Design: tre centenari / Franca Helg, la gran dama dell’architettura
Seppure bisestile come l’attuale, il 1920 è stato un anno prolifico per la scuola di Milano di architettura. Ha infatti dato i natali a tre figure di rilievo internazionale, che si sono occupate anche di design: a Franca Helg, il 21 febbraio; ad Anna Castelli Ferrieri, il 6 agosto e a Vico Magistretti, il 6 settembre, tutti e tre allievi del Politecnico meneghino.
Franca Helg (1920 - 1986), "la gran Dama de la Arquitectura", come ebbe a definirla Vélez Catrain nel 1990 "doveva essere una donna molto disciplinata e rigorosa con se stessa. […] Discreta, sobria nella parola e nello sguardo; il suo portamento era deciso, il portamento di una persona che anticipa il passo con lo sguardo, l’udito e l’olfatto. E così era solita procedere nel suo lavoro." (idem, 2006)
I collaboratori dello studio che lei ha condiviso con Franco Albini (si legga qui) fino alla morte del maestro, avvenuta nel 1977, la chiamavano con deferenza signora Helg, invece, noi allievi della Facoltà di Architettura del Politecnico, dove lei ha insegnato Composizione architettonica, la chiamavamo la Helg, lasciando sottinteso il titolo di professoressa, come spesso fanno gli studenti, ma con quel rispetto nel tono che è tipico dei lombardi. Parlavamo di lei, insomma, con la stessa attitudine con cui a Milano e dintorni si suole dire il Cattaneo, il Manzoni, il Gadda, o l'Arbasino, dove l'articolo determinativo al singolare che precede il cognome ne sottolinea l'identità, l'unicità, per non dire l'assolutezza. Infatti, se il cognome ha valore connotativo, l'articolo che lo precede viene ad assumere, dalle nostre parti, un tratto denotativo, teso ad indicare, nell'esempio fatto, Carlo e soltanto quel Carlo dei molti Cattaneo, quell'Alessandro dei tanti Manzoni, Carlo Emilio dei vari Gadda e Alberto, ça va sans dire, tra gli Arbasino.
Nata a Milano da padre svizzero e da madre originaria della Germania del nord (che si chiamava Alice Ahrens), Franca Helg, ancora studentessa, completa la propria formazione di architetto nello studio BBPR (Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers), dove impara a conoscere e ad applicare l'etica, la poetica e il linguaggio del razionalismo, cui resterà fedele per tutta la propria carriera. Nel 1952, sette anni dopo la laurea, inizia a lavorare nello studio di Franco Albini, dando vita a quello straordinario sodalizio da cui sortiranno edifici, musei, allestimenti e oggetti entrati a far parte della storia dell'architettura e del design.
Nei 25 anni in cui è durata la loro collaborazione, i progetti si sono susseguiti, dagli interventi di urbanistica, a quelli architettonici, si vedano, fra i tanti, i grandi magazzini La Rinascente, a Roma (1957-1960), le nuove terme Luigi Zoja a Salsomaggiore (1964-1970) e il palazzo SNAM a San Donato Milanese (1969-1972). Poi ci sono i restauri, come quello del monumento sepolcrale di Margherita di Lussemburgo a Palazzo Bianco (1956-86) e quelli di Palazzo Rosso (1952-62) a Genova; dell'isolato Fossati (1974-1980) a Milano e la ristrutturazione del complesso di Sant'Agostino (1963-1979) sempre a Genova; e ancora gli allestimenti museali, come quello della nuova Pinacoteca del Castello Sforzesco (1972-1980) a Milano e del chiostro e Museo civico degli Eremitani a Padova (1969-1986). E ancora i lavori per la metropolitana MM1 linea rossa di Milano (1963, con cui Franca Helg e Franco Albini, nel 1964, hanno vinto il premio Compasso d'oro insieme a Bob Noorda), fino al progetto della stazione di Molino Dorino della stessa Metropolitana (1980-85), senza dimenticare gli arredi del negozio Olivetti a Parigi (1958-60), tanto per citarne soltanto alcuni. (Si ricorda che dagli anni sessanta sono entrati a far parte dello studio Albini-Helg anche Antonio Piva e Marco Albini, da quel momento cofirmatari dei progetti.)
Sono molti anche gli oggetti di design che Franca Helg ha progettato con Franco Albini, come, ad esempio, la famosa poltrona Tre pezzi PL 19 (1957), la libreria LB7 (1957), il tavolo pieghevole TL8 (1958), tutti per Poggi (si legga qui), o come le lampade per Arteluce e per Sirrah, o le sedute in midollino per Vittorio Bonacina, le maniglie per Olivari, il televisore Orion 23 per Brionvega (1961), i gioielli e gli argenti per San Lorenzo e molto, molto altro ancora.
Ma Franca Helg ha creato anche opere in autonomia, soprattutto per Vittorio Bonacina, un'azienda brianzola specializzata nella lavorazione del giunco e del midollino per la quale, oltre ad Albini, hanno lavorato anche Gio Ponti, Joe Colombo, Gae Aulenti ed altri. Interessata soprattutto a indagare le potenzialità della linea curva che, traslando dal piano allo spazio, si muta in volume acquisendo così eccellenti virtù statiche, Helg ha progettato, tra le altre cose, la famosa poltrona Primavera (1967), esposta in permanenza al Philadelphia Museum of fine Arts e al Triennale Design Museum di Milano. Priva di struttura portante, questa poltrona si autoregge e sostiene il peso di chi vi si siede grazie al mirabile intreccio della trama di giunchi che ne origina la forma facendosi struttura.
A mio avviso, è la stessa personalità di Franca Helg a trovare metaforico riscontro nella linea curva: sinuosa e solida nel suo divenir portante, essa è, infatti, al pari di lei, garbata ma tenace, formale e nello stesso tempo sostanziale. Non per nulla l'ha introdotta in molte realizzazioni architettoniche e di design concepite con Albini, quasi in armonico contrappunto con l'ortogonalità astratta, magica e lieve, prediletta, invece, dal maestro. E penso si possa ritenere che sia anche da questo dialettico gioco di contrasti che scaturisce l'eterna bellezza dei lavori che hanno progettato insieme.
Franca ha poi sempre mostrato una cura meticolosa per il dettaglio (forse mutuata in gioventù da Enrico Peressutti, di cui si narra essere stato un perfezionista del minuto particolare) che la portava a disegnare addirittura gli esecutivi dei progetti per Bonacina in scala 1:1, una scala assai provvida per realizzare i prototipi dei suoi pezzi, tutti connotati da uno sviluppo lineare oltremodo complesso. In proposito, ecco le sue parole:
"Il dettaglio è fondamentale per la definizione dell'insieme, il dettaglio può determinare un progetto e certamente lo caratterizza. Il risultato complessivo dell'opera è connesso ai dettagli, per disegno e qualità. Il dettaglio incide sui valori spaziali e volumetrici del costruito."
Prima che a Milano, al cui Politecnico approda nel 1963 e dove ottiene la libera docenza nel 1967, Franca Helg ha svolto attività accademica allo IUAV di Venezia, come assistente di Lodovico Barbiano di Belgiojoso. Successivamente ha insegnato design all'Università Tecnica di Monaco e alla Facoltà di Architettura dell'Università Cattolica di Córdoba, in Argentina, senza contare i seminari di specializzazione da lei tenuti in Spagna, Ecuador, Colombia, Brasile e Perù.
"Franca Helg aveva una indubbia predisposizione alla didattica, un raro talento nell'insegnare. [...] Chiunque l'ascoltasse capiva questa sua predisposizione ad insegnare come trasmissione di un sapere derivato da una esperienza che lei stessa, e per prima, non considerava conclusa ma in pieno svolgimento." (Galliani, 2006)
Costantemente attenta alla ricerca del nuovo, senza mai dimenticare il rispetto per la tradizione, nei suoi progetti Helg, con il rigore metodologico che la contraddistingueva, ha saputo sapientemente fondere modernità e classicità, razionalità e creatività, dando vita a esiti di raffinata eleganza e di ineguagliata semplicità, sempre avulsi dalle mode culturali del momento e scevri da ogni rigurgito di accademismo.
Inoltre, il suo "atteggiamento di passione per la realtà credo abbia ramificati collegamenti con gli atteggiamenti generati dal Personalismo di Mounier e dalla Fenomenologia della percezione di Husserl, entrambi i pensieri presenti, con le mediazioni di Adriano Olivetti e del suo gruppo, negli ambienti più impegnati dell'intellettualità milanese del dopoguerra." (Pandakovic, 2006)
Ci si riferisce qui ai rapporti di scambio culturale che Ernesto Nathan Rogers e Lodovico Barbiano di Belgiojoso intrattenevano con l'olivettiano ingegner Roberto Guiducci, oltre che alla frequente partecipazione di Enzo Paci, allievo di Antonio Banfi, alle loro lezioni in facoltà, alle quali era presente, in qualità di assistente alla didattica, la stessa Helg, non escluso il frequentatissimo libero corso di Estetica che era stato invitato a tenervi Umberto Eco.
Dopo Lina Bo Bardi, insieme alla coetanea Anna Castelli Ferrieri e alle più giovani Gae Aulenti, Cini Boeri, Lella Vignelli e Nanda Vigo, Franca Helg ha anche l'indubbio merito di essere stata tra le prime donne italiane ad esercitare la professione di architetto e di designer e a guadagnarsi successo e fama internazionali entrando, a buon diritto, nella Storia del’Arte.
A lei dobbiamo, oltretutto, eterna riconoscenza per aver salvato dalla deportazione Ernesto Nathan Rogers, caricandoselo sulle spalle e portandolo in salvo in Svizzera.
Onore al merito.
Per saperne di più:
Per scuola di Milano di architettura si suole intendere quella peculiare scuola di progetto, nata nel capoluogo lombardo nel secondo dopoguerra che, affondando le proprie radici nell'impegno sociale della cultura, mirava a conciliare, con continuità, la modernità con la tradizione (Casabella Continuità si chiamò, infatti, la rivista quando a dirigerla, dal 1954 al 1965, fu Ernesto Nathan Rogers, il padre culturale di quella scuola), coniugando gli insegnamenti morali e formali del Movimento Moderno europeo con il bagaglio storico ereditato dalla classicità, nella salvaguardia delle preesistenze ambientali.
Le citazioni sono tratte da: Franca Helg, la gran dama dell’architettura italiana, a cura di Antonio Piva e Vittorio Prina, Atti del Convegno tenutosi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano nel gennaio 2006, Edizioni Franco Angeli, 2006, pp. 223, € 20.50