Parole sciupate, significati contesi
Senti pronunciare una parola e subito rimani preso dall'esperienza sensoria del suono dato dalle lettere che la compongono, dal modo di pronunciarla del tuo interlocutore, con un suo timbro, un suo accento.
Oppure la leggi e immediatamente dall'insieme di segni dato, dalle linee che formano le lettere, operi l'astrazione base della nostra civiltà alfabetica e ne ricavi un significato standard, un quanto di informazione.
Questo effetto dura un momento e subito lascia spazio e contribuisce a generare un'assegnazione di significato e di rimandi che entrano in relazione con il resto delle parole che le si sono disposte intorno, contribuendo a mettere in moto una girandola di nozioni e cognizioni che fanno parte di te e della tua formazione e che si proiettano e si riflettono nel contesto che fa da sfondo alla parola.
Le parole sembrano fatte per essere sperperate, disseminate, disperse nei mille discorsi sempre in essere che sono propri della tua esperienza intersoggettiva. Sembrano prediligere una certa leggerezza nel loro uso e invitano a coltivare la diversità e l'eterogeneità del vocabolario. Varietà, variazione, parole in libertà.
A volte invece, certe parole conoscono un destino tutto particolare dato dalla loro ripetizione, e nella ripetizione fatalmente un senso nuovo si perde o si crea.
Si crea perché la ripetizione è l'azione primitiva di attribuzione di senso più radicata nella nostra esperienza di animali bipedi e implumi. Infatti, quanto apprendimento nei primi mesi di vita passa dall'imitazione e dalla ripetizione di azioni e poi di parole?
Si perde invece quando il mantra di una formula abusata torna a essere esperienza primariamente sensuale, suono sterile; questa parola per conoscere nuova vita avrà allora bisogno di essere risignificata, ricodificata, inserita in un contesto diverso con cui possa entrare in gioco e da cui possa trarre nutrimento.
Ma prima di perdersi e dopo le prime articolazioni di parole, i significati conoscono una lunga vita e restano esposti in misura straordinaria alla forza della ripetizione in regimi discorsivi diversificati che vanno a comporre il rasserenante e rassicurante quadro del senso comune e dell'opinione.
Il senso comune poi non è neutro ma svolge una funzione propria, stabilisce uno spazio di comprensione reciproca, uno standard di comunicazione ideale per i dialoghi minuti e quotidiani. Generico, adatto a dire una cosa qualunque ma non qualunque cosa, rende necessaria la nascita di linguaggi gergali e specialistici con cui entra in una sorta di competizione la cui posta in palio è il dicibile. Parlare la stessa lingua è sinonimo di comunità, necessità di intendersi e capirsi al volo, luogo comune.
La stratificazione dei significati e la proliferazione dei linguaggi contribuisce in modo determinante alla creazione di un insieme movimentato, complesso, caotico e duttile di definizioni che si lasciano manipolare e modellare plasticamente da chiunque, tanto da micropoteri diffusi, quanto dalle forze del capitale finanziario e neoliberista.
Viviamo in un periodo il cui il futuro appare incerto e dominato da tinte fosche, forse anche per questo è sempre più diffusa l'esigenza di mappare, cartografare, stilare tassonomie, elaborare infografiche. Come ad assicurare una capacità di controllo inalterata e il potere senza limiti di tenere tutto insieme. Sembra quasi di poter sentire una voce che dice: questo è lo scenario,il paesaggio, l'orizzonte; noi lo possiamo abitare, lo possiamo attraversare. L'importante è identificare gli appigli sicuri, sapere dove mettere i piedi, riconoscere le parole d'ordine.
A questo proposito è fondamentale creare una rete di salvataggio di significati condivisi cui aggrapparsi in caso di necessità; per non cadere. Ma dove si cade in questi casi? Per alcuni e in un certo senso è questo il ruolo elettivo destinato al modo di intendere la comunicazione e l'informazione: messaggi semplici, chiari, positivi (soprattutto). Mai, per nessuna ragione, problematizzare. Altrimenti si esce dal mainstream, e nessuno vuole correre il rischio di uscire dalla corrente principale del senso comune. A meno che non ci si assuma il rischio di fare propria una postura marginale. Quel pensare senza ringhiera che Federico Zappino, Lorenzo Coccoli e Marco Tabacchini, curatori del volume Genealogie del presente. Lessico politico per tempi interessanti, prendono a monito da Arendt. Qui l'operazione dimostra una certa audacia perché questo lessico non pretende di stabilire significati consolidati ma di mostrare genealogicamente i processi e le torsioni che alcune espressioni e concetti subiscono incessantemente, al fine di offrire uno strumento di orientamento e comprensione della complessità che ci circonda. Mostrare, attraverso il movimento di strategie discorsive contingenti, la linea di frontiera di battaglie politiche proprie del contemporaneo.
In questo lessico rientrano diciotto voci: bene comune, costituzione, crisi, democrazia, destra/sinistra, eccellenza, eguaglianza, governabilità, legalità, movimento, popolo, povertà, precarietà, responsabilità, sacrificio, società, trasparenza, futuro. Molte altre su cui esercitare utilmente uno sguardo critico e l'esercizio genealogico sono rimaste fuori, su ammissione degli stessi autori del libro. Una su tutte: comunità, una delle parole più abusate degli ultimi anni e quasi mai indagata, al di là degli ambiti disciplinari dedicati, né da un punto di vista semantico, né da un punto di vista performativo.
Il valore di questo volume risiede soprattutto nel tentativo riuscito di gettare luce sull'uso distratto e inconsapevole o malizioso e strategico di una serie di espressioni che hanno subito una lunga serie di risemantizzazioni, spesso funzionali alla logica di forme di potere storicamente determinate, come dell'attuale società dello spettacolo. A questo riguardo gli autori sono molto chiari nell'affermare che non è in alcun modo loro obiettivo ricercare un significato ultimo e vero da ri-affermare una volta per tutte ma solo mostrare la plasticità di parole e significati contesi.
Ci innamoriamo delle parole, della loro capacità evocativa di suggerire immagini, scenari e ancora altre parole. Pronunciamo, udiamo, leggiamo una parola ma esercitiamo sempre la stessa capacità ancestrale di evocare un dio, un mondo, una legge. Associazioni e costellazioni.
L'insieme semantico così evocato possiede una tale irresistibile capacità seduttiva da rendere faticoso ogni tentativo di sottrazione, ogni spinta al raffreddamento, allo sguardo gelido dell'analisi.
Parole sciupate. Il loro uso, la loro performance, è simile a quella di cani che corrono in gara nel cinodromo, misurabile in base alle ricorrenze, differente a seconda del circuito, orientata sempre al primato. Fino alla completa consunzione, quando un lemma si ritira dall'agone per lasciare spazio a un altro più fresco. Padroni, bookmakers, giocatori e disperati trascorrono così il loro tempo, tra interessi privati e scommesse clandestine.
Genealogie del presente verrà presentato il 3 novembre alle 19.00 a Macao, Milano