Addii / Raoul Casadei, il re del liscio
A me fa venire in mente le feste dell’Unità, con le coppie che si alzavano affaticate dagli anni e da corpi non proprio scattanti da sedie e tavolini, e poi si lanciavano come angeli sulla pista a volteggiare. Mi ricorda quelle bioniche ragazzine con gonnelline cortissime, che evocano le ballerine tuttegambe del varietà d’antan, e giovanotti vitaminici che accompagnano con ghirigori fisici pazzeschi le esibizioni delle orchestre spettacolo (vedi gli ExtraLiscio a Sanremo, il punk-liscio). Mi fanno venire in mente i frustatori di Dozza, ritmo di sciucaren, frustatori appunto, sulle frasi di valzer-mazurka-polka, e una vecchia “accademia di danza” (Lanzarini, forse?) a Bologna in via Ugo Bassi vicino al mercato, dove negli anni ’70 si vedevano fanciulle con la treccia lunga e le gonne sotto il ginocchio (pure i calzettini, credo), accompagnate da mamme o zie, invitate da anziani signori azzimati che le facevano, imperturbabili, quasi levitare, oppure zie e fanciulle, zie e mamme, fanciulle e fanciulle che ballavano da sole. Liscio come l’olio, si chiamava una rubrica famosa con le glorie locali Fulvio Bertolini e Renato Tabarroni su una televisione emiliano-romagnola, liscio come quello scivolare sui parquet, sulle piste di mattoni o cemento, al mare e altrove, sollevarsi sulle difficoltà della vita, mettendosi in tiro. “Quando ci penso vorrei tornare alla mia bella al casolare”, variavano i punk-sovietici Cccp: “Emilia mia, Emilia in fiore, tu sei la stella, tu sei l’amore…”
Non sono mai stato alla Ca’ del liscio, ma là non vedevi solo un genere di ballo, di intrattenimento, di divertimento, in fondo residuale, recuperato variamente, citato, tirato per la giacca e per i capelli dalla postmodernità a volte, come fanno oggi gli ExtraLiscio. Vedevi frotte di gente che accorreva per divertirsi, mangiare, passare qualche ora in allegria. Corteggiare, forse, secondo rituali antichi (contadini? di tribù?). Il “lissio” – valzer-mazurka-polka, lo scivolare sulla pista tenendo la partner e il partner stretti ma a distanza (con l’occhio del paese addosso, o addirittura quello, ideale, del parroco) – era sangue che pulsava nelle vene, gorgogliante come un bicchiere di vino frizzante, seguendo la musica avvolgente dell’Orchestra Spettacolo Casadei.
Ora il patron non c’è più, Raoul Casadei, portato via a 83 anni dal Covid-19 all’ospedale di Cesena. Tutta l’Italia esprime cordoglio. L’Italia della gente semplice, quella che andava e va a sentire Rossella e i Casanova, Zena e i Liscio & Soda, Morena, Villiam e i Draghi di Romagna e tante altre orchestre dai nomi caserecci o spudorati, e l’Italia dei furbetti, pronti a cavalcare l’“allegria”, la “sana semplicità” popolare, come quel tal politico che fa cadere governi e non si rassegna a giocare, in nessun campo, una parte secondaria: pronto a postare un video al fianco di Casadei.
Qual era la cifra di Raoul Casadei, qual era il segreto di un personaggio (una persona, un musicista, un grande organizzatore) che gli intellettuali, finché non lo conoscevano, guardavano con distanza (a me è capitato questo), ritenendo la sua musica una banalizzazione del folclore? Trascrivo qualche commento all’intervista che tra poco leggerete: “Mi è venuto in mente il suo viso, asciutto ma con uno sguardo che faceva subito sentire in festa… mi è spiaciuto veramente apprendere che adesso non c’è più… quando dicevi ballo liscio dicevi Raoul Casadei”. “Abbiamo perso un personaggio vero e ruspante”. “Raoul, viso simpatico, come quello di tutti i romagnoli che vivono la vita con leggerezza. Io ho conosciuto molti romagnoli, tutti dicevano lo stesso motto, col loro accento stupendo: ‘Ricordate che ogni lasciata è persa’”. “Per me, nata e cresciuta in Romagna, la sua musica è stata un sottofondo affettivo”. “Notevole! Ascoltare oggi Ciao mare fa pensare a quando non avevamo pensieri”. Sono commenti di gente di età e provenienze differenti.
In questo, credo, unificasse Raoul Casadei. Aveva ereditato l’arte dallo zio Secondo, l’autore di Romagna mia, uno che aveva iniziato a far ballare prima della guerra, con un sound più contadino, e poi aveva incarnato, con la sua orchestra, in seguito consegnata a Raoul, la voglia di lasciarsi alle spalle le preoccupazioni e la fatica, il travaglio del lavoro duro dei campi, la guerra, le distruzioni e le ricostruzioni; rappresentava la gioia di vivere dell’Italia di quando eravamo “poveri e belli” e quella, già incrinata, con qualche nota falsa o eccessiva degli anni del boom, delle prime vacanze e del primo tempo libero di massa e di quelli immediatamente successivi.
Non avevo mai incontrato Casadei fino alla vigilia del 15 agosto 2017. Si sa che in quel mese le pagine culturali dei giornali sono particolarmente sguarnite di eventi di spessore. E che i capiservizio pensano che la gente d’estate voglia leggere solo cose ‘leggere’. Casadei stava per festeggiare gli ottant’anni e Santarcangelo di Romagna gli avrebbe tributato una festa. Lo intervistai. Mi feci scappare che, sì, vivevo a Bologna, ma ero pugliese di origine. Lui si raccontò con generosità, tirando fuori continuamente la Puglia nel discorso, esplicitamente o sottotraccia. L’intervista, pubblicata allora sul Corriere di Bologna, la trascrivo qui (meglio di come abbia fatto lui stesso, non saprei raccontarlo). Secondo me dalle risposte traspare la sua più grande qualità: la comunicativa, totale, la capacità di ascoltare chi gli stava di fronte e di dargli qualcosa da portarsi a casa. Una musica leggera e coinvolgente, un pensiero, una piccola condivisione, un ritratto allo specchio.
Ecco l’articolo, per intero.
Festeggia 80 anni di musica, di ballo che ha fatto volteggiare, innamorare, cantare una buona parte del Paese. Mister Romagna mia, al secolo Raoul Casadei, stasera compirà i suoi 80 anni in piazza Ganganelli a Santarcangelo di Romagna, festeggiato alle 21 dalla sua orchestra, da anni diretta dal figlio Mirko, e dalle pizziche del Canzoniere Grecanico Salentino. Perché, come vedremo, i suoi legami con la Puglia sono antichi e forti.
“Sono andato a caccia nel tarantino per vent’anni. Da lì mi arrivano arance meravigliose e prendo l’olio per i miei familiari e amici. Ho fatto il maestro elementare per 17 anni: ho iniziato sul Gargano e continuato vicino a Lucera, tra la Campania e la Puglia. Là ho conosciuto mia moglie Pina. Veniva da Napoli. Siamo sposati da più di 50 anni. Che volete: Nord chiama Sud, e l’accoppiata Napoli-Romagna fa sangue caldo”.
Come si sente a spegnere 80 candeline?
Una decina di giorni fa ho avuto un arresto cardiaco. Ho capito che la vita è una cosa s t r a m e r a v i g l i o s a. Non mi sono spaventato: due giorni dopo ero alla Notte del liscio di Bellaria con Morgan e Bennato. Per tenermi in forma faccio trekking, bicicletta, nuoto….
Vive a Cesenatico, in una casa circondata da quelle dei suoi figli: si ritiene un patriarca?
Si chiama “Il recinto”. Ma io non comando. Viviamo in democrazia e imbandiamo grandi tavolate. A me piace coltivare l’orto, pomodori, zucchini, melanzane e poi, sempre in omaggio alla Puglia, cime di rapa, catalogne, cicoria. Sono abile a preparare verdure per tutti, vino, legna per i caminetti.
Lei faceva il maestro. Come mai si è dato alla musica?
Mio zio, Secondo Casadei, grande passionale musicista, l’autore di Romagna mia, nel 1928 ha fondato la prima orchestra ruspante. È stato lui a regalarmi una chitarra. Io scrivevo canzoni per lui, qualche volta suonavo in orchestra quando ancora insegnavo: facevo il doppio lavoro. Poi, quando nel 1971 è morto, ho fatto un passo avanti e sono diventato direttore dell’Orchestra Casadei.
Che novità ha portato?
Ho fatto un discorso più nazionale. Alla musica da ballo con clarino e sax ho aggiunto le parole. Ho scritto, per esempio, Ciao mare, che fu bocciata dalla Rai e bollata come “musica ruspante”. Ma Vittorio Salvetti l’accettò al Festivalbar e mi sono trovato tra Lucio Battisti, Mia Martini, i Solisti Veneti, Gilbert Bécaud e altri grandi artisti.
E il liscio?
Eravamo a suonare a Garlasco, in Lombardia. Era pieno di gente, di coppiette che ballavano e che si baciavano… Io ho gridato: “Vai col liscio!”, e con quella frase mi hanno dedicato una copertina di Tv, sorrisi e canzoni.
Lei ha rinnovato, negli anni, la musica romagnola, incrociandola con altri generi…
Negli anni ’50 l’Orchestra Casadei suonava la musica tipica romagnola. Nei ’60 è diventato folklore romagnolo, nei ’70 liscio, negli ’80 l’ho chiamata “musica solare”. Ho inventato il termine “orchestra spettacolo”, accostando due sostantivi: in molti mi hanno copiato, per esempio con l’espressione “calcio spettacolo”.
Ha inventato la musica latino romagnola…
Ho inserito percussioni caraibiche. Non mi sono mai fermato al passato: punto sul futuro. Anche con qualche conflitto con i miei fan più vecchi, come quando ho tirato fuori la musica solare. Quelli che mi seguivano alle feste dell’Unità dicevano: questa, che roba è?
Lei ha girato tutta l’Italia, sempre in un pullman con bar e altri confort. Come mai non è andato all’estero?
Ho paura dell’aereo. Ora all’estero ci va molto mio figlio Mirko. Quando eravamo in tour avevo sempre due autisti, ma per la paura rimanevo sveglio. Abbiamo fatto 300-350 serate l’anno, per 20 anni. Che roba! Ma tutte le volte dovevo tornare a casa.
Avrà avuto molti fan…
Moltissimi, Sono la mia famiglia allargata. Ho conosciuto tutti i cantanti e sono stato ripreso da tutte le televisioni. Ho fatto film, fotoromanzi, trasmissioni tv. Ho creato molte famiglie quando facevo ballare la gente, anche chi non sapeva muovere un passo. Una volta a Foggia, ho gridato: “Prendete la prima donna che trovate!”. Poi, anni dopo, qualcuno mi ha rivelato: “Mia mamma ha conosciuto mio padre grazie a te, a Foggia”.
Sarà contento delle feste che le stanno tributando per gli 80 anni, a Igea, a Longiano, a Santarcangelo.
Solo due non hanno fatto nulla: i sindaci di Gatteo, dove sono nato, e quello di Cesenatico, dove vivo e dove ho creato le mie canzoni. Mi dispiace.
Qual è il segreto di Raoul Casadei?
La mia musica risveglia l’amore dei giovani per l’identità della Romagna. In manifestazioni che vanno oggi, tipo la Notte rosa, c’è di tutto, ma non la nostra identità.
Cos’è per lei l’identità?
Le nostre tradizioni, il vino, il modo di incontrarci, l’ospitalità, tutto quello che è nostro. Vorrei che in Romagna ci fosse una Notte del liscio. Su questo ci hanno battuto i pugliesi con la Notte della taranta. Ci hanno creduto, hanno preso direttori artistici di livello, come il batterista dei Police. Qui c’è meno fiducia.
Lei che ha fatto tanto, ha creato perfino la Ca’ del liscio e una Nave solare, ha ancora qualche sogno nel cassetto?
Quello di portare nelle scuole la musica popolare e il dialetto della Romagna, per farli conoscere ai ragazzi, perché non siano influenzati solo dalle musiche nuove.
Qual è, tra le canzoni che ha scritto, quella che preferisce?
Romagna capitale. Fa: “Romagna capitale, / Romagna ballerina, / Romagna che si sveglia col sorriso ogni mattina, / Romagna apasiuneda / ti specchi nel tuo mar / Romagna capitale / Romagna superstar”. Ogni volta che la suono, mi emoziono.
Infine, cos’è per lei la musica?
La musica è sapore della vita, come il mare, il mangiare, il bere, il sognare, il cacciare, il pescare, la bicicletta, l’amore... Io sto con la radio accesa giorno e notte. La musica è un nutrimento dello spirito.
PS: mentre stavo scrivendo questo ricordo, è arrivato un altro commento. Lo trascrivo (parzialmente): “…Un modo per capire che stiamo adesso in una terra di nessuno, una lastra di ghiaccio molto sottile, dove i pipistrelli non si attaccano ai capelli ma alle proteine delle cellule e tutto sembra sfidare il teorema di quelle tre parole che ognuno declina come può o vuole dalle Alpi alla Sicilia. A volte sono il sole o il mare o la musica, ma l’ultima è sempre amore.