Willem Hermans: spy story e romanzo filosofico

29 Ottobre 2022

La frase criptica di Ludwig Wittgenstein che lo scrittore olandese Willem Frederick Hermans aggiunge (nel 1971) come postscriptum al suo romanzo La camera oscura di Damocle (prima edizione ad Amsterdam nel 1958, tradotto ora da Claudia Di Palermo per Iperborea) ha riportato alla memoria un libro di Renato Giovannoli, Elementare Wittgenstein! (Medusa, 2007, con una prefazione di Umberto Eco) dove l'autore ripercorreva le forme letterarie poliziesche intrecciandole con quelle della filosofia.

E la recente lettura di Tomas Nevinson di Javier Marías, dove due uomini, uno nella finzione e uno nella realtà, avrebbero avuto la possibilità di uccidere Hitler, innescando il pretesto nella spy story dello scrittore spagnolo per una riflessione profonda sulla moralità dell'agire umano, quando è chiamato a impedire il manifestarsi del male, è stata il viatico migliore per immergerci in questo affascinante romanzo.

Anche Wittgenstein amava i pulp polizieschi e Hermans probabilmente lo sapeva: la citazione finale ("Posso cercarlo quando non è là, ma non posso impiccarlo quando non è là. Qualcuno potrebbe voler dire: 'Ma deve pur esserci, se lo cerco'. – Allora dev'esserci anche se non lo trovo; e anche se non esiste affatto") è la conclusione perfetta dell'assioma per il quale al fondamento della conoscenza autentica ci deve essere un linguaggio chiaro, che non può dare adito ad equivoci. Il mondo può essere detto se il linguaggio interpreta o riproduce la realtà: ma alla fine del romanzo di Hermans non sapremo se Dorbeck, il doppelganger (il "doppio", "che va, che passa", l'alter ego di Osewoudt) è un personaggio vero o se Osewoudt se lo è inventato; se è davvero esistito o se è il frutto della sua follia.

Divoriamo una storia plausibile continuamente inficiata dall'unica prospettiva che ci è dato conoscere, quella del protagonista Osewoudt, che sembra depositario della verità ma che l'autore mostra più volte come inaffidabile (in una scena vede la madre che vende fiori in un ristorante, mentre sappiamo che è incarcerata): si tinge i capelli di nero, lui biondo, per non farsi riconoscere, ma in questo modo finisce per somigliare ancora di più a Dorbeck "come il negativo di una foto è uguale al positivo".

Quando i nazisti occupano l'Olanda, nel 1940, Osewoudt è un diciassettenne a cui non cresce la barba, con una voce acuta, una madre pazza che qualche anno prima ha ucciso suo padre, e una tabaccheria in una cittadina di provincia: qui si presenta un giorno il suo sosia Dorbeck, un ufficiale olandese che vuole sviluppare una pellicola fotografica e che, di fatto, ingaggia Osewoudt nella resistenza.

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Gli ordinerà di compiere missioni, lo spingerà a uccidere, apparendo e scomparendo nel romanzo mentre Osewoudt contraffà documenti, si nasconde, si traveste, muta identità, come se la debolezza che gli viene rinfacciata (quella voce, già uomo e senza barba) fosse per miracolo sconfitta dalla forza di Dorbeck, che sempre di più esorcizza l'io inerte del ragazzo. Il rischio di confusione si trasforma in un collegamento illuminante: l'invenzione di Dorbeck sembra fatta apposta per rinviare a una lettura freudiana della Camera oscura di Damocle, dove le azioni del "resistente" Osewoudt fanno da contraltare alla frustrazione derivante dal suo aspetto (l'autore insiste molto sulla voce, sul suo essere glabro, sull'inerzia di Osewoudt, che viene abusato da una cugina più grande quando lui è poco più che adolescente e che finirà, sempre per inerzia, per sposare).

Dorbeck non si trova più quando gli alleati liberano l'Olanda. E nessuno tranne Osewoudt può confermare di averlo mai visto. Il romanzo non chiarisce la sua esistenza, istiga il lettore a immaginare, a cercare di capire, ma la scrittura di Hermans, che mischia la prima e la terza persona e offre una visione onnisciente degli avvenimenti, ma solo nella prospettiva di Osewoudt, alimenta il tratto più evidente di questa opera: l'inconoscibilità del mondo. Ognuno conosce solo un aspetto delle circostanze e degli eventi, per non dire delle persone, che incrocia nella vita.

E ogni personaggio che incontriamo nella Camera oscura di Damocle, arriva a ricostruzioni diverse di ciò che accade sulla base degli stessi dati. Qual è il senso della vita in questo caos? Per Hermans sembrerebbe che le persone forti siano per antonomasia buone e quelle deboli sbagliate: e c'è un sospetto di attrazione per il superomismo nietzschiano nell'Osewoudt che vede in Dorbeck un uomo che decide da sé cosa è giusto e cosa no, cosa fare della propria vita, essendo dipendente soltanto dalla sua propria volontà. In una parte abbastanza lunga, Dorbeck costringe Osewoudt a travestirsi da donna e l'autore si ostina nel ribadire che nessuno lo nota, anzi, gli uomini gli fischiano dietro, subisce addirittura un tentativo di violenza.

Questo insistere sulla parvenza di effeminatezza (parvenza, perché Osewoudt è cisgender, diremmo oggi, e sarà padre di un bimbo che nasce morto) sembra servire a Hermans per confrontarla con la virilità di Osewoudt, che uccide apparentemente senza problemi morali, ma fatica a farsi accreditare come eroe della resistenza al nazismo. È il suo alter ego Dorbeck che provoca forse la più grande umiliazione a Osewoudt, costringendolo ad assumere le sembianze di una infermiera e complicando il quadro psicologico, se Dorbech – come il lettore è indotto a sospettare – non è altro che una costruzione della mente di Osewoudt. 

Alla fine, questa spy story può essere letta in diversi modi: come un'avventura di guerra, come un'indagine sul problema dell'identità e come un romanzo filosofico, dove ciò che non si riesce a conoscere della realtà, ciò che resta oscuro, risulta dall'inconoscibilità del passato. Le richieste del superego di Osewoudt lo spingono verso un'ambizione sfrenata, ma il suo desiderio di elevarsi a superuomo come il suo doppelganger, finirà per punirlo.

Pubblicato nel 1958, Hermans ha scritto un romanzo che, azzardiamo con un'iperbole, anticipa la letteratura genderqueer, dove la multidimensionalità e l'eterogeneità dei modi in cui le persone si rapportano al loro genere sessuale e in cui vengono viste, è fonte di complicazioni psicologiche e morali: Osewoudt, mitomane ossessionato dalla sua voce acuta da soprano, dal cercare il suo posto nel mondo, in lotta tra come appare agli occhi degli altri e come vorrebbe essere, pagherà con la morte questo suo conflitto irrisolvibile.

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