Speciale
Scarabocchi 2020 / La via del Disegno Brutto
Dal 18 al 20 settembre torniamo con Scarabocchi: distanti e cauti con il nostro festival a Novara. Lo abbiamo pensato con lezioni online e laboratori, per bimbi sopratutto, in presenza. Per esserci. con i corpi, che è il tema di questa edizione. Qui il programma.
1 L'inizio
Tutto nasce da un punto.
L’universo stesso in cui siamo immersi e di cui siamo parte attiva e vivente, nasce dall’espansione ininterrotta di un punto astronomico, fatto di energia compressa e di materia condensata.
Lì stava il Tutto quando era conoscibile con un solo sguardo.
Bastava un battito di ciglia per vedere ogni cosa, ma le ciglia non esistevano ancora.
La vita nel cosmo si generò da un primo impercettibile movimento, come se una sorta di smania facesse vibrare di impazienza la materia.
Tutto nasce da un piccolo segno, da un unico tratto, da un movimento della mano, da un’intenzione della mente, da una scintilla dell’ispirazione, da una figura dell’immaginazione, da una voglia di agire che da sempre ci muove e mai si esaurisce.
Da quell’unico segno originario, da quella prima motivazione, sembra muoversi uno "spirito creatore” che in un continuo e incessante vibrare crea le diecimila variazioni che danno vita alle forme, che, a loro volta, generando interferenze, come per errore, creeranno altre forme.
Tutto sembra accadere in un procedere inarrestabile, senza progresso o regresso.
2 Nel sangue nero di una goccia d'inchiostro
Il tempo, quando si disegna, perde linearità, procede per accumulo o per espansione: quando disegniamo, siamo il centro della creazione e segno su segno le cellule si agglomerano per dare vita a un’immagine. Cosa sembri, quale forma abbia, non è importante, perché la meraviglia è nel processo di creazione che genera qualcosa dal Nulla di una pagina bianca.
Tutta la materia visibile e invisibile, tutto il pensiero conoscibile e inconoscibile, tutta l’energia luminosa e oscura si condensano sulla millimetrica punta di una penna e prendono vita nel sangue nero brillante di una goccia di inchiostro.
Quando disegniamo – anche senza senso, anche senza costrutto, facendo solo per fare, anche se non rappresentiamo, anche se nessuno valuterà la nostra opera, né la metterà in cornice, anche se non siamo artisti – contraddiciamo, ogni volta, la regola che dal “Nulla nasce Nulla”.
Disegnare non è un’attività da misurare o da valutare, solo da sperimentare.
3 Vedere l'invisibile
Mi asciugavo le mani nel bagno di un ristorante con uno di quegli asciugatori elettrici che producono tifoni caldi e rumorosi, velocissimi a trasformare l’acqua in aria: ho sentito la forma dell’aria, ho sentito sulle mie mani la forma cilindrica di questi turbini d’aria mentre trasmutavano l’acqua. Ho detto a mia figlia che quella era la dimostrazione che ciò che è invisibile può avere un corpo, può essere percepito, ma ha bisogno di uno stratagemma umano per rivelarcelo.
Il problema è nel nostro sistema percettivo e nella nostra capacità di fare attenzione: abbiamo mezzi limitati per accorgerci di tutto ciò che esiste.
A decine, i cosiddetti pesciolini d’argento (nome scientifico "Lepisma Saccharina”) corrono via veloci, senza che ce ne accorgiamo, quando rincasiamo la sera e accendiamo le luci.
Sono come i topi che ballano quando il gatto non c’è, gli adolescenti che danno feste in casa quando i genitori partono, il baluginio di farfalle lucenti che si mostra quando chiudiamo gli occhi, i Nerini del Buio che corrono via quando si aprono le finestre della casa in Totoro di Miyazaki. Sono cose che sfuggono alla visione, ma di cui ogni tanto percepiamo la fuga se facciamo bene attenzione.
In quel momento, quando accendiamo la luce del bagno di casa, è come se avessimo la dimostrazione che a volte le cose invisibili semplicemente sono brave a nascondersi.
A volte sono semplicemente troppo piccole o troppo veloci, perciò sfuggono alla nostra percezione.
Un frammento di Eraclito dice che “la natura intima delle cose ama nascondersi”, che è un po’ come dire che preferisce restare invisibile e non farsi cogliere.
Mi chiedo, da sempre, se il disegno possa essere lo strumento adatto per scovare quell’intima natura.
4 Disegnare con gli occhi non basta
Per disegnare la realtà dobbiamo prima mettere in dubbio la nostra percezione e capire cosa sia ciò che consideriamo incontestabilmente REALTÀ.
Senza voler tirare in ballo la fantascienza o le teorie fisiche più azzardate, per quanto affascinanti e comunque credibili, l’idea che ciò che vediamo non sia esattamente la forma del mondo è un dubbio che risiede nella mente di qualsiasi essere umano.
Quando smettiamo di disegnare con gli occhi, contravvenendo all’idea ben radicata che disegnare sia un’azione legata al guardare, ovvero che occhio e mano siano solidali e che il disegno debba rappresentare l’immagine riflessa sui cristallini dei nostri occhi, la realtà della percezione scompare e appare un altro mondo.
Disegnare è tessere la materia del sogno, fare della visione un abito nuovo, trasformare pensieri in damascati d’oro e smeraldo.
È dare utilità all’inutile.
Trovo interessante pensare al disegno come a un processo di mediazione tra ciò che vediamo con gli occhi e ciò che vediamo con la mente, denso di errori percettivi, di interferenze, di limiti dovuti alla materia e all’abilità della mano, che produce un incontro sfavillante tra percezione e immaginazione.
Usando il disegno in questo modo pre-razionale, saremo portati a nutrirlo di intuito e ispirazione, a pescare nei sogni e nel fantasticare, a scendere nell’inconscio, in profondità e a salire più in alto, come fosse un ponte tra noi e un’essenza superiore (che ognuno sperimenta a suo modo).
5 Il senso perduto del disegnare
Credo che nell’essere umano la capacità di disegnare sia incappata in una specie di nascondino psichico che ne ha fatto perdere la cognizione.
Disegnare ha perso la sua aura magica di tramite tra l’invisibile e il visibile, diventando sempre più una mera rappresentazione di ciò che gli occhi vedono.
Eppure sono passati almeno 100.000 anni da quando abbiamo iniziato a disegnare, tanto da farci pensare che sia un tratto distintivo dell’Homo Sapiens, come la postura eretta, e forse reso possibile dal pollice opponibile.
Non sappiamo molto di come i nostri antenati usassero il disegno: gli indizi rimasti sono pochi e frammentari. Si sono perse le tracce degli usi quotidiani del disegno, possiamo soltanto immaginarceli, ma è impossibile credere che si disegnasse soltanto incidendo sulla roccia oppure nelle profondità di caverne oscure.
Per migliaia di anni la conoscenza si sviluppò e si trasmise senza un linguaggio scritto, o meglio, senza alfabeti. Si può anzi ipotizzare che la scrittura, con la sua scientifica e pedante precisione, con la sua corrispondenza tra rappresentazione e significato (divenuta sempre più esatta con il passare dei secoli), abbia iniziato a destituire il linguaggio immaginifico ed evocativo del disegno, fino a renderlo strumento per gli analfabeti.
Quindi relegandolo a strumento di ignoranza, invece che di conoscenza.
È così che abbiamo iniziato a pensare che il disegno fosse una cosa da bambini.
E "fare le cose come un bambino" non è mai un modo di dire usato per complimentarsi o per esprimere ammirazione; lo si usa per lo più per denigrare.
Qualcuno, citando Picasso e Paul Klee, pensa che basti tornare bambini per reimparare a usare il disegno, ma il disegno dei bambini ha finalità, motivazioni, conoscenze diverse da quello degli adulti. È simile nella forma, ma diverso nell’esperienza.
Bisogna trovare altre vie per far tornare un adulto a usare il disegno: agire sul giudizio, smontare convinzioni, abbattere condizionamenti e deporre i tiranni che non ci fanno più disegnare.
6 Tutti dicono di non saper disegnare
Il disegno, secondo la mia modesta esperienza, è uno strumento fantastico e potente per sperimentare il perpetuo e incessante crearsi e trasformarsi della vita, nonché per rivelare l’invisibile e rendere tangibile l'immaginazione.
Quest’idea, per quanto frammentaria e sfocata, mi ha spinto a creare, sviluppare e divulgare un modo filosofico di usare il disegno come strumento di conoscenza, capace di aprire squarci verso l’infinito; quindi non per imparare a disegnare, ma per conoscere attraverso il disegno.
Perciò mi sono inventato i corsi di Disegno Brutto, fatti per chi dice di non saper disegnare e basati sul non giudizio.
In questi anni, nessuno dei partecipanti ha mai imparato a disegnare un cavallo o a farsi un autoritratto. Nessuno è diventato un disegnatore migliore.
Sono fiero di questi pessimi risultati.
Non importa disegnare bene, quando siamo interessati al processo. Quel che conta è fare, agire, seguire quel primitivo impulso, che possa riportarci a un tempo-bambino, in cui si usavano i pennarelli per vedere fino a dove i disegni potevano condurci; forse avevamo aspettative di lontananze che furono frustrate, perché pensavamo che si dovesse disegnare come Leonardo, e non come già avevano fatto Novelli, Melotti, Jonhson, Beuys, Klee, Basquiat, Dubuffet, Twombly, Lewitt, Paladino, Fontana e cento altri.
Disegnare, anche male, ci permette di visualizzare i pensieri e di svilupparli, quindi di ragionar disegnando; si può disegnare in alternativa allo scrivere e al parlare (semplicemente si mettono in moto processi cognitivi diversi) per comprendere e comunicare,.
Non è cosa da artisti o da geometri. Il disegno è una prerogativa dell’essere umano.
Permette di trasformare ciò che c'è e di fare apparire ciò che non c’è.
Purtroppo chi non disegna più ha ormai lasciato ogni speranza, perché disegnare è un roveto – altro che selva oscura! –, i vestiti consumati da tentativi infruttuosi sono laceri e logori; i non-disegnatori che incontro conducono vita immaginativa frugale e ritirata, spesso ascetica (molti fantasticano solo chiusi in bagno o prima di addormentarsi!); sono stati offesi e umiliati quando è stato detto loro che non sapevano disegnare, che non avevano talento, che non erano creativi, che immaginare troppo è una cosa da bambini, che tutto deve avere un senso, che ogni azione deve generare un profitto, che tutto è già scritto ed è già stato fatto: sono come monaci erranti, spogliati di ogni fiducia nella loro capacità di disegnare.
Nei miei corsi si erra fino ad un bosco, in cui faccio loro incontrare un Lupo: nero, pauroso, buio.
Come quello delle fiabe.
Ognuno ha il suo lupo di paure rintanato tra la polvere, nascosto dietro la parete di un armadio.
Disegnandolo, il lupo si rivela, mostrando quanto tenebroso e nero e oscuro sia.
Ma quando il lupo è sul foglio è facile ammansirlo e ci si può far pace.
7 Il disegno ormai mi disegna
Disegno da sempre e per un po’ ho provato a disegnare bene, a scacciare la fame e inseguire la fama, facendo dei segni un profitto, ma il disegnare sceglieva sempre altre vie per me.
Perciò, un giorno ho ceduto allo spirito creatore che generava i miei segni e mi sono messo a seguire le linee, a fare scarabocchi, a disegnare per disegnare: non sapevo si potesse scoprire (o riscoprire) il mondo, la realtà, noi stessi, gli altri, il Tutto e il Niente.
Credevo fosse tutto sui libri: ho capito invece che anche le parole scritte sui libri sono disegni e disegni le linee della nostra mano.
Ormai il disegno immagina per me.
Genera visioni che non so come usare, un pullulare di vita che vibra su centinai di fogli.
Sono tracce del mio pensiero, frutti della mia immaginazione oppure sono io ad essere soltanto una traccia tra le tracce, coagulo di segni tra i segni, disegnato e immaginato dallo spirito creatore che tutto muove?
Forse il disegno è la traccia di quel vibrare inestinguibile che trasforma la materia e l’energia, dominando il tempo?
Quando ogni anno porto i miei laboratori allo Scarabocchi Festival di Novara, propongo alle persone di disegnare come fanno i bambini – anche se è difficile –, scarabocchiare, praticare l’insulso, accettare la propria incapacità, sperando che il disegnare senza giudizio possa essere il cuore prezioso di una trasformazione individuale.
Penso, e probabilmente sono matto, che scarabocchiare invano sia un atto di grande coraggio.
E che disegnare possa essere per tutti un modo per ritrovare se stessi.
Solo che per ritrovarsi, bisogna prima accorgersi che ci si è persi…
Alessandro Bonaccorsi è un pensatore visivo che esplora e sperimenta il disegno come strumento di immaginazione e di supporto al pensiero, allo sviluppo di idee e di processi.
Nel 2017 ha ideato il progetto Disegno Brutto, tenendo oltre 100 corsi in tutta Italia, da cui è nato il libro “La via del Disegno Brutto” (Terre di Mezzo, 2019), tradotto per il mercato internazionale come “Raw Drawing” da Batsford Books (2019). Quest’anno è uscito “Lavorare meglio disegnando male” (Terre di Mezzo) per portare il pensiero visivo in azienda.
Il suo sito è www.workingvisually.it