Speciale
Un'educazione diversa / Il "pioniere" Gianni Rodari
Non è uno dei libri più famosi di Gianni Rodari e anzi potremmo dire che non è neppure davvero un libro di Rodari, se considerassimo che la fisionomia dell’autore si definisce solo con i racconti, le novelle, le filastrocche, la produzione letteraria che l’ha reso famoso da quando nel 1960 con Einaudi pubblicò Filastrocche in cielo e in terra e poi nel 1962 Favole al telefono. Il manuale del pioniere, primo titolo della sua bibliografia datato 1951, pubblicato dalle Edizioni di cultura sociale, appartiene all’epoca in cui l’autore della Grammatica della fantasia era un giornalista del Partito comunista italiano, un militante politico che faceva della scrittura un’arma di lotta per un’Italia più laica, più democratica, con meno diseguaglianze, in un contesto sociale in cui si ritrovava schierato per la pace contro le guerre di aggressione, contro le minacce di un apocalittico conflitto nucleare.
Come nota Vanessa Roghi nel suo bel volume Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari (Laterza, 2020) non è però «un’opera imbarazzante e inquietante, che fuoriesce del tutto dall’orizzonte del Rodari consueto e ci mostra in atto soltanto e soprattutto l’ideologo», come osservava il pedagogista Franco Cambi, e neppure è il segno di un netto distacco tra una prima fase di attività, in cui l’autore è un “don Chisciotte” politicamente schierato, e una successiva dove diventa uno scrittore per tutti, secondo una periodizzazione di Marcello Argilli.
Il Manuale è un’opera schierata in un’Italia che dobbiamo ricordare era decisamente, polarizzata dalle divisioni ideologiche della Guerra fredda. Imita, nell’impostazione, il manuale del giovane esploratore di Baden Powell, fondatore dello scoutismo, togliendogli quel tanto di militaresco e colonialista che si ritrova nel movimento fondato dall’inglese. Insiste su concetti quali la pace, la democrazia, la necessità di eguaglianza sociale in un mondo ingiusto, nel quale spesso i più sfruttati sono bambini e ragazzi; chiede all’educatore di non imporre, ma di prestare attenzione alla cultura e agli interessi del ragazzo e di stimolarne in vari modi l’impegno e la creatività.
È un sussidio di quel movimento dei “pionieri” che nasce prima in modo spontaneo in alcune zone d’Italia a più forte presenza del Pci, sull’imitazione di analoghe forme di associazione sovietica, e che si coagula all’alba nel 1949 in movimento nazionale, dotandosi anche di un giornalino, “Il pioniere”, sul modello e in concorrenza col cattolico “Il vittorioso”. Rodari lo dirigerà dal 1950 al 1953, curando anche la corrispondenza con i giovani lettori, fino al 1952 con la rubrica La posta di Candido, prendendo a prestito il nome del protagonista del famoso romanzo filosofico di Voltaire che sognava di vivere nel migliore dei mondi possibili, poi dal 1953 con Ufficio postale. Sul giornale rifiuterà ogni edulcorazione e immagine consolatoria dell’infanzia e per l’infanzia, ospitando oltre a filastrocche e racconti divertenti anche scritti, magari in versi, su drammatici fatti di cronaca, come scontri tra operai e polizia in occasione di scioperi, con feriti, arresti e morti; andando contro il parere di illustri dirigenti del Partito, pubblicherà pure fumetti e cineromanzi, sempre convinto che la fantasia sia un’arma di allargamento della coscienza, e che per entrare nel cuore dei più giovani sia necessario usare le armi del gioco, dell’interesse, del piacere, dell’attivazione di facoltà e sentimenti.
Certo, le pagine del Manuale del pioniere, come guida e breviario dell’organizzazione, rivelano principalmente un intento pedagogico. Nonostante i richiami all’iniziativa dei ragazzi (più dei maschi che delle femmine, consegnate a lavori “femminili” come il cucito e il ricamo) e all’immaginazione, sono le questioni organizzative a farsi più urgenti, la necessità di costruire una rete e quella di collocare il giovane pioniere – spesso sospettato dalla società benpensante e clericale e addirittura calunniato sulla stampa conservatrice – in modo armonioso nella società, attraverso l’impegno a scuola, nel quartiere, nel cortile, in genere nei rapporti con gli altri. Nelle pagine del Manuale figure di rilievo nel giornalino, come Cipollino, i suoi amici e i suoi avversari, proiezione favolisticamente vegetale delle differenze e dei contrasti tra le classi sociali, sono appena citati. Eppure, come nota Vanessa Roghi, ci sono in questa opera in nuce principi di educazione e organizzazione democratica che una volta che reagiranno con la Fantastica (invocata nella prefazione della Grammatica della fantasia), con suggestioni del surrealismo e con l’incontro e l’ascolto di bambini e ragazzi, creeranno il Rodari che conosciamo, quello appunto delle Favole al telefono e della Grammatica della fantasia.
Ma finora mi sono concentrato ad accennare a questioni di definizione e di contesto. Il Manuale per me ha un ben altro fascino.
La copia che ho tra le mani ha una copertina in cartoncino da poco, viola stinto o lilla forte, lievemente sbrecciata in alto a sinistra e in parte staccata dalla costa. Sopra è segnato a penna, con grafia incerta e con una correzione, il numero 135, in bella vista sotto il titolo, prima dell’indicazione “Edizioni di cultura sociale”. Forse quel numero indica la posizione in una biblioteca di una sezione di partito o nella casa di un militante, immagino, nel paesino della Bassa ferrarese, dalle parti di Codigoro, dove l’ho trovato, nella teca con libri politici, romanzi popolari, volumi istruttivi, enciclopedie, a casa di un ex sindaco comunista della zona, che era stato sindacalista dei braccianti e che proprio intorno all’anno di pubblicazione – 1951 – era stato uno dei protagonisti delle lotte bracciantili. Erano iniziate subito dopo la guerra, quando, quelle zone erano state allagate dal taglio degli argini delle valli attuato dai tedeschi per proteggere la ritirata. Erano continuate nei primi anni cinquanta, con forme di contrapposizione dura di braccianti e boari contro le “forze dell’ordine”, l’ordine dei latifondi naturalmente. Il padrone del libro era stato arrestato dopo i grandi scioperi, con picchettaggi contro i crumiri e blocco dei raccolti e degli allevamenti, del 1954, con i boari che non nutrivano più gli animali e si disperavano a sentirne i muggiti straziati nelle stalle (vedi il libro Lotte di classe nelle campagne ferraresi nel secondo dopoguerra, Clueb, Bologna, 1981, atti di un convegno tenutosi a Ferrara l’1 e il 2 dicembre 1979).
Il padrone del Manuale, dicevo, era stato arrestato e condannato alla detenzione, e in famiglia si favoleggiava che cedeva alle guardie lasagne e altri beni di conforto che gli portavano i parenti per poter leggere “l’Unità”. Leggere – allargare la coscienza. Non era un intellettuale, una persona colta: aveva fatto l’avviamento professionale ed era spondino, ossia uno di quei salariati che controllano il sistema dei canali. Il suo paesino, sotto il livello del mare, era circondato da latifondi, che furono spezzati solo in parte e malamente dalla riforma agraria detta “Fanfani”, che assegnò appezzamenti non tra i migliori, facendo costruire case isolate, lontane tra di loro e dal paese, frantumando socialità (divide et impera). Erano le terre degli agrari che avevano voluto il fascismo, e che si ricicleranno nella messa a profitto di vastissimi appezzamenti con monocolture.
In quei primi anni cinquanta quelle zone avevano ancora strade sterrate; spesso mancavano l’acqua potabile corrente e le fognature (una testimonianza del libro citato parla di una autobotte che arrivava da paesi vicini su un carro trascinato da un cavallo, e l’acqua si doveva pagare). La leggenda familiare dice che l’acqua corrente l’aveva poi portata lui, da sindaco, insieme alle case popolari e ad altri segni di quel progresso che noi oggi consideriamo contraddittori, strade asfaltate, canali cementati, spazi per i parcheggi eccetera.
Quella biblioteca, di partito o casalinga, il “bisogno” di leggere “l’Unità” testimoniano, insieme al desiderio di giustizia sociale e di progresso, la volontà di fare un salto di affrancamento da una situazione di subordinazione secolare, attraverso le realizzazioni sociali e civili, ma anche con la cultura e un’organizzazione diversa della vita, che mettesse l’individuo e la società e non il profitto al centro. Quel libro e gli altri in case che una volta erano di poveri braccianti analfabeti o con poca scuola racconta lo stesso impegnato compitare le lettere dell’alfabeto per imparare a leggere e a scrivere, e il susseguente conoscere e ragionare, di cui parla Giuseppe Di Vittorio. Racconta un’Italia che voleva staccarsi da servitù ancestrali anche con l’istruzione, la conoscenza. Ecco, il Manuale lo colloco in questo quadro, come riflessione su un’educazione diversa dei futuri cittadini.
Nel Manuale del pioniere Rodari avanza idee che prefigurano un nuovo tipo di pedagogia, abbastanza in sintonia con punte avanzate del pensiero didattico come quello del francese Celestin Freinet e il coevo (1951) Movimento di cooperazione educativa.
Innanzitutto invita gli educatori a non imporre, ordinare, subordinare, ma a intessere un dialogo continuo con i ragazzi, con l’idea di conquistarne l’attenzione stimolandone gli interessi e l’attivismo con il gioco, il lavoro collettivo, l’esplorazione dell’ambiente, l’arte. Consiglia la pedagogia dell’esperienza: per parlare di un tavolo bisogna ricostruire tutta la catena che l’ha prodotto, dall’albero e dal bosco al lavoro della segheria, da conoscere con interviste e inchieste sul campo; consiglia escursioni nelle città e nei paesi alla ricerca della storia dei luoghi e delle storie dei loro abitanti. Il pioniere deve essere solidale con i bisognosi, cosciente che il gioco e la scuola sono un privilegio non condiviso da tutti i ragazzi, perché molti di loro ancora lavorano da garzoni ma anche nelle campagne, nelle fabbriche, nelle miniere. Sottolinea l’importanza perciò di impegnarsi, di distinguersi nello studio, non per emergere individualmente, ma per acquisire strumenti di conoscenza da condividere.
In un’Italia dove ancora l’analfabetismo e l’evasione dalla scuola sono alti e la lettura è appannaggio di ristrette élite, parla dell’importanza della biblioteca scolastica, sottolinea il valore di un insegnamento basato sulla ricerca attiva, quello dell’invenzione teatrale, che coinvolge i ragazzi totalmente. Più volte rimarca come l’individuo debba agire in funzione del gruppo, senza protagonismi, e come sia necessario smontare i comportamenti non congrui non con punizioni o reprimende ma con l’esempio e la convinzione. Consiglia di affidare ai ragazzi la redazione di giornali murali e di giornalini di reparto, invita a praticare il giardinaggio e le discipline artistiche, che possono rendere più colorati e attraenti gli ambienti e le feste. Dà suggerimenti perfino sul modo di stare nei cortili, che allora erano i veri centri della vita e della socializzazione di bambini e ragazzi (luoghi, i cortili, morti dopo gli anni settanta, e oggi in parte, dove ancora esistono, tornati vivi grazie ai figli degli immigrati).
Quel Manuale incita anche a distinguersi negli studi, a gare di diffusione del giornalino, alla costruzione di oggettini da vendere per l’autofinanziamento, un’attività importante per la vita e l’autonomia dei reparti dei pionieri, anche con pagine figlie dei tempi sulle bambine condannate al cucito e al ricamo o comunque a ruoli subalterni. Raccoglie e lancia suggestioni per una pedagogia laica e democratica e fa intravedere, pur nella sua netta impostazione ideologica, la necessità che la lotta politica trasformi tutta la società, anche eticamente, con un respiro globale che non miri solo a migliorare le condizioni di subalternità economica.
Sulle sue pagine e su quelle del giornalino si rivelava una figura di scrittore che mirava a ricomporre le fratture sociali attraverso l’attenzione agli elementi insieme più fragili e più pieni di promesse del corpo sociale uscito dalla guerra e dalla Resistenza, che doveva farsi guidare dalla bussola dei principi della Costituzione democratica: i ragazzi, motori di quel “migliore dei mondi possibili” che Rodari credeva di poter realizzare. In quel momento con l’organizzazione, prima ancora che con la fantasia, che pure doveva diventare corrente elettrizzante. I due elementi apparivano in dialettica, in fertile vivacissima relazione.
Piccola bibliografia
Sull’impegno di Rodari col “Pioniere” e sul Manuale vedi il capitolo 4 di Lezioni di Fantastica di Vanessa Roghi, Tutto il mondo in filastrocca. Confronta anche il libro di Rossella Greco, “Educare senza annoiare, appassionare senza corrompere”. Gianni Rodari e la direzione del Pioniere (1950-1953), Il Ciliegio, 2014, e il recente testo fantastico di Alfredo Pasquali, Chi ha ucciso Cipollino, Crap, 2020, le sue trasmissioni sulla bolognese Radiocittà Fujiko, le attività del Crap, Comitato ricerche Associazione Pionieri, e il sito dell’Associazione Pionieri.