Visite guidate (6) / Paris Bordone, Sacra Famiglia con sant'Ambrogio e un offerente
Sono tornato a Brera dopo l’anno e mezzo di Covid per rivedere Il trafugamento del corpo di San Marco del Tintoretto su cui avevo intenzione di scrivere qualcosa per questa rubrica estiva, ma nella sala adiacente sono stato colpito già entrando, al primo uno sguardo panoramico, da un altro quadro a cui non avevo prestato molta attenzione durante le numerose visite precedenti. Una spiegazione c’è: il quadro non è stato esposto per un po’ e solo di recente, nel 2019, è stato restaurato recuperando i suoi magnifici colori. E sono stati appunto quelli ad attirarmi ancor prima di aver decifrato il soggetto.
Si tratta di una Sacra Famiglia con sant'Ambrogio e un offerente, opera di Paris Bordon (o Bordone) del 1525 circa, dipinta quando l’autore aveva 25 anni e, lasciata la bottega di Tiziano in cui era stato fino ai diciott’anni, aveva già raggiunto una certa notorietà che sarebbe durata tutta la vita, assicurandogli molte commesse ufficiali e private a Venezia (in particolare il prestigioso Consegna dell’anello al doge per la Scuola Grande di San Marco, ora alle Gallerie dell’Accademia) e nell’entroterra e in Lombardia, e anche in Germania e alla corte francese a metà del secolo circa, prima di morire nel 1571. Un eccellente pittore, anche se non tra i grandissimi che in quel secolo Venezia ha prodotto in quantità stupefacente, ad alcuni dei quali peraltro Bordon si è ispirato cercando, spesso riuscendoci, di distinguersene, come qui con Giorgione per il paesaggio e Tiziano per il cromatismo, ma che hanno oscurato la sua fama presso i posteri.
Sedotto dai colori, come tanti altri animali nei cerimoniali del corteggiamento, mi sono avvicinato e subito sono stato colpito da un dettaglio che sempre, nelle immagini come nella realtà, mi attrae e stuzzica la mia curiosità, e cioè che si trattava anche di una scena di lettura, tema che ritorna in numerose altre opere incantevoli del pittore.
Si tratta però, dato il contesto, di una scena di lettura alquanto particolare. La Madonna infatti non si limita a tenere in mano un libro, senza peraltro degnarlo di uno sguardo come può anche capitare in scene di questo genere, intenta perlopiù al benessere e all’equilibrio del figlio, spesso vivace e a rischio di sfuggirle dalle braccia mentre si china a benedire qualcuno o a giocare, ma curiosamente sembra disinteressarsi di lui per volgersi in senso opposto come per continuare la lettura del libro che tiene aperto nella mano libera. Una divaricazione piuttosto rara, specialmente in modo così accentuato, che peraltro si ritrova anche in altre opere di Bordone, come un marchio di fabbrica, o di bottega se si preferisce, come lo è l’intera postura della Madonna che ritorna quasi identica in altre occasioni, come nella magnifica Madonna in trono dell’Accademia Tadini di Lovere; una disposizione quasi bizzarra, tanto che si direbbe pre-manieristica, pur ricordando anche certe torsioni di Lorenzo Lotto, che peraltro non è mai ricordato tra gli ispiratori di Bordon (e neanche tra i grandissimi veneziani, se è per questo…).
Mentre nelle Annunciazioni Maria viene interrotta nella lettura di un libro aperto sul leggio davanti a lei, o che tiene ancora in mano, dall’arrivo improvviso (dall’irruzione, dall’improvvisata) dell’angelo, qui è lei che si distoglie da ciò che fa il bambino, il frutto dell’annunciazione, per rivolgersi al libro e riprendere o continuare la lettura (e probabilmente la preghiera, che presumibilmente esso contiene o suggerisce; io vorrei tanto immaginarla, lei o la modella del pittore, mentre legge l’edizione del 1516 dell’Orlando furioso, ma per quanto non mi faccia scrupoli ad abusare della fantasia, fatico a giungere a tanto – anche se ormai l’ho già pensato e quindi il guaio è fatto). Il gesto però a me, non so perché, più che di preghiera o meditazione, sembra un gesto quasi di fastidio, o quantomeno, di indipendenza, e un po’ irriverente, pure. Come se leggere separasse anche dai legami di sangue, dalla divinità, da tutto, verso un altro mondo di possibilità, un altro modo di essere in cui sei da solo o da sola, come qui, e sei solo tu che conti, anche se questo non significa che il taglio è netto, che la separazione è decisiva e definitiva. E infatti tieni ancora saldamente in braccio il bambino, lo senti vicino, sai che non ti sfuggirà, e sei pronta a lasciare tutto se appena si delineasse un pericolo, o solo il suo sospetto… Intanto però il libro ti calamita, e tu vuoi leggere. E pensi magari, in questo caso, che se il gesto sembra quello dell’allontanamento, poi la lettura ti riporta alla presa, più salda di prima, sulla realtà e sugli affetti. Mentre leggi senti che tuo figlio è lì, vivo come non mai. E che non c’è contraddizione. Non temi per lui. E come potresti, nonostante gli oscuri presentimenti che forse la lettura ti suscita, le profezie che nel libro si trovano e che velano di malinconia il tuo sguardo? Tanto più che se tuo Figlio, e tuo Padre e il tuo Sposo, nello slancio rischia di sfuggirti, c’è san Giuseppe che con le braccia tese è pronto a evitarlo. Ma io non riesco a vedere altro che la tua postura, lo sguardo che cerca la pagina, il collo che si allunga scoprendone la pelle candida e luminosa, mentre la testa si gira e il viso si china. Poi guardo la mano che tiene il libro aperto come l’altra il bambino, il corpo che assume una forma morbida, sinuosa, il viso bellissimo, e tutto mi appare irresistibile, che fa innamorare.
La postura della Madonna disegna il lato di un triangolo che viene duplicato sulla sinistra da quello formato da sant’Ambrogio e dal donatore, che insieme formano un triangolo più grande il cui vertice invisibile è appena fuori dal quadro. A meno di non considerare come unico triangolo legittimo quello sulla sinistra il cui cateto destro parte dalla mitra di sant’Ambrogio e passa per il corpo del bambin Gesù escludendo la Madonna dal fulcro dell’opera, cosa che mi piacerebbe moltissimo, o ponendola ai margini, distratta, immersa nei propri pensieri. Si tratta comunque di una composizione geometricamente complessa, con qualcosa di poco usuale, eppure secondo me non forzato.
Il santo, in modo simile a quello di Maria, ha il capo piegato per guardare il donatore, la cui testa sbuca da sotto lo stupendo piviale di broccato a disegno dorato. E proprio il donatore, su cui alla fine si sofferma il mio sguardo, è l’ultimo motivo per cui ho sospeso il progetto di scrivere di Tintoretto per dedicarmi a questo quadro. Pur senza trascurare il suo sfarzoso abito scuro di velluto foderato di pelliccia, reso con grande maestria dal pittore al pari di tutti i tessuti presenti nel quadro, a partire dalla stupenda luminosissima tunica bianca del santo, e di tutti gli incarnati, a sorprendermi e magnetizzarmi è la sua somiglianza impressionante con mio nipote Alessandro, che sua volta assomiglia in modo impressionante a suo papà Mario, il minore dei miei fratelli, che a sua volta fino alla giovinezza assomigliava in modo impressionante a me. Il che significa che, in qualche modo, l’uomo che con il suo gesto protettivo Ambrogio presenta al Salvatore potrei benissimo essere io.
Solo che lui ha la testa, confidente, sotto il mantello del suo santo protettore, con la sua mano sulla spalla. Lo sguardo è devoto, la postura umile. Forse ha qualcosa a che fare con il gruppo di soldati alle sue spalle? È il signore di quel castello o il condottiero che l’ha conquistato nell’appena conclusa guerra della Serenissima o di Milano, come suggerirebbe il nome meneghino per antonomasia del santo? Non importa, ormai a interessarmi è solo il suo volto, e quel lembo di stoffa sulla sua fronte. Non cesso di guardarlo, come a cercare qualcosa di lui, e di me, che mi sfugge, e un po’ mi commuovo e un po’ lo invidio. Potessi anch’io avere, come lui, qualcuno che mi guarda e appoggia la sua mano sulla mia spalla con quella tenerezza, e stende il suo manto su di me! E invece me ne vado a capo scoperto sotto il sole infuocato e l’innumerevole pioggia, cercando di tenderlo ritto sulle spalle, lo sguardo fisso davanti a me, come chi è sicuro di sé e indifferente a tutto, per cercare di darmi pace e magari alla fine, a furia di sfoggiarla, un po’, ogni tanto, trovarne.
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