Fondazione Prada (Venezia), Palazzo delle esposizioni (Roma) / L’arte autodistruttiva di Gustav Metzger
3 luglio 1961, Londra, il molo di South Bank è il palco prescelto. Tre tele celano le rive del Tamigi. Rosso, bianco e nero: gli insoliti colori dell'orizzonte. Il lento scorrere del fiume accompagna l’assieparsi dei passanti sotto un cielo inquieto. La strada è gremita, ma la città sembra diversa. Un uomo fa il suo ingresso in scena, portando con sé un apparecchio respiratorio, ormai obsoleto. Indossa guanti molto spessi e ha il volto coperto da un elmetto militare, da un paio di occhiali protettivi e da una maschera antigas. Con incedere risoluto, si avvicina alla struttura metallica di supporto e applica dell’acido cloridrico sulle tele, utilizzando uno spruzzatore industriale. Interviene da più direzioni, impetuosamente, come se non ci fosse più tempo per aspettare.
Niente sembra accadere, ma dopo qualche istante, l’acido inizia ad agire. Solchi e fenditure danno forma all’assenza, all’evanescenza di composizioni inafferrabili, mentre il chiacchiericcio del pubblico cede il passo alla silenziosa litania del nylon. Le ferite si allargano sempre di più, ma non possono e non vogliono rimarginarsi. Dopo circa venti minuti, l’opera si logora, cade al suolo: è la creazione del nulla, la solenne celebrazione di un presente ancora in transito, in costante movimento. Come ha scritto M. Copeland, “This Is Reality” (in Gustav Metzger, New Museum, New York, 2011). Affinché tutto ciò sia solo un pretesto.
Le riprese e gli scatti di questa performance autodistruttiva realizzata da Gustav Metzger (Norimberga 1926 – Londra 2017) sono esposti presso la Fondazione Prada di Venezia, nella settecentesca cornice di Ca’ Corner della Regina (22/05-21/11/2021). Definita dall'artista svizzero Peter Fischli – qui nell'inconsueta veste di curatore – come un “caleidoscopio di gesti ripudiati”, Stop Painting presenta alcuni dei più significativi “mutamenti di paradigma nell'arte attraverso il rifiuto e la reinvenzione della pittura”.
La South Bank Demonstration (1961) si tiene durante la giornata di apertura del sesto congresso dell’Unione internazionale degli architetti. Metzger viene invitato a partecipare alla manifestazione, incentrata sul tema dell’innovazione tecnica e sull’utilizzo di nuovi materiali, ma la dimostrazione proposta alla commissione viene rifiutata. Tuttavia, l’artista intende realizzare il progetto all’esterno della sede congressuale e, con l’aiuto di una dozzina di studenti, porta a termine la performance. Harold Liversidge documenta il tutto in Auto-destrucitve Art: the Activities of Gustav Metzger (1965). La dimostrazione londinese, inoltre, coincide con la presentazione del terzo manifesto dell’arte autodistruttiva, distribuito gratuitamente agli spettatori presenti.
Già in passato, infatti, Metzger aveva ipotizzato la realizzazione di un'opera metallica autodistruttiva, mediante l’attivazione di un processo chimico o meccanico che ne avrebbe portato la struttura al collasso. La distruzione – indotta o autonoma – avrebbe così impedito la commercializzazione della scultura, facendone passare del tutto in secondo piano la presenza oggettuale. Il progetto rimane irrealizzato, ma l’artista bavarese decide di approfondire il concetto stesso di autodistruzione. Il primo manifesto, rifacendosi stilisticamente ai manifesti delle Avanguardie Storiche, riafferma l’imprescindibile natura partecipativa e interdisciplinare dell’arte autodistruttiva. Allo stesso tempo, Auto-Destruive Art (1959) si sofferma sull’automazione del processo distruttivo e sulla caducità dell'opera. In questo modo, l’arbitrarietà dell’artista verrebbe meno, mentre la durata circoscritta nel tempo enfatizzerebbe la componente esperienziale dei lavori proposti.
Auto-Destructive Art Manifesto adotta un approccio più declamatorio e poetico rispetto al testo precedente. L’autodistruzione, infatti, viene definita come un mezzo per affrontare la nostra ossessione per la morte, come la coesistenza di sovraproduzione e inedia. Come una possibilità per dare ordine al caos. Il secondo manifesto (1960) si conclude enumerando le tecniche utilizzabili e i materiali con cui poter realizzare un'opera autodistruttiva. Questa volta, infatti, dopo diversi tentativi non andati a buon fine, Metzger è deciso a mettere in pratica le proprie idee.
La Temple Gallery di Londra ospita la dimostrazione pubblica della prima pittura ad acido – Acid Painting – tenutasi in occasione della “Lecture/Demonstration” del 22 giugno 1960. Metzger applica il nylon dietro a una lastra vitrea e agisce alle spalle della tela, mentre il pubblico assiste dal lato opposto, occupando il posto canonicamente riservato proprio all'artista. La commistione di collante e acido cloridrico provoca una complessa quanto effimera reazione tonale. Dopo pochi minuti dall'applicazione dell'acido, la tela si deteriora, distruggendosi. In questo modo, Metzger si limita ad azionare un processo, il cui esito sfugge al proprio controllo. L'accento cade sul significato – sul messaggio dell'opera – non sul significante – e quindi sulla distruttività fine a se stessa.
“[...] Il mio scopo non è distruggere [...] La mia visione è sempre stata la cura della società tramite l'arte [...]”
Metzger è un attivista, uno studioso, un sopravvissuto. Per Luther Blisset è un taglialegna, fugace protagonista della controriforma in Q. È la coscienza del mondo dell’arte, come scrive J.A. Walker, un esteta del fallimento, condizione necessaria per minare ogni certezza (T. Macrì, Fallimento, 2017, Postmedia Books,). La sua eterogenea produzione, infatti, è disseminata di progetti irrealizzati, di lavori incompleti e di idee ancora da concretizzare. Gli stessi Acid Paintings non raggiungono l'effettiva automazione dell'opera, in quanto ancora necessitano di un intervento esterno. Il terzo manifesto – Auto-Destructive Art, Machine Art, Auto-Creative Art – persegue tale obiettivo, introducendo il concetto di autocreazione. L'intento è di utilizzare le più recenti innovazioni tecnologiche per realizzare dei lavori che siano in grado di “autoregolamentarsi” (Gustav Metzger, Writings 1953-2016).
Quest'altro aspetto della ricerca di Metzger, invece, è al centro di Comunicazione molecolare, una delle sette sezioni di Ti con zero, ospitata dal Palazzo delle esposizioni di Roma (12/10/2021-27/02/2022). La mostra fa parte a sua volta del progetto Tre Stazioni per Arte-Scienza e si propone di indagare la complessa relazione tra l'arte, la scienza e alcuni dei temi più discussi della contemporaneità quali, a esempio, l'automatizzazione, la profilazione, il riscaldamento globale o la riconversione ecologica.
L'opera esposta in questa occasione è Liquid Crystal Environment (1966-2017). L'installazione consiste nella proiezione di immagini iridescenti, realizzate utilizzando uno strato di cristalli liquidi termosensibili, posizionati tra due vetrini microscopici. Sottoposti all'incidenza di una luce bianca polarizzata a temperatura variabile, questi cristalli subiscono delle mutazioni chimiche, corrispondenti a imprevedibili variazioni cromatiche. Un'unità di controllo regola la luminosità della lampada, la rotazione del filtro e la temperatura. Si tratta di uno spazio contemplativo, di un momento di abbandono e riflessione, di un inedito ecosistema generativo. L'interazione dei visitatori diviene necessaria per il raggiungimento di inedite tonalità emotive. La casualità si afferma come un'opportunità di cambiamento (Gustav Metzger, Writings 1953-2016): l'arte autocreativa significa crescita, mutevolezza, movimento. Il fine ultimo è il consolidamento della relazione simbiotica tra pubblico e opera. Liquid Crystal Environment è un'occasione di confronto, rappresenta un mezzo per affrontare il potenziale autodistruttivo insito nella stessa natura umana, un mezzo per proteggerci da noi stessi.