Net-neutrality addio

27 Maggio 2014

Net-neutrality della Rete addio. È la prima valutazione del voto in base al quale il «Federal Communication Committee» statunitense ha approvato il piano presentato ieri dal suo presidente, il democratico Tom Wheeler, nella sessione di lavoro per discutere le nuovo norme per regolamentare l'accesso al Web. Il nuovo regolamento, che è il primo di una serie di interventi della Fcc per rendere operativo il progetto chiamato spavaldamente «Open Internet», acquisisce molte delle richieste da parte dei grandi fornitori di accesso al web di una differenziazione della velocità di navigazione nella Rete in base il costo di connessione. Una logica in base alla quale «più paghi più vai veloce» che, secondo imprese come Comcast, Verizon, Time Warner Cable e At&t, oltre a rendere Internet più appetibile per società che basano il loro business sulla Rete, può favorire strategie imprenditoriali che tendono all'innovazione di prodotto e di processo.

 

Una posizione, questa degli Internet provider, fortemente contestata da altre major della Rete e dai social network (Google, Facebook, Netflix, Apple, la stessa Microsoft), che invece hanno nei singoli il loro «mercato». Nei giorni scorsi, inoltre, non sono mancate prese di posizione sui media mainstream, che polemicamente hanno attinto al lessico politico di Occupy Wall Street, per puntare l'indice contro Fcc, ostaggio dell'un per cento di ricchi e imprese che vogliono «corsie privilegiate in Rete», lasciando così ai margini il restante novantanove per cento che vuole invece mantenere la neutralità della Rete. Finora il regolamento stabiliva che chi accedeva alla rete aveva diritto agli stessi servizi, senza nessuna distinzione. In altri termini, la rete doveva restare «neutrale» rispetto i contenuti che veicolava. In base a questo principio chi usa Internet per comunicare, scaricare video, file musicali o partecipare a un social network ha gli stessi diritti di chi, invece, la usa per fare affari.

Arriva la mail-bombing


Le indiscrezioni sulla proposta avevano visto scendere in campo centinaia di migliaia di internauti, decine di associazioni dei diritti civili, che hanno accusato l'organismo federale statunitense di ledere il diritto di accesso alla Rete perché il nuovo regolamento legittima la sua sostituzione con un principio legato al censo: «più paghi più vai veloce», appunto. Nelle settimane scorse, quando le polemiche sulle indiscrezioni hanno raggiunto l'acme, il presidente della Fcc aveva invitato a inviare all'ente federale suggerimenti e proposte per migliorare il regolamento in vigore, che stabilisce appunto il principio della «neutralità della rete». Nella posta elettronica della Fcc sono arrivate, in pochi giorni, oltre centomila e-mail, la stragrande maggioranza critiche verso il possibile nuovo regolamento.


Un'ondata di critiche che non ha lasciato indifferente Tom Wheeler, da sempre considerato molto vicino al presidente Barack Obama. In primo luogo, perché anche molti deputati e senatori democratici hanno espresso eguali critiche al Congresso e al Senato negli Stati Uniti, chiedendo il diretto intervento del presidente, che ai tempi della sua prima elezione si era espresso a favore della «neutralità della Rete». In secondo luogo, perché molte delle imprese a favore della «net-neutrality» hanno generosamente finanziato la seconda elezione di Obama. Ed è per questo che Wheeler ha dichiarato che il voto di ieri – i tre esponenti democratici hanno votato a favore, mentre i due rappresentati repubblicani hanno votato contro – esprime più che una decisione a favore del nuovo regolamento, un indirizzo politico alla necessità di «innovare» le norme statunitensi sulla Rete. Il presidente della Fcc ha infine indicato le prossime settimane come il periodo dedicato a migliorare la bozza di regolamento, introducendo norme che tutelino il principio dell'eguale diritto di accesso alla Rete.


Il voto apre però un altro fronte problematico per gli Stati Uniti. L'Europa ha deliberato norme a favore della net-neutrality. Cina, India, Brasile – le potenze economiche emergenti – si sono sempre espresse a favore della neutralità della Rete, ventilando la possibilità di sviluppare una rete alternativa a quella «egemonizzata» dagli Stati Uniti. Possibilità velleitaria, certo, visto l'alto grado di interdipendenza statale attorno al funzionamento della Rete, ma che esprime rudemente una posizione che considera la decisione degli Stati Uniti vincolante solo per gli statunitensi e non per gli altri internauti, ormai il settanta per cento degli utenti mondiali del world wide web.

Una leadership contestata


Gli organismi di governance di Internet (dedicati alla assegnazione dei domini, alla definizione degli standard di comunicazione, le regole sulla proprietà intellettuale e sulla tutela della privacy) sono da anni contraddistinti da un vivace dibattito che sta mettendo in discussione la leadership americana sul cyberspazio. Lo stesso si può dire dell'Onu, dove ormai è quotidiano il richiamo al diritto universale di accesso alla Rete. Questo significa che Washington e le imprese Usa hanno sì un forte potere di indirizzo per quanto riguarda le regole internazionali sulla Rete, ma che gli altri paesi e organismi sovranazionali non sono più disposti ad accettare supinamente l'egemonia Usa.


L'addio alla net-neutrality sarà quindi molto più lungo e arduo di quanto si possa dedurre dal voto espresso ieri dalla Fcc. Gli ostacoli stanno nella contrarietà al nuovo regolamento da parte di molte imprese americane e nell'indisponibilità ad abbandonare la neutralità della Rete di molti altri paesi. E nell'opposizione di molti internauti, che già mal tollerano la differenziazione delle tariffe di accesso alla Rete imposte dagli Internet provider e che chiedono sempre più a Nord come a Sud, ad Est come ad Ovest ai governi dei rispettivi paesi di istituire forme di accesso gratuite alla Rete.

 

Apparso precedentemente sul il manifesto

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