Albero stella di poeti rari
Continua lo speciale dedicato a Giuliano Scabia, uno dei padri fondatori del nuovo teatro italiano, maestro profondo e appartato di varie generazioni, artista sperimentatore, poeta, drammaturgo, regista, attore, costruttore di fantastici oggetti di cartapesta, pittore dal tratto leggero e sognante, narratore, pellegrino dell’immaginazione, tessitore di relazioni, incantatore. Dopo l’intervista Alla ricerca della lingua del tempo, continua con la pubblicazione in esclusiva, in quattro puntate, di un poemetto inedito, Albero stella di poeti rari – Quattro voli col poeta Blake, recitato per la prima volta dallo stesso Scabia durante il festival A teatro nelle case del Teatro delle Ariette a Oliveto di Valsamoggia (Bologna). Dopo Volo sopra la città di Londra, pubblicato mercoledì 13 maggio, il fantastico viaggio guidato da William Blake continua sopra la città di Parigi, la sua Torre Eiffel e altri luoghi rinomati, con l’apparizione di Baudelaire e altri poeti, della Rivoluzione e della Tavola Rotonda, dell’indovino Tiresia, del re Sole e del commediante Molière.
"L’albero inciso e l’albero scolpito”, ph. Massimo Agus
VOLO SECONDO SOPRA LA FRANCIA
1. Verso Parigi
Quando vedemmo l’aria farsi scura
e le stelle incoronare il cielo
ci venne voglia di volare ancora
per seguire conoscenza ed avventura.
Un po’ sognanti per il the speziato
all’improvviso il mio poeta disse:
“Parigi, Parigi aspetta: sarà un volo
meraviglioso – come di arco baleno.”
Era sorto un vento e presto fummo in alto
spesso facendoci occhiolino e scavallando
fra le nuvole e la notte, giocando
a rimpiattino, in poesia parlando.
Com’è epico il volo dei poeti
che parlando giron gironeggiando
hanno di poemi inseminato il cielo
fole visioni e dei immaginando!
Ah, mare! Ah, canale della Manica!
Ah, Francia bellissima di campi e di foreste!
Ah, fiumi lucenti per lumìo di stelle!
Ah, luci di paesi e città! E di Parigi, ah,
fantasmagorica immensità! Ed ecco che un turbine
di nuvole dense rotolanti tempestose
ci avvolse – sì che tememmo non restare vivi –
fin quando un grande uccello apparve e disse:
“Non paura, sono Charles Baudelaire
il ben venuto a dare a chi ben viene
portato dal gioco dell’immaginare
e dal gusto di viaggiar volare.”
“O raro,” – dico. – “O caro.” “L’aria,” – dice –
è fatta per sognare – il volo è la giunta
data in dono quando incontrare avviene
altri invaghiti di volare insieme.”
E poi, sorridendo: “Salite su di me,” – dice.
Subito saliamo e Blake canta
forse per onorare il volo e quel poeta
e la Senna la RER il metrò la Défense – canta
i poemi dei fiori dell’Inferno
e a lui la voce unisce Baudelaire uccello
a unisono poi intonando fraterno
versi d’innocenza e d’esperienza.
Ed ecco che altissima improvvisa
sorge fra nubi e nebbia l’alta torre
Eiffel – e l’uccello maestoso si posa
con noi sulla cima meravigliosa.
“L’albero dei poeti: il più alto dei poeti sui rami, forse Omero”, ph. Massimo Agus
2. Dialogo con l’uccello Baudelaire sopra la Torre Eiffel
“Guarda,” – dice Blake – “o guarda
come Parigi si rivela. Qui fu
che sorsero Rivoluzione e Terrore
quando giustizia finalmente fu fatta.”
“Fu fatta?” – dico. – “Poeta mio, veggente,
con tutte quelle teste tagliate di gente,
re regine conti marchesi baroni cittadini
e infine Saint-Just Robespierre Danton
anche loro ghigliottinati, fu un bel massacro.”
“Rivoluzione è la grande festa,” – dice Blake –
“bagno di sangue entusiasmante e sacro,
flusso di vita che mai s’arresta – gran lavacro.”
“Qui sorse, o amici,” – dice l’uccello Baudelaire – “la Comune:
e qui fu disfatta. In questa città ogni sogno
fu sognato e poi dal risveglio deformato:
qui tutto provammo – e forse non invano – poi
penso al bel Novecento, al tuo, Escabià, secolo
fantasmagorico e tremendo, ai suoi sogni e visioni,
alle sue rivoluzioni e catastrofi,
ai morti milioni e milioni.”
“Maestri miei,” – dico – “vi rendete conto
che dentro i sogni e le utopie nel corpo
sacro di tutti gli dei cova e preme
il seme del massacro?”
Si guardano, Blake e Baudelaire: e restano
muti: si sentono i nostri respiri
intonati col vento – sento
in loro e me la paura – e smarrimento.
A volte dei poeti i pensieri – penso –
fanno sconquasso. Non fidarsi dei veggenti.
È meglio dubitare. Di qualunque profezia
promessa utopia proclama manifesto diffidare.
“Dicono,” – dice l’uccello Baudelaire – “che tutto ormai
è diventato souvenir: Sacré-Coeur, Folie,
Monet, Concorde, Musée, Metrò,
De Gaulle, Jeanne d’Arc, Notre-Dame, la Seine
martiri santi amori re: ma
noi poeti no: fingendoci bestie,
sassi, rotaie di metrò, resi
stiamo e nei versi tic tac respiriamo.”
“O Baudelaire,” – dice Blake – “il tuo messaggio
è di sapienza e conoscenza.
Nessuno può vincere i poeti. Nessuno
ha la chiave dei loro segreti.”
“Segreti di suono e ombra che diventa luce,” – dice
Baudelaire – “di misteriose corrispondenze
illuminate dall’ascoltare, presenze
d’immensità aperte a contemplare.”
“Noi”, – dice Blake – “inventando il verde risonante
ne siamo custodi e giardinieri:
alberi fiori frutti bestie acque
parlando cantando rinviviamo.”
“Senza cui,” – dice Baudelaire – “niente
al mondo c’è. Vadano le banche, vadano
i motori e le reti infinite – ma
senza acqua e fiori e bestie mai vita sarà.”
Muoveva lento le ali mentre veniva
la brezza – e cantava piano così che
alle stelle faceva ricamo, e abisso
la sua voce lasciava immaginare.
Come mi rallegravo in ascoltare
il dialogo fra i due maestri di volo:
come mi sentivo illuminare aspettando
ciò che al poema si stava rivelando:
rivelando che vedemmo uno stormo
di persone verso noi sulla torre
salire – e appollaiarsi intorno
come alla Tavola Rotonda i cavalieri.
“L’albero dei poeti: le bestie, fra cui blake uccello, o forse baudelaire, ascoltano orfeo che suona per loro, per l’albero e le foreste, e per le pietre…”, ph. Massimo Agus
3. Tavola Rotonda sulla Tour Eiffel
“Adesso,” – dice l’uccello Baudelaire –
facciamo il coro – come sarà sarà –
è per bellezza – è per gentilezza –
che ben si senta sopra il correr via
la voce calma della poesia.”
Qui cominciano a cantare.
Chi sono ancora non sappiamo.
Le voci è come di cristalli tintinnare.
“Sono poeti,” – dice Blake. – “Questo suono
solo i poeti possono intonare.
È un suono che può rivelare
il senso del mondo e del volare.”
“Maestro di volo,” – dico – “quale mistero
mi stai manifestando?” E intanto il canto
si fa come di trine, come di ricami,
come oro cesellato di visioni.
“È il mistero che nel volo sta,” –
dice Blake. – “Guarda gli occhi brillare
e le ali tremare del poeta uccello
che domina la notte sulla torre re.”
Finisce il canto e dice Baudelaire: –
“Ospiti cari e benvenuti – questi qui convenuti
a farvi onore sono i poeti di Francia
a di Parigi: Verlaine, Hugo, Ronsard,
Rimbaud, Éluard, Musset, Vigny,
Villon, Lautréamont veggente,
Artaud, Tzara, Picabia, Michaux
e altri fra i più sapienti
qui stasera saliti per parlare
del mistero della poesia.” O rare voci,
cari convitati! “Poesia,” –
dice uno – “è pura veggenza, ascolto
del mare profondo dove ininterrottamente
si rimescola l’abisso con parole.” “Palle!” – dice
un altro. – “Poesia è balbettio di niente,
caduta, singhiozzo, inciampamento e
me impiccato al vento dondolare.” Qui
di nuovo si mettono a cantare, però
dissonantemente, gracchiando, stridendo,
fischiando. Sicché mi tappo le orecchie.
Ed ecco che Blake all’improvviso
balza verso l’alto e poi fa un salto
mortale all’indietro – e sorridendo dice:
“Nessun uccello troppo in alto vola
se con le proprie ali sole vola.” E tutti
fanno silenzio. E Baudelaire dice:
“Ancora non si sa cosa sia cecità.
Chi sia Tiresia cieco ancora non si sa.”
Ed ecco che salendo tentennando
sull’alta torre cieco magro tremando
un vecchio nudo appare. E tutti a lui reverenza fare.
E Baudelaire con voce soave a lui parlare:
“Tiresia, eccoci pronti a te ascoltare.
Il vento è dolce – la notte rara –
il tempo è giusto per rivelare
cosa sia veramente indovinare.”
“L’albero dei poeti: forse rimbaud, forse dylan thomas, forse leopardi, forse chissà chi…”, ph. Massimo Agus
4. La rivelazione di Tiresia
Come uccello magrissimo, bellissimo,
Tiresia l’indovino – il poeta primo –
sull’alta torre che corona fa
alla città Parigi che sembra nella notte
un coro d’occhi è sul punto di parlare:
oh come tutti sono attenti, stupiti
d’essere qui, convocati dal volo
di me col poeta Blake – o notte!
Dice Tiresia: “Qu day! Qu day!
Čiok! Pil! Pil! Pil! Pil! Čiok!
Goo! Goo! Goo! Kurr! Kurr!
Humal segān xatamud!”
“Qam!” – grida uno dei poeti. E tutti
consuonano e intonano quelle
o-o-o- go-go-go-o-ofonie,
semi fiorenti di suono
che si espande come d’albero rami
per la notte sonora – siamo
l’albero dei poeti che cantano
verso ogni luogo ogni tempo.
“È dei poeti” – dice, flebilissimo,
Tiresia – “è dei poeti, dei poeti…”
“Maestro! Maestro!” – dice Baudelaire.
La notte è come seta, come donna viva.
“È dei poeti il sentire,” – dice Tiresia –
“l’oltre vedere, l’oltre passare.”
“Maestro! Maestro!” – dicono i poeti.
E Blake mi fa cenno di parlare.
“Che suono? Che oltre? Che passare?”
– domando. Si fa silenzio in quella
di Parigi cupola e torre/altare
e Tavola Rotonda d’ascoltare.
Silenzio e attesa: e finalmente
Tiresia ricomincia cantando a parlare:
“Suono è l’anima del vento –
vento che insemina il tempo.
Chi passa è il vento: vento che s’inoltra
nel mondo che si sta per formare.
Vento che nel grande regno Aldilà
va i morti ad ascoltare.”
“Tiresia!” – grido – “O massimo poeta:
i morti possono tornare?”
“No,” – dice – “ma
con noi possono parlare.”
Trema la notte. Si fa
silenzio. Attenti stiamo. E
piano, dolcemente, l’indovino
svanisce – un poco vento fa tremare
le ali al poeta Baudelaire,
negli occhi, come perle, gli vedo
due lacrime spuntare – e tutti ora noi
sommessamente in coro iniziar cantare.
“L’albero dei poeti: forse majakovski, forse chlebnikov, forse villon, forse eros alesi, forse Tiresia, forse Zareimakù…”, ph. Massimo Agus
5. Incontro col Re Sole e il suo comédien Molière
Ora la notte è colma – come stelle
noi inumiditi di rugiada ora
è il momento di andare – Blake
mi fa cenno e tutti salutare.
O cara (rara) notte di rivelazioni
verso occidente volando
in alto gli occhi di Baudelaire uccello
sorridenti accompagnare vediamo.
Lui non fermarsi, sempre girare
come un pensiero che non vuole arrivare
sicuro sapendo che il viaggiare
consiste nel segreto di andare.
Ed ecco che sopra Versailles, reggia e giardino,
siamo – e nello scuro luccicante su un prato
due che stanno parlando sorgono: e sono, ora distinguiamo,
il Re Sole e il suo comédien Molière.
O forza dei pensieri! O meraviglia di visioni
che i poeti a volte vedono! Ora ascoltiamo
cosa dicono e fanno Molière poeta in nero
e il suo Re travestito in recitare.
Dice il Re Sole: “O mio Scacciamosche,
consigliere, maestro, buffone: cos’è la vita?”
“Malinconia,” – dice Molière – “tradimento, avarizia e vuoto.
Teatro di passioni sempre in moto.”
“E la morte?” “ Demenza, impotenza,
gioco, prigione, teatro, menzogna, ambizione,
catastrofe, veleno.” “ Ma tu, Molière, allora
perché stai giocar con me Re d’ogni Re?”
“Perché anch’io, mio Re, sono Re
della scena, sulla scena Re. E tu come me sei Re
d’ombre, fantasmi, maschere fatali,
attore come me. Grande nella parte di Gran Re.”
“Mio commediante, mio maestro triste,
senza di te non sarei Re Sole. Tu sveli
il gioco e un poco m’aiuti la malinconia
a vincere fingendomi nella notte Sole
per curare del mondo la mania.
Bella è la notte: Adesso io Re Sole
chiamo in scena l’Aurora
che venga in suo splendore illuminare
la reggia, i sudditi, gli attori,
i boschi, le bestie e tutto ciò che è. Piangi?”
“Piango, mio Re, per tuo amore. Fratello Re,
tu Sole e io tua Ombra, gli ori
del palazzo per il Sole che sta levando
sono in splendore: vieni, scorreggiamo insieme
per curare il male del tempo che viene
e la malinconia di tutte le scene.”
Ecco il Sole! Blake e io incantati dal dialogo
vediamo il Re Sole e il suo commediante
prima pisciare insieme in un laghetto e poi
dandosi pacche allontanarsi ballando.
In alto sopra i boschi e l’acqua dei canali
l’uccello Baudelaire e i poeti volare
vediamo nel fulgore dell’Aurora
che d’oro fa ogni tetto e volto e cosa.
Giuliano Scabia a Oliveto Valsamoggia nel 2014, ph. Maurizio Conca
6. Viaggio in metro e visita al cimitero del Père Lachaise con cena al Grand Colbert
Tornammo a Parigi rapidamente
onde non perdere il corri corri e i ruscelli
lungo i marciapiedi impetuosi e fare colazione
al Trocadéro, da cui scendemmo
nel metro scopo gironzolare. “Il sotto terra,” –
dice Blake, – “è pur sempre un al di là, ma
oramai senza mistero. Ove non più
il Re del Mondo in suo trono sta.”
“Re del Mondo,” – dico – “adesso chi sarà?”
“Il bisibisibisiness,” – dice il mio poeta –
“che adesso senza posa bisibisinessa.
Ma dove tale bisi bisi porterà?”
Corriamo di ponte in ponte, di gare in gare,
il vento ci attraversa, da sopra cala,
è maggio, la primavera incalza,
il fiori sono sui rami, volano le vetture
sui binari che son vene e arterie,
gente che viene e va, formiche umanità
scandite d’orari, sempre fuggenti,
in cerca del cercare e del tornare.
Usciamo al Sacro Cuore dove un tempo
Marte e Mercurio furono onorati: e ai martiri
pensiamo – al sangue da cui trae mito e vita
la molto amata da noi due città.
E intanto piano piano passa il giorno e viene
la sera, visitiamo i grattacieli alla Défense
e il Palazzo Reale, aspettiamo
la notte e in segreto ci rechiamo
ad ascoltare certi morti al Père Lachaise.
Stelle, tremolio, vento leggero, in alto vola
lento girando l’uccello Baudelaire
e noi con le mani salutiamo.
“O dormenti nella città crescente, buona sera.”
“Buona sera” sentiamo sussurrare.
Il tempo è calmo, forse fermo, camminiamo.
Continuo si sente buona sera sussurrare.
Andiamo e andiamo fino a quando un muro
si erge. È scritto: Comunardi. È
in ricordo di quei sognatori fucilati
libertari dittatori dei proletariati.
“Rosso berretto e fucile alla mano,”
– dice Blake. – “E fu tutto invano?”
“Ah,” – dico. – “Che sogno il comunismo! E
che catastrofe lungo il novecento.”
“Forse i sogni,” – dice Blake – “stanno bene
nei sogni. Non paura. Di sogno
vive ogni sogno. Adesso cerchiamo
un posto dove ben cenare.”
E così uscimmo un poco volando
un poco camminando, guidandoci lento
l’uccello Baudelaire fino al ristorante
Le Grand Colbert – dove troviamo
che cenano il Re col suo Molière
e altri di Francia e d’Italia personaggi
fra cui Cavour Mazzini Garibaldi
e presidenti fra cui Mittérand
che mi strizza l’occhio e dice sottovoce:
“Il bene è nel ben governare
e dai poeti ascoltare in dono
della lingua il misterioso suono.”
E poi ostriche! E poi champagne!
Arrivano Danton, Robespierre, Saint-Just
e poi Voltaire e Rousseau, e che liti
si sentono – e forse ghigliottine tintinnare.
È notte notte – al Re Sole tutti
fanno corona – ma a un tavolo separati
vediamo i comunardi e Robespierre
che li ispira a far terrore – e anche Jeanne d’Arc
in colloquio col magro luminoso
bellissimo inquisitore Artaud.
“O Blake,” – dico – “non ti sembra un po’
tutto rimescolato?” “È vero,” – dice – “ma
qui nel Grand Colbert stasera
è tutto solo un sogno – presto
tutto sarà come avviene in realtà:
che niente e tutto mai perduto va.”