Albero stella di poeti rari

20 Maggio 2015

Continua lo speciale dedicato a Giuliano Scabia, uno dei padri fondatori del nuovo teatro italiano, maestro profondo e appartato di varie generazioni, artista sperimentatore, poeta, drammaturgo, regista, attore, costruttore di fantastici oggetti di cartapesta, pittore dal tratto leggero e sognante, narratore, pellegrino dell’immaginazione, tessitore di relazioni, incantatore. Dopo l’intervista Alla ricerca della lingua del tempo, continua con la pubblicazione in esclusiva, in quattro puntate, di un poemetto inedito, Albero stella di poeti rari – Quattro voli col poeta Blake, recitato per la prima volta dallo stesso Scabia durante il festival A teatro nelle case del Teatro delle Ariette a Oliveto di Valsamoggia (Bologna). Dopo Volo sopra la città di Londra, pubblicato mercoledì 13 maggio, il fantastico viaggio guidato da William Blake continua sopra la città di Parigi, la sua Torre Eiffel e altri luoghi rinomati, con l’apparizione di Baudelaire e altri poeti, della Rivoluzione e della Tavola Rotonda, dell’indovino Tiresia, del re Sole e del commediante Molière.

 

 

"L’albero inciso e l’albero scolpito”, ph. Massimo Agus

 

 

VOLO SECONDO SOPRA LA FRANCIA

 

1. Verso Parigi

 

Quando vedemmo l’aria farsi scura

e le stelle incoronare il cielo

ci venne voglia di volare ancora

per seguire conoscenza ed avventura.

 

Un po’ sognanti per il the speziato

all’improvviso il mio poeta disse:

“Parigi, Parigi aspetta: sarà un volo

meraviglioso – come di arco baleno.”

 

Era sorto un vento e presto fummo in alto

spesso facendoci occhiolino e scavallando

fra le nuvole e la notte, giocando

a rimpiattino, in poesia parlando.

 

Com’è epico il volo dei poeti

che parlando giron gironeggiando

hanno di poemi inseminato il cielo

fole visioni e dei immaginando!

 

Ah, mare! Ah, canale della Manica!

Ah, Francia bellissima di campi e di foreste!

Ah, fiumi lucenti per lumìo di stelle!

Ah, luci di paesi e città! E di Parigi, ah,

 

fantasmagorica immensità! Ed ecco che un turbine

di nuvole dense rotolanti tempestose

ci avvolse – sì che tememmo non restare vivi –

fin quando un grande uccello apparve e disse:

 

“Non paura, sono Charles Baudelaire

il ben venuto a dare a chi ben viene

portato dal gioco dell’immaginare

e dal gusto di viaggiar volare.”

 

“O raro,” – dico. – “O caro.” “L’aria,” – dice –

è fatta per sognare  – il volo è la giunta

data in dono quando incontrare avviene

altri invaghiti di volare insieme.”

 

E poi, sorridendo: “Salite su di me,” – dice.

Subito saliamo e Blake canta

forse per onorare il volo e quel poeta

e la Senna la RER il metrò la Défense – canta

 

i poemi dei fiori dell’Inferno

e a lui la voce unisce Baudelaire uccello

a unisono poi intonando fraterno

versi d’innocenza e d’esperienza.

 

Ed ecco che altissima improvvisa

sorge fra nubi e nebbia l’alta torre

Eiffel – e l’uccello maestoso si posa

con noi sulla cima meravigliosa.

 

“L’albero dei poeti: il più alto dei poeti sui rami, forse Omero”, ph. Massimo Agus

 

2. Dialogo con l’uccello Baudelaire sopra la Torre Eiffel

 

Guarda,” – dice Blake – “o guarda

come Parigi si rivela. Qui fu

che sorsero Rivoluzione e Terrore

quando giustizia finalmente fu fatta.”

 

“Fu fatta?” – dico. – “Poeta mio, veggente,

con tutte quelle teste tagliate di gente,

re regine conti marchesi baroni cittadini

e infine Saint-Just Robespierre Danton

 

anche loro ghigliottinati, fu un bel massacro.”

“Rivoluzione è la grande festa,” – dice Blake –

“bagno di sangue entusiasmante e sacro,

flusso di vita che mai s’arresta – gran lavacro.”

 

“Qui sorse, o amici,” – dice l’uccello Baudelaire – “la Comune:

e qui fu disfatta. In questa città ogni sogno

fu sognato e poi dal risveglio deformato:

qui tutto provammo – e forse non invano – poi

 

penso al bel Novecento, al tuo, Escabià, secolo

fantasmagorico e tremendo, ai suoi sogni e visioni,

alle sue rivoluzioni e catastrofi,

ai morti milioni e milioni.”

 

“Maestri miei,” – dico – “vi rendete conto

che dentro i sogni e le utopie nel corpo

sacro di tutti gli dei cova e preme

il seme del massacro?”

 

Si guardano, Blake e Baudelaire: e restano

muti: si sentono i nostri respiri

intonati col vento – sento

in loro e me la paura – e smarrimento.

 

A volte dei poeti i pensieri – penso –

fanno sconquasso. Non fidarsi dei veggenti.

È meglio dubitare. Di qualunque profezia

promessa utopia proclama manifesto diffidare.

 

“Dicono,” – dice l’uccello Baudelaire – “che tutto ormai

è diventato souvenir: Sacré-Coeur, Folie,

Monet, Concorde, Musée, Metrò,

De Gaulle, Jeanne d’Arc, Notre-Dame, la Seine

 

martiri santi amori re: ma

noi poeti no: fingendoci bestie,

sassi, rotaie di metrò, resi

stiamo e nei versi tic tac respiriamo.”

 

“O Baudelaire,” – dice Blake – “il tuo messaggio

è di sapienza  e conoscenza.

Nessuno può vincere i poeti. Nessuno

ha la chiave dei loro segreti.”

 

“Segreti di suono e ombra che diventa luce,” – dice

Baudelaire – “di misteriose corrispondenze

illuminate dall’ascoltare, presenze

d’immensità aperte a contemplare.”

 

“Noi”, – dice Blake – “inventando il verde risonante

ne siamo custodi e giardinieri:

alberi fiori frutti bestie acque

parlando cantando rinviviamo.”

 

“Senza cui,” – dice Baudelaire – “niente

al mondo c’è. Vadano le banche, vadano

i motori e le reti infinite – ma

senza acqua e fiori e bestie mai vita sarà.”

 

Muoveva lento le ali mentre veniva

la brezza – e cantava piano così che

alle stelle faceva ricamo, e abisso

la sua voce lasciava immaginare.

 

Come mi rallegravo in ascoltare

il dialogo fra i due maestri di volo:

come mi sentivo illuminare aspettando

ciò che al poema si stava rivelando:

 

rivelando che vedemmo uno stormo

di persone verso noi sulla torre

salire – e appollaiarsi intorno

come alla Tavola Rotonda i cavalieri.

 

“L’albero dei poeti: le bestie, fra cui blake uccello, o forse baudelaire, ascoltano orfeo che suona per loro, per l’albero e le foreste, e per le pietre…”, ph. Massimo Agus

 

3. Tavola Rotonda sulla Tour Eiffel

 

“Adesso,” – dice l’uccello Baudelaire –

facciamo il coro – come sarà sarà  –

è per bellezza – è per gentilezza –

che ben si senta sopra il correr via

 

la voce calma della poesia.”

Qui cominciano a cantare.

Chi sono ancora non sappiamo.

Le voci è come di cristalli tintinnare.

 

“Sono poeti,” – dice Blake. – “Questo suono

solo i poeti possono intonare.

È un suono che può rivelare

il senso del mondo e del volare.”

 

“Maestro di volo,” – dico – “quale mistero

mi stai manifestando?” E intanto il canto

si fa come di trine, come di ricami,

come oro cesellato di visioni.

 

“È il mistero che nel volo sta,” –

dice Blake. – “Guarda gli occhi brillare

e le ali tremare del poeta uccello

che domina la notte sulla torre re.”

 

Finisce il canto e dice Baudelaire: –

“Ospiti cari e benvenuti – questi qui convenuti

a farvi onore sono i poeti di Francia

a di Parigi: Verlaine, Hugo, Ronsard,

 

Rimbaud, Éluard, Musset, Vigny,

Villon, Lautréamont veggente,

Artaud, Tzara, Picabia, Michaux

e altri fra i più sapienti

 

qui stasera saliti per parlare

del mistero della poesia.” O rare voci,

cari convitati! “Poesia,” –

dice uno – “è pura veggenza, ascolto

 

del mare profondo dove ininterrottamente

si rimescola l’abisso con parole.” “Palle!” – dice

un altro. – “Poesia è balbettio di niente,

caduta, singhiozzo, inciampamento e

 

me impiccato al vento dondolare.” Qui

di nuovo si mettono a cantare, però

dissonantemente, gracchiando, stridendo,

fischiando. Sicché mi tappo le orecchie.

 

Ed ecco che Blake all’improvviso

balza verso l’alto e poi fa un salto

mortale all’indietro – e sorridendo dice:

“Nessun uccello troppo in alto vola

 

se con le proprie ali sole vola.” E tutti

fanno silenzio. E Baudelaire dice:

“Ancora non si sa cosa sia cecità.

Chi sia Tiresia cieco ancora non si sa.”

 

Ed ecco che salendo tentennando

sull’alta torre cieco magro tremando

un vecchio nudo appare. E tutti a lui reverenza fare.

E Baudelaire con voce soave a lui parlare:

 

“Tiresia, eccoci pronti a te ascoltare.

Il vento è dolce – la notte rara –

il tempo è giusto per rivelare

cosa sia veramente indovinare.”

 

“L’albero dei poeti: forse rimbaud, forse dylan thomas, forse leopardi, forse chissà chi…”, ph. Massimo Agus

 

4. La rivelazione di Tiresia

 

Come uccello magrissimo, bellissimo,

Tiresia l’indovino – il poeta primo –

sull’alta torre che corona fa

alla città Parigi che sembra nella notte

 

un coro d’occhi è sul punto di parlare:

oh come tutti sono attenti, stupiti

d’essere qui, convocati dal volo

di me col poeta Blake – o notte!

 

Dice Tiresia: “Qu day! Qu day!

Čiok! Pil! Pil! Pil! Pil! Čiok!

Goo! Goo! Goo! Kurr! Kurr!

Humal segān xatamud!”

 

“Qam!” – grida uno dei poeti. E tutti

consuonano e intonano quelle

o-o-o- go-go-go-o-ofonie,

semi fiorenti di suono

 

che si espande come d’albero rami

per la notte sonora – siamo

l’albero dei poeti che cantano

verso ogni luogo ogni tempo.

 

“È dei poeti” – dice, flebilissimo,

Tiresia – “è dei poeti, dei poeti…”

“Maestro! Maestro!” – dice Baudelaire.

La notte è come seta, come donna viva.

 

“È dei poeti il sentire,” – dice Tiresia –

“l’oltre vedere, l’oltre passare.”

“Maestro! Maestro!” – dicono i poeti.

E Blake mi fa cenno di parlare.

 

“Che suono? Che oltre? Che passare?”

– domando. Si fa silenzio in quella

di Parigi cupola e torre/altare

e Tavola Rotonda d’ascoltare.

 

Silenzio e attesa: e finalmente

Tiresia ricomincia cantando a parlare:

“Suono è l’anima del vento –

vento che insemina il tempo.

 

Chi passa è il vento: vento che s’inoltra

nel mondo che si sta per formare.

Vento che nel grande regno Aldilà

va i morti ad ascoltare.”

 

“Tiresia!” – grido – “O massimo poeta:

i morti possono tornare?”

“No,” – dice – “ma

con noi possono parlare.”

 

Trema la notte. Si fa

silenzio. Attenti stiamo. E

piano, dolcemente, l’indovino

svanisce – un poco vento fa tremare

 

le ali al poeta Baudelaire,

negli occhi, come perle, gli vedo

due lacrime spuntare – e tutti ora noi

sommessamente in coro iniziar cantare.

 

“L’albero dei poeti: forse majakovski, forse chlebnikov, forse villon, forse eros alesi, forse Tiresia, forse Zareimakù…”, ph. Massimo Agus

 

5. Incontro col Re Sole e il suo comédien Molière

 

Ora la notte è colma – come stelle

noi inumiditi di rugiada ora

è il momento di andare – Blake

mi fa cenno e tutti salutare.

 

O cara (rara) notte di rivelazioni

verso occidente volando

in alto gli occhi di Baudelaire uccello

sorridenti accompagnare vediamo.

 

Lui non fermarsi, sempre girare

come un pensiero che non vuole arrivare

sicuro sapendo che il viaggiare

consiste nel segreto di andare.

 

Ed ecco che sopra Versailles, reggia e giardino,

siamo – e nello scuro luccicante su un prato

due che stanno parlando sorgono: e sono, ora distinguiamo,

il Re Sole e il suo comédien Molière.

 

O forza dei pensieri! O meraviglia di visioni

che i poeti a volte vedono! Ora ascoltiamo

cosa dicono e fanno Molière poeta in nero

e il suo Re travestito in recitare.

 

Dice il Re Sole: “O mio Scacciamosche,

consigliere, maestro, buffone: cos’è la vita?”

“Malinconia,” – dice Molière – “tradimento, avarizia e vuoto.

Teatro di passioni sempre in moto.”

 

“E la morte?” “ Demenza, impotenza,

gioco, prigione, teatro, menzogna, ambizione,

catastrofe, veleno.” “ Ma tu, Molière, allora

perché stai giocar con me Re d’ogni Re?”

 

“Perché anch’io, mio Re, sono Re

della scena, sulla scena Re. E tu come me sei Re

d’ombre, fantasmi, maschere fatali,

attore come me. Grande nella parte di Gran  Re.”

 

“Mio commediante, mio maestro triste,

senza di te non sarei Re Sole. Tu sveli

il gioco e un poco m’aiuti la malinconia

a vincere fingendomi nella notte Sole

 

per curare del mondo la mania.

Bella è la notte: Adesso io Re Sole

chiamo in scena l’Aurora

che venga in suo splendore illuminare

 

la reggia, i sudditi, gli attori,

i boschi, le bestie e tutto ciò che è. Piangi?”

“Piango, mio Re, per tuo amore. Fratello Re,

tu Sole e io tua Ombra, gli ori

 

del palazzo per il Sole che sta levando

sono in splendore: vieni, scorreggiamo insieme

per curare il male del tempo che viene

e la malinconia di tutte le scene.”

 

Ecco il Sole! Blake e io incantati dal dialogo

vediamo il Re Sole e il suo commediante

prima pisciare insieme in un laghetto e poi

dandosi pacche allontanarsi ballando.

 

In alto sopra i boschi e l’acqua dei canali

l’uccello Baudelaire e i poeti volare

vediamo nel fulgore dell’Aurora

che d’oro fa ogni tetto e volto e cosa.

 

Giuliano Scabia a Oliveto Valsamoggia nel 2014, ph. Maurizio Conca

 

6. Viaggio in metro e visita al cimitero del Père Lachaise con cena al Grand Colbert

 

Tornammo a Parigi rapidamente

onde non perdere il corri corri e i ruscelli

lungo i marciapiedi impetuosi e fare colazione

al Trocadéro, da cui scendemmo

 

nel metro scopo gironzolare. “Il sotto terra,” –

dice Blake, – “è pur sempre un al di là, ma

oramai senza mistero. Ove non più

il Re del Mondo in suo trono sta.”

 

“Re del Mondo,” – dico – “adesso chi sarà?”

“Il bisibisibisiness,” – dice il mio poeta –

“che adesso senza posa bisibisinessa.

Ma dove tale bisi bisi porterà?”

 

Corriamo di ponte in ponte, di gare in gare,

il vento ci attraversa, da sopra cala,

è maggio, la primavera incalza,

il fiori sono sui rami, volano le vetture

 

sui binari che son vene e arterie,

gente che viene e va, formiche umanità

scandite d’orari, sempre fuggenti,

in cerca del cercare e del tornare.

 

Usciamo al Sacro Cuore dove un tempo

Marte e Mercurio furono onorati: e ai martiri

pensiamo – al sangue da cui trae mito e vita

la molto amata da noi due città.

 

E intanto piano piano passa il giorno e viene

la sera, visitiamo i grattacieli alla Défense

e il Palazzo Reale, aspettiamo

la notte e in segreto ci rechiamo

 

ad ascoltare certi morti al Père Lachaise.

Stelle, tremolio, vento leggero, in alto vola

lento girando l’uccello Baudelaire

e noi con le mani salutiamo.

 

“O dormenti nella città crescente, buona sera.”

“Buona sera” sentiamo sussurrare.

Il tempo è calmo, forse fermo, camminiamo.

Continuo si sente buona sera sussurrare.

 

Andiamo e andiamo fino a quando un muro

si erge. È scritto: Comunardi. È

in ricordo di quei sognatori fucilati

libertari dittatori dei proletariati.

 

“Rosso berretto e fucile alla mano,”

– dice Blake. – “E fu tutto invano?”

“Ah,” – dico. – “Che sogno il comunismo! E

che catastrofe lungo il novecento.”

 

“Forse i sogni,” – dice Blake – “stanno bene

nei sogni. Non paura. Di sogno

vive ogni sogno. Adesso cerchiamo

un posto dove ben cenare.”

 

E così uscimmo un poco volando

un poco camminando, guidandoci lento

l’uccello Baudelaire fino al ristorante

Le Grand Colbert – dove troviamo

 

che cenano il Re col suo Molière

e altri di Francia e d’Italia personaggi

fra cui Cavour Mazzini Garibaldi

e presidenti fra cui Mittérand

 

che mi strizza l’occhio e dice sottovoce:

“Il bene è nel ben governare

e dai poeti ascoltare in dono

della lingua il misterioso suono.”

 

E poi ostriche! E poi champagne!

Arrivano Danton, Robespierre, Saint-Just

e poi Voltaire e Rousseau, e che liti

si sentono – e forse ghigliottine tintinnare.

 

È notte notte – al Re Sole tutti

fanno corona – ma a un tavolo separati

vediamo i comunardi e Robespierre

che li ispira a far terrore – e anche Jeanne d’Arc

 

in colloquio col magro luminoso

bellissimo inquisitore Artaud.

“O Blake,” – dico – “non ti sembra un po’

tutto rimescolato?” “È vero,” – dice – “ma

 

qui nel Grand Colbert stasera

è tutto solo un sogno – presto

tutto sarà come avviene in realtà:

che niente e tutto mai perduto va.”

 

 

 

Sabato 23 maggio alle 17.30 per il ciclo di incontri letterari Sguardi sul presente Giuliano Scabia dialoga con Attilio Scarpellini nella Chiesa di Santa Caterina in via del Crocifisso a Lucca.
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