Speciale
Ricette immateriali / Grano nostrum per l’Appennino irpino
Dove si trova il grano più buono d’Italia?
Ci arriveremo. Prima però occorre premettere che, quando si parla di grano, si parla non solo delle civiltà che hanno dato alla luce la nostra, ma della madre di tutte le filiere, di tutte le divisioni del lavoro, delle stratificazioni e delle gerarchie sociali del mondo occidentale. È dunque un discorso, quello del grano, reticolare e nodale, che può portare alla gloriosa Mesopotamia, all’Antico Egitto, ma anche agli attualissimi belt di grano tenero americani, a quelli di grano duro del Canada, o alle vaste distese dell’Ucraina e della Russia.
Tuttavia, almeno per ciò che riguarda la trasformazione del grano, per le semole e le farine da cui la produzione di pasta e pizza, per incontrare l’eccellenza bisogna ritornare in Italia, ai grandi e piccoli mulini italiani, e magari proprio nel tanto bistrattato sud Italia, dove il clima secco e la tradizione rendono le regioni meridionali vere e proprie fucine dell’alimentazione di qualità.
Insomma, è seguendo questo filo dell’eccellenza che sono tornato nella Valle dell’Ufita, a 80 km da Napoli e altrettanti da Foggia, in una piccola valle che si trova nell’Appennino irpino e rappresenta una soglia oltre la quale i vigneti e gli uliveti, il verde dei boschi e dell’agricoltura campana, lasciano il campo a un mare giallo che dall’Appennino dauno scende verso la Capitanata e il Gargano, fino alla capitale del pane, Altamura, e più giù verso Corato e Matera.
Se l’Appennino è sempre un’altra storia rispetto alla pianura, questa parte di Appennino campano è qualcosa di davvero altro e diverso dalla conurbazione della Terra dei fuochi o dall’hinterland napoletano, e ciò rende vano argomentare usando indistintamente la parola “Sud”. Eppure proprio dalla Valle dell’Ufita nasce Grano nostrum, l’idea degli imprenditori Michele e Emanuela Meninno, e della loro Greenfarm, di coinvolgere produttori di grano delle regioni meridionali in una filiera di altissima qualità per costruire un marchio e un prodotto di eccellenza tutto campano, così da creare un ponte tra monti e pianure.
L’idea nasce da una sfida lanciata al Lingotto di Torino: “sareste in grado, voi, di fare una cosa del genere?”. Michele e sua sorella Emanuela non solo accettano la sfida dello scettico interlocutore, ma con caparbietà riescono a convincere uno dei più grandi mulini d’Italia, il napoletano Mulino Caputo, a entrare nel progetto.
È a questo punto che ritorna la domanda posta in principio: dove si trova il grano più buono d’Italia?
La risposta di Michele e Emanuela passa sul mio stupore: è a Castelvolturno, provincia di Caserta, nel cuore della Terra dei fuochi. Stiamo parlando dello stesso luogo eletto a simbolo dello strapotere dei casalesi e del degrado casertano, la terra del Villaggio Coppola, così ben descritta nel Gomorra di Saviano.
Eppure, sebbene Grano nostrum coinvolga produttori della Puglia, del Molise, del Lazio, della Campania, all’interno della sua produzione i valori proteici più alti, il prodotto qualitativamente migliore, arriva da Castelvolturno. Le eventuali diffidenze, i timori sulla salubrità del territorio, vengono fugati grazie a un sofisticato monitoraggio satellitare che consente al progetto Grano nostrum di seguire e garantire tutte le fasi produttive; il monitoraggio consente inoltre di curare i campi in maniera selettiva attraverso una tracciabilità istantanea, riducendo al minimo necessario l’uso di concimi e fitofarmaci. Il resto lo fanno la terra e il clima del luogo che, in questa storia, si riprende la sua antica vocazione agricola di qualità.
Ma non è tutto. Al progetto si unisce poi la partecipazione della Nuova Cucina Organizzata, le associazioni Terra Felix e Albanova, che gestiscono terreni confiscati alle mafie.
Ecco come il grano di qualità oggi unisce l’Appennino irpino e la Terra dei fuochi al resto del Meridione, e anche se si tratta solo di una piccola storia, di un granello in uno spietato oceano globale, quella di Grano nostrum è l’ennesima dimostrazione che le idee e la competenza costituiscono già altri sud possibili, esistenti e reali.
Certo, la sfida è solo all’inizio, all’orizzonte l’obiettivo di rendere sostenibile tutta la filiera produttiva, e di rendere la qualità non solo ecologica, ma economicamente sempre più alla portata di tutti.
Beninteso, molti passi avanti sono stati fatti e nessuno ha intenzione di fermarsi.