L’ambiguità dell’orrore / Le strane storie di Robert Aickman
Quando vivevo in Inghilterra, una delle tappe obbligate in ogni gita era la visita alle bancarelle e alle librerie dell’usato: lungo il Tamigi, a Cambridge, in un’infinità di cittadine dell’East Anglia, ho rimpolpato i miei scaffali di quella che, dal punto di vista libresco, è la mia vera passione – gli horror. Più precisamente, in senso editoriale, amo gli horror da quattro soldi, dalle copertine chiassose e dai titoli improbabili, che finisco per comprare praticamente al metro – quelli, per capirci, immortalati in Paperbacks from Hell, il cui equivalente italiano sono i libri di Sergio Bissoli e Luigi Cozzi su I racconti di Dracula e KKK – I classici dell’orrore (quando mi sono trasferito a Toronto, invece, sono diventato cliente affezionato di una libreria dell’usato di College Street che questi romanzi li stipava direttamente su uno scaffale a forma di bara). In queste incursioni in Albione, dunque, oltre alla massa di libri più o meno sconosciuti, ho guadagnato l’immancabile James Herbert, un po’ di Clive Barker, un bel po’ del grande Ramsey Campbell, e più raramente la preda più ambita, e cioè Robert Aickman, uno degli scrittori più criptici, eleganti e sofisticati di tutta la letteratura dell’orrore.
Questo primo paragrafo è, forse, fuorviante: Robert Aickman ha tutto sommato poco da spartire coi tascabili dall’inferno. Non tanto per una questione di qualità (e del resto, come dimostrano i succitati Barker e Campbell, veri giganti della letteratura contemporanea, le copertine splatter non pregiudicano la qualità dell’opera), quanto perché le curiose, ambigue storie di Aickman sono programmaticamente prive di sensazionalismo e scene ad effetto, capovolgendo la grammatica del racconto dell’orrore tradizionale. Se Aickman, oggi, è ricordato principalmente come autore di “storie di fantasmi”, è perché lui stesso ha curato l’antologia Fontana Books of Horror Stories per ben otto volumi consecutivi, e perché i suoi racconti hanno circolato prevalentemente in aggregatori simili.
In effetti, prima di pochi anni fa, quando Faber & Faber ha cominciato a ristamparne i lavori, già dire che Aickman fosse ricordato era forse un’esagerazione. Nato nel 1914 a Londra e morto nel 1981, Aickman ha esordito tardi, nel 1954, in un’antologia a metà con Elizabeth Jane Howard, e non ha mai vissuto della sua scrittura (di fatto non pubblicherà un volume interamente a suo nome fino al 1964): i suoi racconti erano noti alla pletora degli amanti dell’orrore, ma non al grande pubblico. Personaggio schivo ed elitario, pronipote di quel Richard Marsh il cui Lo scarabeo eguagliò in termini di successo Dracula, uscito lo stesso anno, Aickman è stato occupato per tutta la vita, coerentemente, come conservazionista, avendo co-fondato e diretto un istituto per la preservazione dei canali inglesi: una professione molto britannica, così come molto britannica era la sua partecipazione alle attività delle associazioni di indagine parapsicologica Society for Psychical Research e The Ghost Club.
Non sorprende che se persino nel suo paese d’origine la sua ricezione è stata così frammentaria per così tanto tempo, in Italia il suo nome sia perlopiù ignoto. Certo, già dalla fine degli Settanta Aickman è stato tradotto in innumerevoli antologie, ma è solo grazie alla costanza e alla dedizione di un editore indipendente, Hypnos di Andrea Vaccaro, che stanno vedendo la luce tutte le opere dello scrittore (Hypnos, sia detto per inciso, è probabilmente la realtà editoriale più importante e interessante nel panorama dell’horror/weird italiano). Dal 2012, con Sentieri oscuri, Vaccaro è impegnato a stampare l’intero corpus narrativo di Aickman: seguono I poteri delle tenebre e Sub Rosa nel 2019 e, recentissimamente, Brividi crudeli (2021), che include anche la novella inedita Gli stranieri.
I racconti di Aickman hanno senz’altro l’eleganza delle grandi storie di fantasmi (penso a M.R. James) con cui sono frettolosamente rubricati, ma raramente rientrano in quella categoria. Certo, i fantasmi a volte compaiono, così come i vampiri (in quel gioiello che è Diario di una ragazza inglese, per esempio), ma le opere di Aickman si potrebbero descrivere al meglio forse come una letteratura dello strano e dell’inquietante. Quando arriviamo alla fine di un racconto di Aickman, non possiamo non fermarci a chiederci che cosa abbiamo appena letto: cosa è successo in quelle pagine? Che cosa stava avvenendo davvero dietro le parole che leggevamo?
È difficile continuare senza fare almeno un esempio concreto – magari prendendo in esame quello che non è per forza il più bello dei racconti di Aickman (titolo che si contende facilmente con un’altra decina di opere), ma è sicuramente il più destabilizzante: Le spade. In questo racconto a parlarci è un uomo che riporta la sua prima esperienza sessuale. Comincia raccontando il suo mestiere di rappresentante al soldo dello zio, i lunghi viaggi in insulsi paesini della provincia insieme a un ancora più insulso collega, le orrende pensioni dove sono costretti a fermarsi. Una di queste cittadine è talmente povera di attrattive che il narratore si risolve ad andare a una squallida fiera, con poche giostre fatiscenti. Qui viene attirato in un tendone, e siede con altri pochi uomini: a quel punto l’uomo sul palco chiama a uno a uno i membri del pubblico, invitandoli a trafiggere con una spada la bellissima ragazza che è con lui. Dopo essersi fatta infilare una spada dentro (una vera spada, non un oggetto di scena), la ragazza sorride e si lascia baciare. Il narratore guarda sfilare uomini di ogni risma, ciascuno egualmente sgradevole, ma scappa prima che venga il suo turno. Il giorno dopo, girovagando per la cittadina, incontra di nuovo l’uomo e la ragazza a un caffè: l’uomo lo invita a sedere, si dispiace che la sera prima il narratore abbia saltato il suo turno, e gli offre di noleggiare la ragazza per la notte, garantendo che farà tutto quello che vuole lui.
Il narratore accetta, ma quando la ragazza si presenta da lui la sera il loro rapporto è freddo e sgradevole, come accade spesso quando si ha la sfortuna di realizzare i propri desideri. Commenta il narratore: “Quella notte capii che per la maggior parte del tempo noi non sappiamo ciò che vogliamo, e se lo sappiamo capita che lo perdiamo di vista. E capii – cosa ancora più importante – che ciò che vogliamo veramente non s’adatta facilmente allo schema delle nostre vite: non subito e non spesso, perlomeno”. A questo punto, tra i due, succede qualcosa – nulla di apertamente soprannaturale, ma sicuramente di inspiegabile: la ragazza perde un pezzo. Il loro rapporto si interrompe, l’uomo passa a prendere quanto gli è dovuto, in un’altra stanza della pensione qualcuno grida, e questo è quanto.
Se mi sono dilungato sulla trama di Le spade è proprio perché i racconti di Aickman non ruotano intorno a un colpo di scena né sono preparazioni a un momento culminante: certo, la trama c’è sempre, le sorprese non mancano, ma sin dalla prima riga ogni racconto è permeato da un senso di inesorabilità che colpisce molto più di qualsiasi colpo di teatro. È senz’altro questo a rendere Aickman un autore horror che è sempre incredibilmente proficuo rileggere, quando invece il più delle volte rileggere le storie di paura, anche quelle belle, è come andare di giorno nelle case infestate dei luna park e vedere i fili scoperti e i manichini afflosciati. È l’inesorabilità del sogno, in cui i rapporti di causa e conseguenza sono insieme imperscrutabili e chiarissimi. Come scrive Peter Straub nella sua introduzione a The Wine Dark Sea per Faber & Faber:
I personaggi di Aickman si trovano intrappolati in una serie di eventi che non sono connessi dalla logica, o che sono connessi da una logica non lineare. Molto spesso né i personaggi né il lettore sono certi di quello che è successo esattamente, eppure le storie hanno la stessa soddisfacente coesione di una poesia – di una poesia di John Ashbery. Ogni dettaglio è richiamato e commentato, niente è casuale o sprecato. Il lettore ha seguito i personaggi in un mondo che è privo di rimorsi, vasto, e inesorabile nel suo procedere.
In Le spade, per esempio, dettagli sulla violenza del sesso e sulla sua mercificazione sono disseminati ovunque – dalle amanti dello zio del narratore che finiscono a dirigere le pensioni dove lui lo spedisce, al vecchio negoziante che presta al narratore i soldi per pagare la ragazza a patto che lui torni a raccontargli tutto, fino alla spaventosa, violentissima eppure pacata scena delle spade. In generale, le angosce del sesso e la difficoltà dei rapporti tra uomo e donna stanno al centro di buona parte delle prove narrative di Aickman, come I treni, che potrebbe passare come riscrittura kafkiana di Psycho.
A questo senso di inesorabilità contribuiscono due cose, principalmente: la totale mancanza di emozione che permea i suoi testi e i suoi personaggi, e il senso di Aickman per le descrizioni di spazi. In Aickman non troveremo mai il protagonista lovecraftiano che, sconvolto da quello che ha scoperto o visto, impazzisce o si toglie la vita: al contrario, è la mancanza di vere reazioni, o la loro continua scomparsa dalla scena (i traumi sono raccontati spesso con elissi o rapidi cenni sintetici), che rende per il lettore ineluttabili le logiche inquietanti del mondo in cui si muovono i personaggi. In Il richiamo delle campane, per esempio, splendido esempio di folk horror in minore, in cui una coppia in luna di miele nell’ennesimo squallido albergo di provincia assiste a una tradizione strana e soprannaturale, è la moglie a subire un’esperienza assurda e atroce ai limiti dell’incredibile. Il narratore si limita a commentare, concludendo il racconto:
Sembrò estraniarsi da Gerald, sicché lui poté esaminarla da vicino per un istante. Era la prima volta che lo faceva dalla notte passata. Poi tornò di nuovo a essere se stessa. Ma in quei pochi secondi Gerald aveva percepito qualcosa che li divideva, di cui nessuno dei due avrebbe mai parlato, ma che non avrebbero mai dimenticato.
Tutto qui: lo shock del momento viene subito incorporato nel fluire della vita (o della non-vita) in cui sono intrappolati i personaggi, poco più di una ruga sulla superficie del mondo. Oppure, ancora: in La stanza interna, una ragazza si perde nel bosco e si ritrova nella medesima, inquietante casa di bambole che aveva posseduto da bambina, ora a grandezza naturale, dove è accolta da donne che ricordano le bambole che la abitavano. Allora queste si offrono di farle vedere la stanza interna che, nella casa di bambole, sfuggiva a ogni suo tentativo di mapparla; quindi le mostrano una sua foto di lei bambina. La protagonista rifiuta e torna sui suoi passi. Del senso di questa visione angosciante non ci viene detto nulla, ma la protagonista si comporta come se l’avesse aspettata per tutta la vita.
Gli eventi soprannaturali e inspiegabili che permeano i racconti di Aickman si pongono, grazie all’assenza di enfasi, in perfetta continuità con la nostra vita di tutti i giorni: il soprannaturale diventa semplicemente un’altra forma del reale. In racconti come Il panorama, Legati i capelli o Il mare colore del vino, per esempio, il regno del soprannaturale (delle fate o dei morti?) è letteralmente in contiguità geografica con quello dei viventi; in La sala d’attesa o L’ospizio, luoghi ordinari di passaggio, come una stazione dei treni o un’autostrada, si trasformano in spazi fuori dal tempo, governati da logiche indecifrabili; in Che gelida manina, basta una connessione telefonica con l’altrove per precipitare un luogo in un’altra dimensione.
Questo è, di nuovo, merito dell’impareggiabile e implacabile capacità descrittiva di Aickman, che è in grado di rendere con enorme precisione e in pochi tratti lo squallore di un luogo, la sua mancanza di vita, e le miserie di una quotidianità ordinata e decorosa. Pare, a volte, di leggere una versione soprannaturale di Philip Larkin, altro grande cantore dello squallore inglese. Perfino uno dei racconti più classici di Aickman, La polvere sospesa, è reso nuovo dalla cornice che gli dà l’autore: una casa nobiliare gestita però da un fondo pubblico per la preservazione dei beni artistici. Che la casa sia infestata o meno, che il narratore vi veda o no uno spettro, è in fondo indifferente: è la descrizione della magione, della vita ripetitiva che vi conducono le due occupanti, e della polvere che, a dispetto degli sforzi dei custodi, copre ogni cosa, a trasportarci già nella zona grigia tra la vita e la morte; che poi lo spettro arrivi è del tutto accessorio.
È possibile che Aickman non sia uno scrittore per tutti: qualcuno lo troverà noioso, e qualcun altro verboso; qualcuno, ancora, penserà che le sue storie non vanno a parare da nessuna parte. Nessuna di queste cose è vera, naturalmente: è vero semmai che Aickman è uno scrittore che richiede pazienza, e che impone i suoi ritmi e le sue logiche al lettore. Per chi sceglie di lasciarsi condurre per questi sentieri oscuri, però, Aickman diventerà un compagno inseparabile.