Speciale
Sciascia Trenta / La nuova casa della Nuci
Sono trascorsi 30 anni da quel giorno di novembre in cui Leonardo Sciascia ci ha lasciati, trent'anni in cui il paese, che lui ha così bene descritto, è profondamente cambiato, eppure nel profondo è sempre lo stesso: conformismo, mafie, divisione tra Nord e Sud, arroganza del potere, l'eterno fascismo italiano. Possibile? Per ricordare Sciascia abbiamo pensato di farlo raccontare da uno dei suoi amici, il fotografo Ferdinando Scianna, con le sue immagini e le sue parole, e di rivisitare i suoi libri con l'aiuto dei collaboratori di doppiozero, libri che continuano a essere letti, che tuttavia ancora molti non conoscono, libri che raccontano il nostro paese e la sua storia. Una scoperta per chi non li ha ancora letti e una riscoperta e un suggerimento a rileggerli per chi lo ha già fatto. La letteratura come fonte di conoscenza del mondo intorno a noi e di noi stessi. De te fabula narratur.
A un certo punto la vecchia mitica casa della Nuci cominciò a cadere a pezzi, non fu più possibile passarci le estati. Solo dopo alcuni anni, anche a causa della insistenza nostalgica delle figlie per le vacanze alla Nuci, decise di fare costruire una casa nuova a pochi metri dalla vecchia.
Il modo in cui lo fece fu davvero singolare. Il genero del suo vicino e amico Carmelino Rizzo era ingegnere. Gli commissionò la casa.
A Racalmuto con il suo vicino e amico Carmelino Rizzo.
Come sarà questa casa? Gli chiedevamo. Non lo so, rispondeva: una casa.
Credo che di fatto non se ne sia mai occupato, e nemmeno Maria, fino a quando, nel 1973, non fu finita.
Una volta mi aveva raccontato con divertimento che Pirandello, dovendo metter su casa a Roma, aveva telefonato a un negozio di mobili e aveva ordinato un letto, un tavolo, delle sedie, un armadio. Il negoziante gli chiese se non li voleva prima vedere. Pare che Pirandello abbia risposto: le sedie sono sedie, un tavolo è un tavolo, un letto un letto, un armadio un armadio.
Il tramonto sulla campagna dalla terrazza della casa nuova alla Nuci.
In Il volto sulla maschera, a descrivere il senso dei quarantacinque anni intercorsi tra la prima visione del film di Le Herbier Mattia Pascal e la seconda Leonardo scrive: “È passata quasi una vita: un orizzonte di libri letti, di cose viste, di fatti vissuti, di amore, di dolore, si apre intorno a me sempre più vasto ma ormai in quella luce, perfetta nella sua sospensione e precarietà, che la campagna assume nei tramonti dell’estate: quando per un momento, quasi che l’incombere della notte desse al giorno un estremo vigore e splendore, tutto appare come dentro una propria sorgente di luce, come in se stesso specchiato; e struggentemente”.
Non è possibile, per chi insieme a lui ne ha vissuti, non riconoscere – e struggentemente – certi tramonti della Noce. Entelechia di paesaggio. Autoritratto di scrittore in forma di paesaggio.
Una sera, mi apprestavo a partire, dovevo prendere a Palermo un aereo per rientrare a Milano.
Leonardo andò al grande gelsomino e raccolse un bel pugno di fiori, poi li avvolse delicatamente in un paio di fazzoletti di carta e me li diede.
Portali a Paola, con l’aereo faranno a tempo a fargliene godere il profumo.
Mia moglie non ha mai dimenticato il profumo di quei gelsomini.