5 Stelle al patrimonio arboreo sembra non aver interessato Roma, dove il mandato della sindaca Raggi ha contribuito (come neanche l’amministrazione Alemanno) a precipitare il verde urbano in una vera e propria apocalisse (alberi capitozzati, parchi devastati, piante decimate da malattie) a cui, a tutt’oggi, cercano di porre rimedio comitati e gruppi di cittadini costituitisi in rete. (Va citata, l’eccezione di Eur Spa che, sotto la guida di Alberto Sasso, ha saputo valorizzare e tutelare il patrimonio verde del quartiere.)
La promessa berlusconiana è interessante perché segnala quattro cose che andrebbero tenute presente quando, oggi, si parla di alberi come tema politico.
Prima: non c’è programma elettorale che non si metta a ventilare campagne di piantumazione di massa, per gratificare l’immaginazione degli elettori con il profilarsi di salvifici scenari verdi.
Seconda: la questione alberi entra nel linguaggio della propaganda a titolo di promessa spendibile e, pertanto, liquidabile e intercambiabile alla prossima tornata elettorale (insieme allo slogan: “Non c’è più tempo”).
Terza: chiunque può mettersi a perorare la causa degli alberi, anche se ha un background discutibile quanto a spirito ecologico (ad Altiero Matteoli, ministro dell’ambiente del primo governo Berlusconi, bastarono pochi mesi per guadagnarsi il premio Super Attila 94, per avere, secondo il WWF, ''vanificato, in poco tempo, anni di dure battaglie ambientaliste, dando via libera a speculatori, inquinatori e cacciatori’’).
Quarta: in materia di alberi si può fare qualsiasi affermazione senza disporre di quel minimo di informazioni che servono a non fare pessime figure. Un milione di alberi, sei, tre: chi parla conta sulla certezza che nessuno conosca le implicazioni di progetti del genere in termini di pianificazione. Per esempio: qual è il costo di un albero e quello della sua manutenzione per cinque anni, ovvero il tempo delle cure necessarie per farlo attecchire; su quali specie è meglio puntare nei diversi contesti urbani e come dovrebbero essere scelti i luoghi dove piantarle, eccetera.
Ma davvero, oggi, è ancora così? I cittadini italiani, sono ancora afflitti da plant blindness, termine coniato da Elisabeth Schlusser e James Wandersee nel 1998 per descrivere l’incapacità degli umani di vedere le piante? Non parliamo di distinguere una magnolia da un acero, un biancospino da un ligustro, ma proprio di vederle, riconoscere loro dignità di viventi?
Stefano Mancuso, botanico e neurobiologo, celebre divulgatore e sostenitore della causa degli alberi, da diversi anni in ogni occasione sostiene che “contro il riscaldamento globale non esiste una tecnologia più efficiente ed economica degli alberi, ne servono 1000 miliardi entro il 2030”. Mancuso ha anche sottolineato che i luoghi in cui tali progetti di forestazione sarebbero più necessari sono le città. È qui che la loro presenza si dimostra fondamentale per contrastare le emissioni di CO2 responsabili del riscaldamento globale che come, abbiamo constatato quest’estate, non sembra voler attendere le previsioni dei climatologi per stabilire la velocità a cui correre.
I ripetuti appelli di Mancuso sono stati presi alla lettera da diversi programmi politici, ma è lecito sospettare che si tratti, più che di genuina adesione, di operazioni di green washing visto che il rapporto ISPRA di recente pubblicato segnala che il consumo di suolo in Italia, da dieci anni a questa parte, è stato più forsennato che mai. La regione dove questo è avvenuto in misura maggiore è la Lombardia.
Ci si chiede, pertanto, in base a che principio piantare alberi e consumare suolo possano far parte dello stesso programma politico e amministrativo. In altre parole, se abbia davvero senso piantare alberi per poi tagliare boschi, asfaltare prati e cementificare aree dismesse, come accadrà fra breve, a Milano, in via Falk, dove un terreno di proprietà delle Curia, abbandonato a se stesso e diventato un bosco urbano lussureggiante, è stato ceduto a una società immobiliare per l’immancabile progetto residenziale di lusso. Insomma, per quale ragione tutta questa enfasi nei confronti di neo alberi e così poca attenzione a quelli che abbiamo qui e ora: e non solo alberi, ma anche arbusti, erbe e prati, ovvero quel corpus di vita vegetale che insieme dà luogo a importantissimi ecosistemi?
Uno dei progetti di forestazione urbana più imponenti è il milanese ForestaMi, che “prevede entro il 2030 la messa a dimora di 3 milioni di alberi e arbusti, uno per ciascun residente della città metropolitana, con l’obiettivo di incrementarne il capitale naturale, favorendo le infrastrutture verdi, le connessioni ecologiche ed i relativi servizi ecosistemici; migliorare la salute pubblica dei cittadini; aumentare le superfici permeabili urbane ed extraurbane; e proteggere ed espandere la biodiversità del territorio”.
Il sito internet da cui ho tratto questa dichiarazione informa anche che, a oggi, sono stati piantati 330.908 alberi. ForestaMi, promosso da Città metropolitana di Milano, Comune di Milano, Regione Lombardia, Parco Nord Milano, Parco Agricolo Sud Milano, ERSAF e Fondazione di Comunità Milano, è nato da una ricerca del Politecnico di Milano con il sostegno di Fondazione Falck e FS Sistemi Urbani, ed è operativo dal 2020.
Lo scorso anno, nei primi giorni di settembre, di ritorno dalle vacanze, feci un lungo giro a piedi per Milano e mi accorsi che centinaia di piante, lungo i viali, nei parchi, nelle aiuole della mia città erano morte o agonizzanti. Rimasi impressionata. La maggior parte di queste erano di recente impianto, sorrette dai tutori che contraddistinguono gli alberi del progetto ForestaMi. Mi chiesi come fosse possibile una simile ecatombe e da quel momento cominciai a seguire con più attenzione i risultati del progetto. Mi resi anche conto che molti milanesi, come me, avevano notato la cosa e facevano segnalazioni di situazioni critiche sulla pagina Facebook di ForestaMi. A queste segnalazioni nessuno ha dato (né dà) risposta, nonostante il progetto solleciti, in vario modo, la partecipazione attiva della cittadinanza.
Qualche tempo dopo, scoprii anche il gruppo Facebook battezzato Forestami e poi dimenticami, fondato nel 2021 da Adriana Berra e Irene Pizzocchero, che segnala gli alberi morti o in difficoltà, raccogliendo le testimonianze verbali e fotografiche di centinaia di persone, e invitando i milanesi, attraverso la campagna #BagnaMi, a innaffiare le piante in emergenza idrica. Vi invito a seguirlo e a constatare che la moria di alberi riguarda tutta la città di Milano e il suo hinterland, dal centro alle periferie, senza distinzioni.
A maggio di quest’anno ForestaMi, con la Fondazione per il Futuro delle Città di cui è presidente Stefano Boeri, è stato elevato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a modello nazionale per la forestazione urbana. Come ha scritto il 18 maggio il Corriere della sera: «… con la direzione scientifica di Stefano Mancuso, la Fondazione vuole contribuire in modo sostanziale al contrasto al cambiamento climatico, dove un progetto che ha gettato basi e radici nell’area milanese potrà fungere da modello per una scala nazionale. La vera sfida è e sarà sempre di più quella che si gioca nelle città.»
Che simili progetti di forestazione urbana possano risultare fallimentari, nonostante gli ottimi propositi, lo ha segnalato Francesco Ferrini, ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree all’Università di Firenze, nel saggio Resistenza verde. Manuale di autodifesa ambientale (Elliot 2021), segnalando che in inglese esiste una forma idiomatica che descrive tali situazioni: “Plant it and walk away” (cioè, piantalo e vattene). Piantare un albero è un’operazione a basso costo di pensiero, competenze, risorse e tempo solo secondo uno storytelling finalizzato alla propaganda. Piantare un albero non è un gesto facile e immediato. Come spiega Ferrini, insieme a decine di altri botanici e arboricoltori del nostro Paese che ogni giorno sui social lo denunciano (seguiteli, è utilissimo), significa aver preso decisioni a monte che richiedono esperienze decennali e conoscenze specialistiche approfondite che forse architetti e urbanisti e comitati scientifici di progetti imponenti possono sottovalutare.
A stare ai progetti di riforestazione in atto o previsti per il futuro, a breve grazie ai milioni di piante promesse, gli italiani potrebbero spostarsi da un albero all’altro alla maniera di Cosimo Piovasco di Rondò, noto come Barone Rampante. Una sterminata foresta, un intrico di corridoi verdi a ricostituire un patrimonio ambientale immenso e i suoi ecosistemi perduti.
Ma le cose, purtroppo, non stanno così. E non solo perché questi progetti sono all’inizio, ma perché i risultati (che chiunque può verificare) non sembrano incoraggianti. E non per cattiva volontà, ma per un vizio di fondo del quale è buon esempio quanto accaduto a Milano nelle scorse settimane: la risposta del sindaco Sala all’ondata di caldo estivo e allo stato di siccità eccezionale è stata l’ordinanza del 25 giugno la quale, in ottemperanza a quella della Regione Lombardia del 24, imponeva "la sospensione dell’irrigazione a spruzzo dei prati e delle aree verdi, eccetto l’irrigazione a goccia che interessa i nuovi impianti di alberi”. Associato al divieto di innaffiare, quello di lavare in cortili e piazzali, auto, moto e mezzi privati, fatta eccezione per gli autolavaggi. Qualche giorno dopo, il Comune ha pubblicato, a causa dell’immediato dissenso provocato dall’ordinanza, alcune precisazioni: “Possono continuare a funzionare gli impianti a goccia. Consentite le bagnature dei campi sportivi, sempre limitando al massimo l'utilizzo dell'acqua. Possono essere innaffiati prati e giardini grazie ai pozzi di prima falda o, indirettamente, dagli impianti geotermici con sistemi di accumulo. Possono continuare ad essere innaffiati alberi e arbusti impiantati da meno di 3 anni. Consentite le innaffiature degli orti didattici e verde curato da Associazioni e Patti di collaborazione.”
La protesta, tuttavia, nonostante le precisazioni, ha continuato a montare: sulla pagina Facebook di Forestami e poi Dimenticami e sui profili privati di decine di milanesi, preoccupati per il verde della propria città, sono apparse immagini di centinaia piante moribonde. Perché, ci si è chiesti, un’amministrazione che non ha perso occasione di dichiararsi verde, annunciando il proprio ingresso nell’élite delle Green City mondiali, nel momento di più grave difficoltà del proprio patrimonio arboreo, ha equiparato l’innaffiatura di alberi, piante e parchi al lavaggio di moto e automobili?
Il 7 luglio, il sindaco di Buccinasco, Rino Pruiti, ha dichiarato sul sito del proprio Comune: “L’ordinanza proposta da Regione Lombardia è utile e giusta per quei territori regionali che purtroppo in questo momento sono in grande sofferenza idrica. Non è il nostro caso, non è il caso dei Comuni della Città metropolitana dove il sottosuolo è molto ricco di acqua e la falda addirittura sovrabbondante. Possiamo inoltre contare su una gestione virtuosa dell’intera filiera idropotabile da parte del Gruppo CAP, la società partecipata a capitale interamente pubblico che gestisce il servizio idrico integrato del nostro territorio, quindi acquedotti, pozzi e altre infrastrutture. Con queste temperature e la mancanza di pioggia dobbiamo tutelare il nostro verde, non abbiamo quindi emesso alcuna ordinanza. Non ci sono divieti”.
La polemica intorno alla questione dell’acqua di falda di Milano è divampata, sostenuta in Consiglio Comunale dal capogruppo dei Verdi Carlo Monguzzi, fino a far tornare il Sindaco sui propri passi. Il 15 luglio l’assessora al Verde, Elena Grandi ha dichiarato sulla sua pagina Facebook: “Da oggi, con nuova ordinanza sindacale è consentito bagnare aree verdi pubbliche e private, dalle ore 22 alle 8 di mattina. Le 15 autobotti che da sempre portano acqua alle nuove alberature sono state aumentate a 25 e lavorano 24 ore su 24.”
Qui, per chiarezza, vanno specificate almeno due cose: la prima, che gli impianti a goccia in parchi pubblici e aree verdi di piazze e spartitraffico, a Milano sono da tempo e in gran parte fuori uso, come ha ammesso in una data successiva la stessa Assessora, sempre su Facebook, informando che si stava procedendo a ripararli; la seconda, che la questione autobotti è cruciale perché le loro apparizioni, dall’inizio di ForestaMi sono state sempre rarissime, pochissimi i fortunati che le hanno viste in azione e la moria di alberi, già in corso da tutto il 2021, deporrebbe a favore della loro natura fantasmatica, nonostante il Comune affermi il loro servizio operante da mesi (quella che vedete è stata fotografata in Largo Marinai d’Italia, e si tratta di una delle due in funzione con due turni giornalieri per tutta Milano est).
In merito a incongruenze, disservizi, inefficienze e responsabilità disattese, il 29 luglio Adriana Berra e Irene Pizzocchero hanno chiesto che a settembre si tenga a Palazzo Marino una Commissione dedicata al tema della manutenzione e conservazione del verde di Milano e della Città Metropolitana (anche riguardo ai risultati del progetto ForestaMI) e dell’uso dell’acqua della falda milanese. Qui trovate un aggiornamento del dibattito in corso tra l'assessora Grandi e Carlo Monguzzi.
Nelle settimane più nere e terribili per il verde milanese, con migliaia di piante perse (è del 30 luglio l’appello dei cittadini di Melzo per salvare 800 neo alberi di ForestaMi che stanno morendo), tuttavia qualcosa di straordinario è accaduto. Sulla pagina di Forestami e poi Dimenticami, e sui profili Facebook di moltissimi milanesi sono apparse le fotografie di persone che, armate di innaffiatoi, taniche, bottiglie si sono preoccupate di salvare le piante del proprio quartiere (per contagio, foto di innaffiatoi e innaffiatori a poco a poco sono apparsi sui social in tutta Italia). Perfino i media hanno cominciato a occuparsi di questa non troppo silenziosa protesta, e giornali e telegiornali hanno mostrato immagini della rivolta degli innaffiatoi: donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambini e bambini, anziani e anziane preoccupati di salvare le piante sotto casa, abbandonate a se stesse: quegli alberi e quegli arbusti che fanno parte della loro vita quotidiana e dei quali, forse, fino a quel momento non si erano mai del tutto accorti.
Immagini importanti, perché se l’ordinanza di Sala, ha implicitamente dichiarato che una delle prime cose che può essere abbandonata in una città, in caso di siccità, è il verde che, dunque, è considerabile, in prospettiva anacronistica e limitata, arredo urbano da buttare all’occorrenza e ripiantare, l’ondata di indignazione dei milanesi ha affermato che il verde è una priorità, un patrimonio e un organismo vivente fondamentale dei cittadini, dotato di diritti, una risorsa vitale per tutti. Qualcuno l’ha chiamato un’infrastruttura di salute pubblica e in quanto tale fra le ultime cose da abbandonare, in caso di siccità, e la prima da tutelare.
L’8 febbraio di quest’anno per la prima volta dal 1948 due articoli della Costituzione sono stati modificati: il 9 e il 41. I nuovi articoli introducono la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli animali tra i principi fondamentali della Carta costituzionale, dichiarando tra i suoi principi fondamentali la tutela della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. E, cosa fondamentale, stabiliscono che la libertà di iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con la salute e l’ambiente.
La rivolta degli innaffiatoi rivela che il cambiamento culturale di cui parla questo evento storico è in atto ed è ciò che davvero potrà determinare un cambiamento nelle politiche ambientali, prima ancora dei milioni di alberi da piantare. La pressione dell’opinione pubblica, le sue richieste, la sua voce forte e chiara sono vitali. Facciamoci sentire.
Gli innaffiatoi dei bambini al Parco Trotter (foto Giovanna Zoboli, luglio 2014).