Etruschi fashion style
L’essere rammollito, scaduto sul piano morale o dei costumi, o senza carattere, trova la sua etimologia nel greco τρυφή (trufê), che partecipa del campo semantico di thrupto, cioè, rompere in pezzi o figurativamente indebolire, specialmente la mente e il corpo con l’indulgenza e il lusso. Tryphé descrive il fenomeno collettivo del comportarsi con eccessiva raffinatezza e delicatezza, da cui deriva l’accezione del termine rammollito, dalle ricchezze e dallo stile di vita. Alla tryphé sono stati dedicati molti scritti nella letteratura greca del V secolo a.C: Erodoto, per esempio, scrive che Creso aveva consigliato a Ciro di sconfiggere i Lidi sul campo di battaglia diffondendo la moda “effeminata” di abiti lunghi e stivali. Se la moda gender fluid potesse risolvere le guerre sarebbe una bella conquista, soprattutto nella buia contemporaneità in cui uno sguardo al passato potrebbe aprirci gli occhi su tante cose, cominciando da un concetto controverso come la tryphé, che tanto racconta sull’influenza dell’abbondanza degli oggetti sul comportamento umano. Capi e accessori sono simboli di tryphé, figure di una società decadente, che piegano la morale alla caducità dei consumi di lusso. Pensiamo al reselling e alle liste d’attesa per Rolex e borse di Hermès, o ancora ai debiti privati che aumentano per poter ostentare oggetti di moda per affermare chissà quale status symbol. Insomma, la social-tryphé.
La civiltà etrusca, per esempio, veniva accusata di tryphé per l’eleganza degli schiavi, o l’utilizzo di sandali con lacci in oro. La “mollezza” dei loro costumi veniva attribuita alla fecondità della terra, dovuta alla presenza di fiumi sul territorio, che avevano abituato la popolazione alla facilità di ottenere sostentamento, affievolendo lo spirito combattivo e determinando la caduta sotto i romani. Il facile arricchimento e la corruzione dei costumi, come riportato da Diodoro Siculo e Strabone, ha decretato la fine dell’Etruria aprendo, al contempo, la mente romana al lusso.
Larissa Bonfante ha il merito di aver ricostruito consuetudini e pratiche della cultura Etrusca a partire da oggetti e raffigurazioni, senza alcuna descrizione prodotta dagli etruschi, bensì comparando, qualora possibile, con alcune analisi storiografiche greche e latine, troppo spesso di parte. Il volume Vestire all’Etrusca pubblicato nel 2023 da Johan&Levi editore, è la prima edizione italiana della ristampa della versione del 2003 del libro edito nel 1975 in USA, circa dieci anni dopo la tesi di dottorato discussa da Larissa Bonfante alla Columbia University con due relatori illustri, Margarete Bieber e Otto Brendel, da cui prende spunto per la struttura della bibliografia ragionata aggiunta alla riedizione pubblicata agli albori del nuovo Millennio. Il primo interesse di Bonfante è la moda etrusca, curiosamente tra le prime espressioni di parità di genere, almeno negli usi, tra cui elenca capi unisex, e la pratica del doppio cognome, matronimico e patronimico, attestata in alcune iscrizioni funerarie. I greci e i romani non perdevano occasione per mostrare disgusto verso tali usanze, tanto che, a detta loro, i capi gender fluid connotavano decadenza dei costumi, dunque tryphé, otium o luxuria. Teopompo, nel IV secolo a.C., associa la tryphé alla condizione femminile in Etruria, sintomo di decadenza perché le donne godevano di maggiore libertà e riconoscimento sociale rispetto alle omologhe greche. Secondo Teopompo le donne prendevano posto sui triclini di fianco agli uomini, non per forza coniugi, bevevano alcolici durante i banchetti, e – teoria smentita da Bonfante – si allenavano con gli uomini indossando il perizoma. Per gli Etruschi il perizoma era una protezione delle parti intime, si chiudeva con spille, bottoni, nodi o cinturoni, ed era arrivato dalla Grecia come indumento sportivo. Stando a Tucidide, il perizoma costituiva un punto di contatto tra “barbari” e greci, dove tra i primi sono inclusi anche gli etruschi, perché la loro lingua non greca era percepita con l’onomatopea “bar bar”. Lo stesso Tucidide fa riferimento alla tryphé ostentata attraverso capi e accessori per tracciare le differenze tra Atene e Sparta. Da quest'ultima sembra si sia diffusa la moda della nudità eroica, ufficialmente datata dopo la XV Olimpiade, nel 720-716 a.C., e attribuita da alcuni all'atleta Orsippo di Megara. Il perizoma veniva usato dagli atleti per avere libertà di movimento, che pare giungere al grado perfetto con la nudità. In Etruria, il lasciare scoperti gli arti viene associato alla dinamicità del corpo, notata da Bonfante come funzione della “minigonna” indossata dalle Vanth, divinità femminili con la responsabilità di assistere i malati e di accompagnarli nell’ultimo viaggio della loro vita, perciò spesso raffigurate sulle urne funerarie. Il gonnellino arriva sopra le ginocchia e viene abbinato a cinghie che si incrociano sui seni, fermate da una spilla, una sorta di body jewelry ellenistica e avveniristica.
Parimenti al suo oggetto di analisi, Bonfante è stata un’innovatrice nelle ricerche sulla civiltà etrusca, tra le più misteriose dell’antichità, soprattutto perché si è voluta soffermare sulle informazioni storiche veicolate dalla Moda di un popolo. Considerando che l’indumento è tra le parti più visibili, reiterate e ingenuamente esposte di una cultura, lo studio della Moda etrusca è indispensabile per avere un quadro di usi e – per l’appunto – costumi in voga dal VII secolo a.C. fino all'età romana. Capi e accessori sono elementi distintivi, tratti riconoscibili usati dagli artisti etruschi per evidenziare qualità e status delle persone ritratte. A partire dai reperti archeologici, Bonfante classifica il costume etrusco in: 1) abbigliamento quotidiano, copiato dal vero e familiare all'artista; 2) comparazione di caratteristiche "nazionali" e culturali; 3) rilevanza delle tendenze limitate a un arco temporale; 4) indumenti “qualitativi” atti a esprimere le differenze tra umanità e divinità, ricchezza e povertà, vita o morte.
La Moda Etrusca viene contaminata dalla Grecia e dal Medio Oriente, persino nel suo periodo di massima unicità, come dimostrano tessuti, perizomi, chitoni dedalici (vesti o casacche), mantelli, calzature, copricapi e acconciature. Pur se i calcei repandi a punta (calzature), così come il copricapo tutulus, sono ispirati dalla moda greca, Bonfante li inserisce nella lista degli elementi distintivi dello stile etrusco del VII e il VI secolo a.C. insieme alla treccia lunga per le donne, ai cinturoni a losanga, ai mantelli semicircolari, con l’aggiunta del “perizoma che indossa persino Ercole, con una pelle di leone drappeggiata per coprire pudicamente il pube”. Per Bonfante è estremamente rilevante indagare le trasformazioni epocali della moda che “per definizione muta nella forma così come nel significato”. Per esempio, le scarpe a punta erano sicuramente un accessorio elitario, tanto che diventano un tratto invariante della rappresentazione delle divinità femminili, insieme alle nappe.
I capitoli del libro seguono l’elenco dei generi vestimentari – tessuti, pantaloni, chitoni e tuniche, mantelli, scarpe, copricapi e acconciature – perché l’ordine cronologico non darebbe rilievo alle varianti rispetto alle tendenze registrate. Il periodo di riferimento inizia con la comparsa di persone con indumenti raffigurati nel dettaglio sino a giungere all’introduzione dello stile romano, indice della progressiva assimilazione dell’Etruria alla vicina Roma. La moda etrusca, inoltre, lascia il segno nel costume dell’Italia settentrionale, e i numerosi riferimenti nella letteratura latina confermano quanto a Roma si guardasse all’Etruria come una fonte di ispirazione, soprattutto di fronte alla pressante influenza della cultura ellenistica, che minacciava di schiacciare l’unicità di quella romana.
La ricostruzione dello stile etrusco avviene studiando raffigurazioni comparse su vasellame, pitture murarie e oggettistica funebre, realizzate rappresentando la quotidianità dell’epoca o in base a codici sociali. Quando possibile, l’analisi iconografica viene integrata dallo studio di reperti di sandali, cinturoni e altri accessori. I capi e gli accessori diventano significativi delle consuetudini di una civiltà se realmente indossati. L’effettivo uso o l'assenza cambiano la polarizzazione del senso della moda. Il vestire degli etruschi ha offerto spunti anche alla Moda moderna e contemporanea: Fernanda Gattinoni, nel 1956, idea la collezione “Etrusca” promossa da un servizio di Irene Brin pubblicato su Bellezza nel marzo dello stesso anno, dove le modelle posavano dinnanzi a reperti archeologici esposti al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma per esplicitare la citazione storica. In tempi più recenti, Alessandro Michele, attuale direttore creativo di Valentino, appassionato di arte antica e proprietario di una villa nella Tuscia, quando era a capo di Gucci ha decorato con il serpente a tre teste raffigurato sulla tomba etrusca della Quadriga Infernale di Sarteano (Siena) due look custom Gucci per i Grammy del 2017, indossati dalla musicista Santigold e dal presentatore della serata James Corden. Un serpente ornamentale, di stampo religioso, che celebra l’importanza dell’intrattenimento in tutte le aree economiche, sociali e culturali del globo.
Il gusto etrusco per il lusso significa non tanto per il simbolo scelto – il serpente, la nappa – bensì per la ricchezza degli ornamenti che, similmente a quanto notato da Barthes per il gioiello, avevano la funzione di catalizzare il rispetto e la magnificenza mediante un corpo riccamente decorato, meglio se femminile.