Il Festival dei ragazzi che leggono / Un mare di libri
C’è, in Italia, un festival creato dagli adolescenti per gli adolescenti, ed è un festival di lettura vera, prima e dopo gli incontri e fra un incontro e l’altro, nei chiostri, ai tavoli dei bar, nei teatri, nella piazza nel centro storico della località balneare resa sacra da Fellini. Un posto dove i ragazzi, dopo essersi formati durante un preciso tirocinio, ogni anno scelgono i libri e gli scrittori da sottoporre a interviste pubbliche e più intime sui loro lavori e su quelli degli altri. Quanti di voi – di noi – stanno pensando a certi incontri con le domande scritte a penna sui foglietti e lette ad alta voce a nome di altri, con lo sfottò dei compagni in sottofondo, sotto l’occhio vigile degli insegnanti e il commento sincero magari, ma sempre un po’ tirato, al proprio romanzo, se li scordino.
Niente di tutto questo. A Mare di libri – Festival dei ragazzi che leggono i ragazzi ragionano e chiedono e difendono opinioni senza l’ansia dell’elogio né livori di critiche pretestuose, si suddividono il lavoro (quanto ce n’è dietro un festival internazionale lo sa chiunque ne abbia mai sfiorato uno) secondo gusti e capacità di ciascuno, si occupano degli ospiti stranieri e italiani dalla logistica degli spostamenti fino al centro del dibattito, fanno incrociare scrittori mai incontrati fra loro, aprono connessioni incastrando acrobatiche finestre temporali (grazie alla pazienza della mia tutor diciassettenne Alice sono riuscita a parlare a lungo con una delle mie scrittrici preferite appena arrivata dalla Francia, Marie-Aude Murail).
Se la situazione lo richiede, alcuni incontri sono blindati: durante l’ultima edizione, Michela Murgia e Alberto Pellai ragionavano insieme a una sala piena, dove l’ingresso era vietato agli adulti, di cosa significa essere una adolescente oggi. Scelta giusta, perché era proprio con quei due che i ragazzi volevano parlare, con una scrittrice e uno psicoterapeuta dell’età evolutiva, non con “gli adulti” in generale che non esistono (come non esistono “i ragazzi” in generale). In quello spazio protetto qualcuno ha potuto aprirsi, riflettere su pregiudizi finora inosservati e magari iniziare a cambiare, lontano dallo sguardo dei grandi in famiglia o a scuola, grandi che ci sono capitati intorno per sangue o per obbligo, e che possiamo amare, certo, ma non significa che debbano sempre andar bene come interlocutori su ogni argomento. Perché crescere significa innanzitutto scegliere e a Rimini, ogni anno, intorno alla libreria Viale dei ciliegi, si sceglie. Dovrebbe essere sinonimo del verbo leggere: imparare a scegliere.
Di certo lo è del verbo amare.
A parte quelli esplicitamente chiusi, gli incontri del festival sono comunque riservati soprattutto agli adolescenti. I biglietti per adulti (lettori, blogger, giornalisti, eminenze e leinonsachisonoio di ogni genere) sono pochi, e quando finiscono sono finiti: amen. Puoi entrare, ma senza disturbare; puoi prendere la parola, ma dopo di loro. Questo sistema non ti convince, non ti piace, hai delle perplessità, vorresti essere protagonista? Pensa che un adolescente si sente così gli altri trecentosessantadue giorni, in qualsiasi altro posto. E allora, per tre giorni, prova tu. Lasciati scombussolare le idee.
Siediti nell’ultima fila e osserva.
Quasi nessun ragazzo usa lo smartphone mentre uno scrittore parla.
Nessuno sente di dover compulsivamente twittare l’incontro, condividerlo all’istante, riportare frasi senza prima averle assimilate, essere per metà altrove, esibire la propria presenza come un patentino su internet. Quelle sono le nevrosi nostre, eppure a un certo punto, come un esorcismo privato, le abbiamo attribuite a loro. Chissà Freud che direbbe di questa proiezione sui figli, miope e violenta come un tempo erano quelle sui padri.
Prova, insisti. Ascolta in un silenzio discreto, siediti in ultima fila, trattieni quella domanda a tutti i costi: “premesso che non ho letto il libro, ma”. Loro il libro l’hanno letto, oppure sono lì per capire se hanno voglia di farlo o no. Non hanno niente da dimostrare, la cosa più preziosa che possono perdere è il tempo: hanno tra gli undici e i diciassette anni, un istante è tutto, un pomeriggio è un universo. Non sono interessati al lusso di sprecarlo, non lo faranno. Useranno le loro ore senza frenesie, tenendo a bada quelle dei grandi, lavoreranno e si commuoveranno, decideranno quale scrittore li ha convinti e compreranno romanzi che leggeranno in un soffio e cambieranno la loro vita o anche solo una serata, lo spiegheranno a noi dinosauri. (Grazie, Alice, per avermi consigliato Melody, la storia delle parole compresse nella mente di una ragazza disabile che vengono fuori grazie a un nuovo strumento tecnologico: mi ha cambiato la vita, o anche solo quella serata).
Allora a Rimini scelgo anch’io, scegliere è contagioso. Vorrei andare a sentirli tutti, colleghi e amici dell’editoria per ragazzi (che esista il settore lo scopro ogni volta dalle etichette che ci danno per alcuni libri rispetto ad altri, uno scrittore scrive – e basta): Fabio Geda, Lodovica Cima, Alessandro Gatti, Davide Morosinotto, Beatrice Masini, Giacomo Mazzariol, Sharon Draper… Il tempo non è molto, ho due incontri “miei” e un’intervista – la faranno due ragazze con la maglietta blu, che contrassegna i volontari delle medie. Dopo pranzo m’imbuco dietro l’angolo di una strada principale, trovo una volontaria minorenne in flagranza di reato: sta leggendo un classico. Non dirò quale, perché sono garantista e rispetto la privacy. Come si legge nel decalogo che i ragazzi hanno compilato, uscito sulla Lettura, chi pensa che non leggano i classici è in malafede, ognuno legge quelli che vuole, ognuno sceglie – proprio come hanno fatto a loro tempo gli adulti che ora li criticano.
Far coincidere la fine del mondo con il limite dei propri gusti è un problema degli adulti, non dei ragazzi. Certo che sembriamo tutti un po’ sdraiati, visti da loro.