Speciale
I giovani e il raid
La storia dimostra che i giovani sono molto spesso protagonisti del raid. Le qualità di audacia, di prontezza fisica e di solidarietà di gruppo, la volontà di mettersi alla prova nel pericolo e di uscirne da trionfatori riconosciuti sono tratti che facilmente appartengono alla giovinezza. Giovani sono coloro che intraprendono le prime spedizioni del mito. Giasone, in cui le gesta d’abilità comportano anche l’allontanamento spaziale che, a sua volta coincidendo con la durata temporale, conduce alla maturità ed alla costruzione di una famiglia insieme a Medea, sottratta contemporaneamente al vello. In Paride l’impresa avventata, tipica del giovane, è direttamente implicata con il ratto amoroso. Per il primo raider la prova iniziatica si completa dunque per via, ma non casualmente, con l’elemento amoroso, nell’altro fanno tutt’uno fin dall’inizio. Giasone quasi subisce l’allontanamento per mezzo di un mandante adulto, accetta e vince la sfida della prova; Paride se la inventa da sé con l’ostinazione del desiderio ed anche contro la più prudente opinione dei maggiori, portando ad enormi e funeste conseguenze. Qui si affaccia allora il pericolo per la comunità percorsa dall’impulso giovanile. Ed ecco pratiche di contenimento rituale quali la kryptèia che sono sfogo e formalizzazione degli istinti da raider dei giovani. Preparazione alla serietà della guerra politica collettiva attraverso il suo contrario, il gioco delle oscure abilità individuali in gruppi ristretti. Concedere il raid per una volta sembra allora una vaccinazione per l’intemperanza e nel contempo un’educazione all’esercizio dell’esuberanza fisica e morale secondo precise regole da replicare eventualmente solo al bisogno.
Anche la prima fase della vita di Romolo e Remo si svolge nei luoghi della natura selvaggia e secondo le sue regole; svezzati da una lupa si muovono tra boschi e campagna, nel regno di Fauno, fieramente avverso all’ordine e alle gerarchie della società cittadina. Oltre che pastori, infatti, i due gemelli amano vagare sui monti per la caccia ed insieme a loro “si è aggregata una banda di giovani”, cosicché “se tutti insieme lottano e si azzuffano con gli altri pastori per i diritti di pascolo, all’evenienza tendono insidie e attaccano chi cerca di derubarli del bestiame” (A. Fraschetti). Secondo la leggenda il più dotato in questi raid era Remo, come si evince dal recupero del bestiame dopo una caccia ai ladri; sarà quindi proprio lui, il gemello simbolo della parte giovanile e selvatica, ad essere eliminato al momento della fondazione della città, dato che da subito trasgredisce la non valicabilità del primo perimetro stabilito.
Stando ad altri miti fondativi Roma viene edificata dai gemelli insieme ad altri giovani maschi, tra cui teste calde e servi, su suggerimento del saggio Numintore, re di Alba, che li allontana così in una città tutta per loro. Poi, consolidatasi grazie all’accoglienza di altra gente poco raccomandabile che sfrutta l’accoglienza riservata dal dio Asilo, un raid di sottrazione – il celebre ratto delle donne Sabine – ne permette la vita. La sopravvivenza delle origini silvestri della stirpe romana la si ritrova nel perpetuarsi della caccia, anche alle belve nell’arena, negli spettacoli dei giovani e nella cerimonia dei Lupercalia del 15 febbraio. In questa occasione i giovani della nobiltà si radunavano nel lupercal, una grotta fuori dalla città dove venivano sottoposti a un rito con sangue e latte, per poi correre sfrenati e nudi (cioè senza la toga virile che connota la cittadinanza) fuori dal tracciato urbano, tenendo in mano una pelle di capra, toccati, probabilmente per la loro promiscua ma fertile sessualità selvaggia, dalle donne maritate ed infertili.
Il nesso tra esordio iniziatico alla guerra e alla sessualità adulta, come ricordava già Platone allargando lo spettro della caccia a quella amorosa, continua in pieno Ottocento a caratterizzare le società tradizionali come quella dei nativi americani: “affiliarsi alle società militari e prendere parte agli attacchi contro i nemici era, per un giovane, il modo più sicuro per acquistare prestigio: secondo almeno una fonte Lakota, nessun ragazzo poteva dirsi uomo fatto fino a che non avesse partecipato a una sortita di guerra, né fino ad allora sarebbe stato considerato idoneo al matrimonio”(J. Wilson).
La facilità giovanile a sviare il proprio impeto in azioni sconvolgenti la società, che il raid rituale cerca invece di convogliare altrimenti, la si riscontra nella congiura di Catilina, così proverbiale nell’immaginario romano. Questo astuto sobillatore, secondo Sallustio, sa attizzare il desiderio con le giuste lusinghe, facendo leva ora sulla parola, ora sui mezzi più turpi: “Ma era specialmente la compagnia dei ragazzi che ricercava; i loro animi teneri e instabili a causa degli anni erano facile preda dei suoi doli. Poiché favoriva le loro passioni a seconda delle età, e se a uno procurava baldracche, a un altro comprava cani e cavalli”. Così nei suoi convincenti discorsi atti a scatenare il raid contro il Senato, Catilina dipinge una guerra generazionale (ed in subordine di censo) che contrappone i senes, di cui non si sottolineano certo saggezza e giudizio ma debolezza e avidità egoista, agli iuvenes tutti vivo ardore insoddisfatto: “Ma io chiamo a testimoni uomini e dei che la vittoria è a portata di mano: siamo giovani, forti, potenti; in loro, invece, tutto si è fatto decrepito con gli anni e le ricchezze”.
Se la congiura fallisce per la stabilità delle istituzioni repubblicane, la fedeltà dell’esercito e l’energia del console Cicerone – vero paradigma di assennata prudenza – tuttavia “gran parte dei giovani, e specialmente i nobili, favoriva i progetti di Catilina”. La minaccia delle passioni incontrollate rimane dunque incombente sugli ordinamenti della società e sulla sua pace interna. Transitando al Medioevo, ed in particolare a quella Firenze due-trecentesca, fucina d’ogni discordia, in cui i continui raid tra una fazione e l’altra destabilizzano la vita quotidiana e pur testimoniano del suo burrascoso rimescolamento economico e sociale, balzano ancora in primo piano i giovani quali protagonisti del disordine. I due grandi cronisti cittadini, Dino Compagni e Giovanni Villani, sono concordi nel far nascere la scintilla dell’infinito scontro tra Bianchi e Neri da una rissa serale tra brigate giovanili per questioni di femmine. Di seguito i più violenti colpi contro la parte avversa, che rinfocolano senza fine la spirale dei rancori tanto esecrata da Dante, sono portati spesso con impetuosa decisione e rapida risoluzione da membri giovani delle famiglie in campo.
Anche nel Quattro-Cinquecento sono frequenti le testimonianze, studiate dagli storici, della presenza in varie parti d’Europa (Venezia, sud-est della Francia) di brigate cittadine dedite la notte a divertimenti violenti e a infrazioni della legge intese come pratiche iniziatiche alla virilità. Frequenti per esempio lo stupro di gruppo o lo scontro con le forze dell’ordine, fino alle modernissime e sconvolgenti minacce o aggressioni sine nulla causa contro i passanti, da parte di bande cementate più che da solidarietà socio-professionali soprattutto dalla giovinezza, vista ancora una volta come pericolosa e verso cui si stringeranno i controlli e la repressione:
La violenza sessuale si afferma come una dimensione permanente della vita urbana. Bande di giovani commettono con regolarità questo tipo di aggressione (una o due volte al mese in media), senza che la curva di tali reati sembri risentire delle feste o delle stagioni. Un giovane cittadino su due vi prende parte. Lo stupro collettivo, espressione di un rifiuto di un ordine sociale e matrimoniale, si concepisce anche come rito di ammissione in queste bande giovanili […].
La violenza contro le forze di polizia ha lo stesso valore di prodezza virile. Quando, armi alla mano, il gruppo rifiuta di lasciarsi perquisire, sono le regole dell’onore che richiedono la lotta. Ma più spesso lo scontro è intenzionale, provocato da uno scambio preliminare di insulti o da forti schiamazzi (E. Crouzet-Pavan ).