Babel Festival 2018 / Anatomia do Paraíso
Beatriz Bracher (San Paolo, 1961), scrittrice brasiliana ancora inedita in Italia, è una delle voci attualmente più rispettate e ammirate nel suo Paese. Il crescente consenso critico sinora ottenuto ha premiato l’originalità della scrittura e la capacità dell’autrice di rinnovarsi in ogni sua nuova opera. In rapporto alla trama e alla dimensione psicologica dei personaggi, la narrativa di Bracher è caratterizzata da scelte molto particolari, che ogni volta dettano e stravolgono anche la struttura formale del romanzo.
Con il suo ultimo lavoro, Anatomia do Paraíso (Editora 34, 2015) – del quale presentiamo in anteprima alcuni estratti in traduzione – Bracher ha ottenuto importanti riconoscimenti, come il Prêmio Rio de Literatura, e il Prêmio São Paulo de Literatura espressamente dedicato alla narrativa. Dopo anni dedicati al lavoro editoriale (è stata tra i fondatori della casa editrice Editora 34 di San Paolo), Beatriz Bracher esordisce come scrittrice nel 2002 con un romanzo, Azul e dura, il cui stile già maturo richiama subito l’attenzione della critica. Alternando i romanzi alle raccolte di racconti, Bracher crea un solido percorso nel quale, attraverso la scelta di prospettive e temi sovente contraddittori, spesso presenta i limiti dell’atto narrativo in sé, incapace di fornire versioni univoche dei fatti. La tensione sempre latente che ne risulta dipinge una società da secoli divisa e stratificata, in cui i diversi valori e le consuetudini sociali interagiscono, si confrontano e offuscano la comprensione diretta della realtà. (Prisca Agustoni)
Frammento
È un lunedì mattina d’inizio autunno, uno studente scrive, curvo sulla scrivania nel suo minuscolo appartamento al nono piano di un palazzo dai lunghi corridoi. Su un quaderno dalla copertina ocra, Félix copia gli appunti presi durante gli ultimi mesi dedicati al Paradiso perduto di Milton. Mentre scrive non percepisce la vibrazione della gru nel cantiere di fianco e nemmeno il formicolio alla gamba, da quattro ore nella stessa posizione. Non alza la testa stirando la spina dorsale, non guarda i palazzi di fronte alla sua finestra, né la favela Pavão-Pavãozinho che si estende sulla collina con il suo verde senza vigore.
Già totalmente cieco, durante le estati e gli inverni londinesi anteriori al 1667, Milton scrisse sulla caduta di Lucifero dal Cielo e sull’espulsione di Adamo ed Eva dal Paradiso.
Féliz fa uno sforzo per decifrare la propria calligrafia ai margini del libro di poesia con traduzione portoghese, rilegge i versi sottolineati, e gli altri sui quali cade il suo sguardo; decifra gli appunti e aggiunge una frase sul quaderno. Quando sfiora la leggera scanalatura lasciata dalla sua matita al margine della pagina, vicino ai versi stampati, il ragazzo di ventiquattro anni, alto, pelle lattea e quasi imberbe, sente i granelli di sabbia che vi si depositarono, e si ricorda della forte luce del sole sulla pagina del Paradiso, del caldo sul suo corpo, seduto in riva al mare e della vibrazione delle parole nella sua testa. Ne rimase così sorpreso che la mina, come la punta di un sismografo, registrò la sua energia in linee simili a un mare increspato, con abissi e creste spumeggianti.
La finestra dell’appartamento guarda verso il sole della sera. Di solito Félix si alza prima che nasca il giorno, cammina fino alla spiaggia e aspetta che il sole appaia dietro allo scoglio del Leme. Non esiste parola per esprimere la luce rosa e la trasformazione provocata dall’alba sulle pietre monumentali che si stagliano sul mare calmo, pensa Félix, in un tale stato di sospensione che gli fa percepire il proprio corpo indistinto dal colore del giorno.
Nel bar all’angolo, Oneida gli offre un caffelatte e un panino. Dopo la colazione, Félix ritorna alla stanza ancora fresca con vista sulle quattrocento finestre degli otto piani che cingono un insieme di case basse, a schiera, attraverso le quali possono circolare la luce del sole e l’aria. Dietro ai palazzi che si trovano sulla destra, in fondo, le baracche sulla collina moltiplicano il numero delle finestre contate da Félix quando lo sguardo e il pensiero si riposano dalle scene straordinarie del Paradiso perduto.
Scrive nelle pagine rigate del quaderno, la gamba si indolenzisce e i versi brillano: coralli, opaline, smeraldi, fuoco e filigrane d’oro. Scritti più di trecento anni fa, la rivolta degli angeli, la caduta di Lucifero, la creazione di Adamo, la sua disgrazia e il paradiso perduto; quanto tempo fa? Nascono in questo momento, di nuovo e una volta ancora, nascono e sono versi più antichi dell’uomo; sprofondano in acque che il sole non conosce.
Scendono, toccano il fondo; lì aspettano. Sabbia e sale; cocci di conchiglie, ossa di pesce e di mammiferi morti sul fondo dell’oceano. Onde leggere, poi più intense si avvicinano al gancio in attesa. Uno strappo e il filo si tende, bisogna tenere i piedi ben saldi per terra, tenerlo stretto e girarlo con cautela, il mulinello, per non rompere il filo. La canna s’impenna e finalmente appare sulla superfice dell’acqua – e poi già in aria – un animale vivo che sgambetta e getta luce tutt’attorno. È la memoria dell’uomo. Quanto maggiore il luccichio dell’animale, più intenso il suo sanguinare, tutto è fresco ed è già morto. L’odore di mare invade la stanza.
2.
Nello stesso palazzo, in via Francisco Sá 88, a tre blocchi dalla spiaggia di Copacabana, alle cinque del mattino, nel suo piccolo appartamento, in arretrato con l’affitto, Vanda scavalca il letto della sorellina, appende la camicetta al gancio dietro alla porta e si fa una doccia. Poi recupera i panni asciutti, stesi sullo stendino retrattile appeso fuori dalla finestra, li piega e li sistema. Nuda, si siede al tavolo appoggiato contro la parete, vicino al letto, accende l’abat-jour la cui lampadina è di 40 watt e non disturba il sonno della sorella, ripassa le lezioni studiate la sera prima.
Alle sei accende il fornello per riscaldare il latte. Maria Joana, dodicenne, si sveglia, si lava il viso e si veste. Tira il lenzuolo, infila il suo letto sotto quello di Vanda e beve la cioccolata calda. Vanda indossa dei pantaloni jeans che si chiudono con difficoltà, le anche si allargano, il reggiseno stringe. Poi le sorelle si caricano gli zaini pesanti in spalla, infilano le scarpe da tennis consumate ed escono dalla stanza. Vanda chiude la porta con la manopola dorata, gira la chiave. Mentre si dirige verso l’ascensore, verifica mentalmente il contenuto degli zaini; nel suo, un succo di frutta, mappette, pranzo pronto solo da riscaldare, una banana, indumenti per la ginnastica, asciugamano, sapone, shampoo, le chiavi di casa e degli armadietti degli spogliatoi dell’Istituto e della palestra; nello zaino della sorella: quaderni, libri, succo di frutta, una banana e le chiavi di casa.
Le due sorelle camminano per dodici isolati fino a raggiungere la scuola di Maria Joana.
- Hai studiato tutto il capitolo? – chiede Vanda.
- A-ahm – risponde Maria Joana.
- Quando sono rientrata stavi già dormendo.
- Le mestruazioni sono forti questo mese, ho preso una pastiglia e sono crollata.
- Hai studiato per bene?
Vanda dorme nell’autobus fino all’Istituto Medico legale di Itabró, città vicina a Rio de Janeiro. Si cambia i vestiti, mette dei pantaloni e un gilet marrone, una cuffia, dei guanti, degli stivali di plastica bianchi ed entra nella sala dell’autopsia.
Ritira dall’armadio congelato un cadavere femminile, legge la scheda, è il corpo di una donna senza nome, inizia così il suo lavoro.
Traduzione di Prisca Agustoni. Beatriz Bracher, Anatomia do paraíso, São Paulo, Editora 34, 2016.
Beatriz Bracher sarà oggi a Babel, Festival di letteratura e traduzione, alle ore 14.00 al Teatro Sociale.