Divagazioni filosofiche / Si può amare nonostante l’età?
Uno scrittore francese di discreto successo ma di poca eleganza, Yann Moix, ha recentemente sollevato un vespaio dichiarando che le donne dopo i 50 anni sarebbero “invisibili”, un modo obliquo per dire che non sono più interessanti per il genere maschile. Qualche anno fa, dal loro sottomarino giallo, i Beatles cantavano, con maggiore delicatezza, “When I get older, losing my hair/Will you still be sending me a Valentine?”. In fondo, Afrodite, uscendo dalla schiuma dei testicoli di Urano, è eternamente giovane. Sempre in Francia il tema è al centro del saggio appena uscito Eros capital (Flammarion, 2019) del filosofo belga François De Smet che si interroga sulla fine del modello romantico e il prevalere del capitalismo anche fra le lenzuola (do ut des). Il problema, tralasciando la banale e ovvia guerra tra i sessi, è più ampio e riguarda un dilemma che i filosofi hanno trattato a loro modo: quando amiamo qualcuno, che cosa amiamo? Quando diventiamo diversi, per colpa del tempo e delle disavventure, siamo sempre noi? Il cambiamento, che tocca tutto e tutti, tocca anche il nostro diritto di essere amati? In fondo, il caso dell’età, tasto dolente su cui Moix è entrato a gamba tesa, non è che un caso particolare della domanda di ogni innamorato: quando mi ami, chi o che cosa ami? Domanda dove la filosofia esce dai libri per entrare nel cuore e nella vita.
L’amore, quello vero, ha un’età di scadenza? Sopravvive al divenire delle cose? Che cosa ci può dire la filosofia sul caso dell’età che Yann Moix ha sollevato in modo così brutale? Sorprendentemente la questione è stata trattata dai filosofi del linguaggio attraverso un concetto apparentemente astruso, quello di designatore rigido, che permette di rispondere alla domanda da cui siamo partiti: quando si ama, che cosa si ama? chi si ama? E quando si è amati, come vorremmo essere amati?
Prima la parte difficile. Che cosa è un designatore rigido? In filosofia del linguaggio è quella cosa che permette di individuare qualcuno anche se cambia tantissimo (concetto che i filosofi esprimono con la formula dei mondi possibili). Il che non implica che l'individuo debba portare con sé sempre tutte le sue caratteristiche, ma solo quelle essenziali. Sì… bella idea, ma quali sarebbero? Essere bellissimo è una proprietà essenziale di George Clooney? Essere velocissimo è una proprietà essenziale di Usain Bolt? Essere una grande nuotatrice è una proprietà di Federica Pellegrini? Essere ricchissimo è una proprietà essenziale di Silvio Berlusconi o di Joanne Rowling? Essere giovane è una proprietà essenziale di una donna o di un uomo?
Sulla questione dei mondi tornerò fra un attimo. Ma proviamo a pensare a questa freccia che non sbaglia mai, una specie di puntatore magico, cioè il designatore rigido, che trova una persona a prescindere da come questa persona sia vestita, sia conciata, dal suo conto in banca, dal suo taglio di capelli, dalla sua forma fisica. Bene, quando siamo amati, non vorremmo forse che la persona che ci ama, sapesse individuarci a prescindere da tutti questi dettagli, anche quando saremo imbruttiti, imbolsiti, invecchiati? Non vorremo che queste caratteristiche esteriori non fossero cruciali? Credo proprio di sì. Ecco, questo, in filosofia, significa essere amati attraverso un designatore rigido.
È il mito di Aristofane, raccontato da Platone nel Simposio, secondo cui amiamo la nostra metà, eternamente alla ricerca di noi – e solo di noi – perché solo noi, a prescindere dalle nostre spoglie, potremo completarla e quindi renderla felice. È la ricerca immatura di un amore incondizionato quasi materno che ci dia sicurezza perché non minacciato dal cambiamento.
L’alternativa, ahimè, è assai meno romantica e molto più realistica. Si sceglie chi amare sulla base delle sue caratteristiche: un ragazzo molto bello della scuola, una collega molto elegante, una donna potente, un uomo muscoloso e prestante, una persona che mi sappia aiutare con i figli e la casa, una donna o un uomo, per dirla con Moix, giovani e freschi… Come si vede subito, il mito di Platone si è infranto. Nessuno è più unico e irripetibile. Si prende quello che si trova, alla meno peggio! E se si può, si cambia per adattarsi al cambiamento, figlio del divenire e nemico di Platone.
Queste descrizioni non puntano a un individuo unico, e nemmeno alla stessa persona in tutti i mondi possibili, per dirla come piace ai filosofi contemporanei del linguaggio. Sono descrizioni flessibili che possono scegliere oggi Gianni e domani Mauro, oggi Ariela e domani Antonella. In filosofia, queste descrizioni non sono più designatori rigide, ma sono spesso chiamate designatori flosci (e si capisce dal nome che in amore non sono l’ideale …). Nelle relazioni personali, un designatore floscio può facilmente cambiare persona, è volubile non affidabile. Se oggi Ken ama, diciamo, una “ragazza bionda con gli occhi azzurri”, oggi può cercare Barbie e domani Barbara (se entrambe soddisfano hanno quelle caratteristiche). Se Moix amava una donna quando aveva 40 anni, quando questa ne avrà 50, non la amerà più, perché per lui, orrore! il fatto di avere una certa età rientra nella descrizione di colei che ama.
Quindi la soluzione ideale sarebbe amare usando i i designatori rigidi, che sono puntatori magici, ma qui nasce subito una domanda pressante (non solo per i filosofi): queste frecce di cupido che non sbagliano mai esistono o sono una romantica illusione?
Prima di rispondere, vorrei anche far notare, al volo, che altri tipi di cambiamento, non suscitano altrettanta indignazione. Per esempio, se Giovanna smette di amare Stefano perché lui è diventato una persona egoista, non ci sentiamo altrettanto indignati. Perché, come dirò, alcune caratteristiche, ci sembrano migliori di altre (la generosità invece dell’età, per esempio). Ma questa differenza è reale o è solo un pio desiderio?
Quante volte abbiamo sentito dire “vorrei essere amato per quello che sono”. Ma la domanda è proprio questa: che cosa sei? A che cosa si dovrebbe attaccare il designatore rigido per trovare la sempre persona giusta? I filosofi, un po’ ingenuamente, dicono: alle proprietà essenziali. Ma quali sarebbero queste proprietà essenziali? Per esempio, oggi io non mi sono fatto la barba e sono piuttosto arruffato. La cosa non mi crea particolari problemi. Sono sempre io. E se qualcuna mi amava ieri, direi che dovrebbe amarmi anche oggi, guance lisce o ispide. Mi guardo allo specchio, forse ho preso qualche chilo di troppo. Ma perché angosciarmi? Il mio peso non sarà una proprietà essenziale. Il mio conto in banca? Non sia mai! Soprattutto visto come sta scendendo! Il mio lavoro? La mia conversazione? Il colore dei miei capelli? Che è cambiato, ahimè, passando da un bel moro della mia (prima) giovinezza a questo grigio brizzolato che odio! Non sono forse più lo stesso? E se chi mi amava qualche anno fa, non mi amasse più? In fondo forse non amava me, ma il mio look da ragazzo birbante. In fondo io credo di essere sempre lo stesso, ma lo sono veramente? O è quella bugia cui piace tanto credere che ci diciamo sempre quando ci incontriamo dopo qualche tempo “ma lo sai che sei sempre lo stesso?”
A noi piacerebbe essere amati per quello che non si vede, per qualcosa di eterno e immutabile, per il fantasma dentro la macchina … Ci piace pensare che Angelica amerà sempre Tancredi, ma sappiamo che la loro vita non fu liscia come il pavimento su cui ballavano. Che cosa amava Tancredi? L’essenza di lei o i venti sacchetti di tela con diecimila onze ciascuno? E lei che cosa amava? l’essenza del giovane o il suo titolo nobiliare? La giovinezza o lei?
In fondo tutto cambia e, se cambia, non è più quello di prima. Certo, il mio codice fiscale rimane sempre lo stesso, ma è solo una convenzione. La mia presunta identità non è che un punto vuoto al centro delle mie vicende. È l’occhio dell’uragano, dove però non vi è nulla. È, per dirla con Dennett, il centro di gravità narrativo di quella storia che chiamiamo vita. Dietro la maschera non c’è nulla. L’armatura del cavaliere di Calvino è vuota. Anche il filosofo scozzese David Hume non aveva mai incontrato né altri sé né, tantomeno, se stesso.
Il problema delle (presunte) proprietà essenziali è che spesso, nel quotidiano, sono soltanto le proprietà che ci fa comodo scegliere. Quando scriviamo, magari su Facebook, “dovremmo essere amati per quello che siamo”, in realtà intendiamo “vorremmo esseri amati per quelle caratteristiche che ci fanno comodo (spesso nessuna!)”. Se siamo ingrassati, togliamo subito la forma fisica! Se siamo nel pieno della forma fisica dopo anni di fitness, mettiamo subito in evidenza la bellezza fisica! Provate a dire a Nicole Kidman che il suo aspetto fisico non vi interessa! OK, qualche anno fa, forse … E questo vale per ogni caratteristica, magari più esterna. Prendiamo il lavoro. Una persona che abbia conquistato un ruolo di cui va fiera, non vorrà buttarlo via. Lo sentirà parte di se stessa. Il re è il re! Provate a dire a un chirurgo che non vi importa il mestiere che fa, e scoprirete quanto, per un mago del bisturi, il suo lavoro sia parte della sua persona. O dite a un musicista che lo apprezzate, ma … per favore! che non vi faccia sentire quello che fa! La volpe e l’uva.
Lo stesso si può dire per il successo o il denaro. Una persona che abbia passato anni a inseguirli, li considera come il coronamento dei propri sforzi: la manifestazione tangibile della propria natura. Io sospetto che Silvio Berlusconi non sia affatto dispiaciuto di essere apprezzato da chi lo ama per le sue disponibilità economiche. Tra le sue proprietà essenziali, credo proprio che Silvio inserirebbe la ricchezza.
Il sospetto è che le proprietà essenziali non esistano. Esistono caratteristiche personali (età, arguzia, intelligenza, giovinezza, ricchezza). Ognuno è semplicemente, in ogni momento, la somma delle caratteristiche che capitano. Ma, se non ci sono proprietà essenziali, come fa il puntatore magico a trovarci? A che cosa si attacca l’amore ideale e romantico così rozzamente messo in discussione da Moix?
Il timore è che, appunto, non ci sia niente cui attaccarsi perché non c’è uno straccio di essenza. L’idea della persona diventa evanescente come una entelechia di Leibniz! Noi dovremmo essere quella cosa che resta dopo che si sono fatte fuori tutte le sue caratteristiche. Che resterebbe di George Clooney dopo avere eliminato il sorriso elegante, la barbetta impeccabile, il portamento accurato, etc. Sarebbe ancora George Clooney? Lo ameremmo come lo amiamo oggi? Ne dubito. Il pubblico ama un personaggio per le sue caratteristiche e non per la sua essenza, che gli è nascosta. È per questo che le star sono così amabili, perché in loro la maschera è anche la persona. Ma noi siamo diversi?
Questa presunta essenza, o insieme di caratteristiche essenziali, non è nascosta per caso. Non è invisibile perché indossiamo una maschera. È invisibile perché, se fosse visibile, sarebbe una caratteristica che potrebbe essere cambiata come tutte le altre. Sarebbe l’aura di Walter Benjamin o la trasfigurazione di Arthur Danto. La nostra vera natura si nasconde per necessità e non per caso. Dobbiamo rassegnarci, siamo le cose che ci capitano.
Passando dalla filosofia al quotidiano, viene il dubbio che, nel nostro mondo del politicamente corretto, l’essenza abbia finito per corrispondere, per par condicio demagogica, solo a quelle qualità che, caritatevolmente, abbiamo tutti e che, proprio per questo, non vuole nessuno. Ovviamente una pietosa bugia. Se compiliamo una lista che procede dalle caratteristiche più esteriori a quelle più interiori, tracceremo una traiettoria che procede, non a caso, da quelle più apprezzate a quelle più comuni e diffuse. L’essenza è come il voto: uno vale uno, e spesso niente.
Quindi Moix pecca perché non accetta l’ordine inverso che il politicamente corretto ha imposto alla gerarchia delle caratteristiche personali. L’amore può dichiararsi solo per una essenza invisibile e probabilmente inesistente. Gli ultimi saranno i primi, ma dopo la morte. Non si può dire che si ama qualcuno per la sua giovinezza, per la sua bellezza o – perché no? – persino per i suoi soldi o il suo potere. Sarebbe come dire che l’amore, con buona pace dei filosofi, è diretto da descrizioni flosce. Una visione grigia, che si scontra con il nostro desiderio di essere amati incondizionatamente grazie a una descrizione rigida, anzi rigidissima. Rassegniamoci: è una illusione. Quello che si vede, quello che facciamo, è quello per cui siamo amati, quello che siamo, che forse non esiste, è quello per cui, spesso immotivatamente, vorremmo essere amati.