Gerda Taro & Robert Capa

21 Febbraio 2024

Tessere un discorso a due voci in una mostra fotografica non è affatto un’impresa semplice, soprattutto quando i protagonisti della storia che si intende raccontare sono nomi già altre volte celebrati, con misure molto diverse. Se da un lato, infatti, Robert Capa non lascia quasi più nessuno con un’espressione interrogativa, facendosi collocare quasi a colpo sicuro in una narrazione precisa – fotografia, reportage, guerra, agenzia Magnum, come si è già avuto modo di parlare qui su Doppiozero – quello di Gerda Taro può iniziare a far suscitare i primi dubbi.

La mostra che ha aperto lo scorso 14 febbraio presso Camera, a Torino, curata da Monica Poggi e Walter Guadagnini, vuole essere uno spazio dedicato all’intenso rapporto, sentimentale e professionale, che intercorse tra i due reporter, e che si è solitamente portati a trascurare in favore della celebrità assoluta ottenuta col tempo da Capa. A partire proprio da questo fattore, ovvero dalla fama indiscussa del fotografo, la mostra ci mette subito di fronte a una verità netta: Robert Capa è, infatti, frutto di una vera e propria strategia di marketing, se vogliamo, attuata dalla compagna. “Una specie di investimento: Robert Capa voleva essere un prodotto di successo organizzato nei dettagli da Gerda” ci suggerisce il video allestito nella prima delle sale espositive. È lei, infatti, a trovare per lui un nome più accattivante di quell’Endre Friedmann di origine ungherese, ed è lei a trovarne uno anche per sé, nata in Germania Gerta Pohorylle e autotrasformatasi nel nome consegnato alla storia con cui anche noi oggi la chiamiamo, Gerda Taro.

Miliziani
Gerda taro, Miliziani repubblicani 1936

Era, quella in cui Robert e Gerda scoprivano la fotografia e il reportage, l’epoca in cui entrava sul mercato la leggenda della Leica e di tutti i marchi che ne hanno seguito le orme. Che voleva dire, in termini pratici, il 35 millimetri, il corpo piccolo e agile, tempi rapidi per scattare le proprie istantanee; in mostra sotto teca ci vengono mostrati gli stessi modelli della Contax che usarono Robert e Gerda. Qui la storia dà lo spunto per una riflessione: Tina Modotti, nota fotografa di Udine ma unita biograficamente a Città del Messico, visse in prima persona questo snodo della tecnica fotografica e lei, abituata a rappresentare la realtà con le pesanti macchine di fine Ottocento (la colossale Graflex: di quelle col soffietto), una volta introdotta sul mercato la maneggevole Leica, si rifiutò di contaminarsi con quella che pareva la meccanica dei dilettanti, con la quale “tutti, d’ora in avanti, avrebbero potuto fare fotografia”. 

Come un vero duetto d’opera, la struttura della mostra mischia e intreccia le voci dei due eroi, inquadrandoli soprattutto nella parentesi più intensa del loro rapporto e lavoro sul campo, durante la guerra civile spagnola. Approdati a Barcellona durante il conflitto che vede i Repubblicani schierarsi contro Francisco Franco, il Caudillo, leader di estrema destra e primo sanguinario esempio, in Europa, delle derive di una dittatura nazionalista (durata fino alla sua morte, nel 1975), i due reporter seguono da vicino la vita dei miliziani e le fasi del conflitto.

Miliziana
Gerda Taro, Miliziana repubblicana si addestra in spiaggia, 1936

Ecco allora delineati i tre temi cardinali su cui il percorso espositivo poggia e che ne delineano il sottotitolo: “la fotografia, l’amore, la guerra”; a cui pure se ne potrebbe aggiungere un quarto, “l’ideale”, se si volesse dare una linea in più al ritratto già compiuto tracciato dalle prime tre. È infatti la volontà di far cessare il conflitto e la tirannia alle porte, di portare a galla quelle verità che rischierebbero di essere taciute in merito a quanto accade non solo dietro le trincee, ma anche nelle città, tra i civili, che mette in moto l’opera dei due reporter, incuranti delle gravi difficoltà economiche in cui vivevano, e tantomeno dei rischi che avrebbero corso – e che li avrebbero effettivamente colpiti – nelle zone colpite dalla guerra. 

Palazzi
Robert Capa, Rimasugli di palazzi, 1937

Le voci di entrambi davvero si mescolano e intrecciano come in un duetto, o nell’aria di un’opera moderna: la sequenza delle immagini non pone un confine netto tra i due, ma anzi concilia la confusione dal saperli essersi scambiarti spesso l’attrezzatura, minacciando così definitivamente molte attribuzioni. E come in un duetto, pur riuscendo a volte, magari, a distinguere l’occhio di lui da quello di lei – quante volte invece sbagliando – la vera trama è tessuta da entrambi in egual misura, dal loro averla vissuta e creata insieme.

Così, il miliziano che beve dal fiasco di vetro, le iconiche guerrigliere che si esercitano con le armi sulla spiaggia, i soldati armati sottoterra, tra le trincee, o in fila nelle manifestazioni, i civili in fuga dopo un allarme, gli scrittori e intellettuali attivi contro la tirannia – da Ernest Hemingway a Tristan Tzara – o l’altrettanto iconico “miliziano colpito a morte”, sono tutti il sigillo a un tempo di un pezzo di storia politica – quella comunemente definita con la “S” maiuscola – e della vicenda personale dei due reporter; soggetto e contorno, protagonisti e sfondo di intrecci paralleli.

Non è la prima mostra, a pensarci, che ha voluto negli ultimi anni mettere finalmente in luce fotografe donne spesso adombrate dalla figura dei compagni: si prenda come esempio Lee Miller con Man Ray, o la stessa Tina Modotti – che pure ha goduto di maggior fama, seppur postuma, rispetto alla Miller – con Edward Weston. In questo caso, più che la volontà di portare alla ribalta la figura di Gerda Taro dando invece a Capa un ruolo secondario e marginale, si è ragionato in modo diverso, spostandosi da uno schema prettamente monografico in favore dell’omaggio alla coppia in quanto tale. È la volontà di affermare una verità storica più completa, forse, aggiungendo personaggi senza esaltarne uno soltanto, ed evidenziandone il rapporto reciproco. In questo modo si scoprono sì due grandi nomi della fotografia di reportage, ma anche due giovani pronti a darsi una mano a vicenda per sopravvivere, vendendo le proprie immagini bussando alla porta di ogni redazione, correndo su e giù per la città dalla mattina presto.

Nelle circa 120 immagini esposte, molte delle quali rinvenute solo negli anni Novanta in una valigia trovata a Mexico City (ritenuta scomparsa dal 1939) e contenente migliaia di negativi (4.500) inediti dei due reporter, la verità del conflitto civile spagnolo prende forma attraverso chi l’ha vissuto per contrastare l’avanzata del tiranno, la fratellanza di una gioventù combattente e unita. Ne è un esempio l’immagine “Treno carico di truppe parte per il fronte”, scattata da Robert Capa nel 1936 e che ritrae un gruppo di giovani ridenti affacciati dal finestrino. Sotto di loro, la scritta in vernice bianca sulla superficie della carrozza: “UHP – Jurad sobre estas letras hermanos / antes morir que consentir tirano [...]” L’inquadratura mozza il finale di un’esortazione che comunque suona chiara, all’incirca così: “Giurate su queste lettere fratelli/ piuttosto morire che cedere al tiranno”, mentre UHP è l’eloquente acronimo di “Uníos Hermanos Proletarios” (Fratelli Proletari Uniti), gruppo di lotta della fazione repubblicana.

Treno che parte per il fronte
Treno carico di truppe parte per il fronte, Barcellona 1936

Uniti all’intreccio storico in cui vivono la propria relazione, Robert Capa e Gerda Taro si muovono in mezzo a tutti i significati che la guerra assume riverberandosi sulle vite umane: il terrore e le ore di tregua, le lettere scritte soli e accovacciati tra cumuli di terra, i propri amori salutati, l’attacco, la fuga, le macerie dei palazzi. Nel 1936, Gerda Taro era in Aragona quando vede venirle incontro un gruppo di ragazzi accompagnati da un miliziano, fucile in spalla: come nel caso dell’iconica “Miliziana repubblicana si allena in spiaggia”, immagine dello stesso anno, davvero un’aura, quasi un bagliore angelico avvolge il suo soggetto, (simile a quello che nel 1957 avrebbe circonfuso il “Bambino di Scanno” di Mario Giacomelli), nato forse da una mascheratura in camera oscura, forse dall’effettiva santità con cui l’occhio della giovane reporter tedesca vedeva i messaggeri della causa anti-franchista.

Miliziano
Gerda taro, Miliziano repubblicano con un gruppo di Ragazzi, 1936 Fronte di Aragona

I ragazzini e il miliziano che li guida sorridenti, e che nell’insieme in qualche modo possono ricordare “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, paiono l’ideale incarnato di chi come loro e le loro famiglie sognava una Spagna libera dall’invasore e dall’oppressione. Con una risonanza più che mai attuale, nel racconto che trapela dalle immagini dei due autori, e soprattutto di Gerda Taro, l’infanzia compie la drammatica parabola che da sogno iniziale e fiducia nella vittoria, li riduce a piccoli corpi inermi trovati sopra le macerie delle case abbattute, parte di quella moltitudine caduta a causa della guerra che pure fotografò dentro l’obitorio di Valencia, nel 1937, insieme all’altra moltitudine dei parenti in fila, fuori, per andare a riconoscere i propri cari.

Cadavere
Cadavere, Giugno 1937, La Granjuela, fronte di Cordova

Ed è nel 1937, neanche ventisettenne, che Gerda venne involontariamente sbalzata giù mentre si trovava sul predellino di un carro armato da uno scontro con un altro carro, facendola finire sotto i cingoli e causandole una lunga agonia prima della morte.

Il duetto a cui si assiste visitando la mostra, allora, può essere considerato quello che riassume l’intera vicenda dei due amanti fino ad accompagnarli – e accompagnarci – al finale doppiamente drammatico di una guerra che verrà poi persa, nel 1939, e del loro rapporto terreno. La loro storia è stata interrotta sì da un incidente – anche Capa morirà nel 1954 saltando su una mina nella guerra d’Indocina – che appartiene però a quel sistema di eventi troppo più grandi per accordare la propria attenzione alle vicende di ognuno; a quella stessa storia a cui fino all’ultimo, entrambi, hanno deciso di legarsi e appartenere.

 

La mostra Robert Capa e Gerda Taro. La fotografia, l’amore, la guerra, curata da da Monica Poggi e Walter Guadagnini e organizzata con il patrocinio dell’Accademia d’Ungheria in Roma, è visitabile presso Camera, a Torino, fino al 2 giugno 2024. Il catalogo è edito da Dario Cimorelli Editore.

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