Invernomuto
Vernasca è un paese in provincia di Piacenza. Probabilmente non è mai comparso così tante volte, come in quest’ultimo periodo, sui quotidiani emiliani e sul web. Da quando, cioè, il duo Invernomuto, che da lì proviene, non ha cominciato a parlarne, con tenacia e un certo grado di visceralità, nel proprio lavoro. Ecco un minuscolo punto sulla mappa geografica del nord Italia. Partiamo da qui, da Vernasca e dal genius loci, espressione latina riapparsa in epoca contemporanea, declinata in vario modo nelle agende progressiste, come nell’agenda culturale della Lega Nord, nel linguaggio del marketing territoriale, come nelle campagne pubblicitarie focalizzate sul territorio.
Genius loci è espressione che, nel caso di Simone - titolo della mostra personale, a cura di Xing, degli Invernomuto al PAC di Ferrara - conserva quel quid poetico ed ancestrale a cui si accorpa, al tempo stesso, un tratto di fragilità e vulnerabilità. Di “luogo” parliamo e naturalmente anche di “genio”. La grotta di cera bianca (Wax, Relax) che rappresenta la visione di apertura della mostra, è una copia della copia della grotta di Lourdes, nascosta in chissà quale bosco intorno alpaese di Vernasca. Prima di arrivare al PAC, la grotta aveva fatto tappa a Milano, in occasione della mostra all’Hangar Bicocca Terre Vulnerabili. Qui al PAC si presenta come una scultura in dissoluzione, adagiata sul pavimento, che attraverso un gioco di luce e suono, diventa la cassa armonica dell’intero piano. La colonna sonora, progettata con la collaborazione di Hieroglyphic Being musicista house di Chicago, dà volume agli effetti di luce e fumo che si addensano nell’ambiente.
La Madonna non appare. Ma le tinte tenui della tradizione popolare religiosa, i suoni ruvidi e incalzanti del ritmo elettronico, le danze, il “black musician”, la subculture, sono suggestioni che, annidate fra le bolle e le crepe di cera che danno forma alla grotta, ribaltano la tradizione. Tutto è richiuso in uno spazio che Invernomuto prepara come uno spettacolo: una quinta teatrale, il buio totale, e poi le accensioni simultaneedelle luci per mostrare i volumi della scultura.Non esiste un climax, i toni restano gli stessi, e questo un po’ ci costringe a chiederci perché mai dovremmo assistere ad uno spettacolo che non modifica mai la propria intensità, seppure certamente non ci abbandoni e non ci lasci mai soli.
Sullo sfondo di un paesaggio sonoro, diffuso progressivamente da Wax, relax, proseguendo con la mostra al piano superiore, si scorge un volto arabeggiante penzolare dal soffitto: come un monito. L’iconografia mi ricorda una certa somiglianza con un volto yemenitaassai noto (Osama Bin Laden) ma in realtà si tratta di Negus. L’opera inedita è la prima rappresentazione di una ricerca che Invernomuto sta portando avanti e che prende spunto da un fatto storico risalente all’epoca fascista. Il Negus in questione è Hailé Salassié, il messia nero imperatore di Etiopia, considerato l’icona del Rastafarianesimo. Non è un caso, dunque, che proprio a Vernasca si sia consumato, in epoca fascista, il rito di piazza che prevedeva di bruciare un fantoccio del Negus, durante il periodo di conquista dell’Etiopia da parte dell’Italia. Una tradizione del ventennio, di cui il paese conserva ancora il ricordo, trasmesso attraverso la memoria popolare.
Negus è un dispositivo composto di una lamiera, da un lato aerografata col volto del re, dall’altro specchiante, in modo da riflettere la luce che proviene dalle immagini proiettate sullo schermo di legno appeso di fronte. L’effetto è quello di un catalizzatore, che ruotando porta con sé il calore delle lingue di fuoco, come se esattamente in quel momento si levasse un nuovo rogo per un nuovo rito. “Dio e la storia ricorderanno il vostro giudizio”, diceva il Negus. E per questo dovremmo stare accorti.
Il paesaggio di Invernomuto parte dalla campagna piacentina ma si estende fino a Santa Cruz, passando dal nord Africa, attraversando l’Oceano, l’America Latina, per risalire lungo il confine degli Stati Uniti fino a raggiungere la California. Ciò che hanno incontrato in California, non è uno spettacolo di folklore popolare, ma qualcosa di molto più profondo e radicato, chiuso nei segreti di un castello. Un ettaro di terra magica, nascosto nella foresta di Bonny Doon, interamente progettato e costruito dal Signor Preston Q. Boomer. Lui, un insegnante di chimica e fisica, per nulla deciso ad andare in pensione, ha dedicato la sua vita ad insegnare i principi della scienza a moltissimi ragazzini rapiti dalla sua aura seduttrice.
Boomeria, che è anche il titolo del film di Invernomuto, girato in 16 mm tra la primavera e l’estate del 2011, è un grande castello-paese, concepito alla metà degli anni ‘50 da Boomer assieme ai suoi figli e studenti. È una sorta di architettura fantasy, formata da labirinti, sotterranei, dispositivi di difesa ed allarme. C’è anche una piscina che Boom stesso definisce “the main Aqueous Ammunition Bunker”. Nel castello vengono simulate battaglie con cannoni ad acqua, si suonano allarmi e sirene attraverso un vero e proprio “organo” meccanico, si affettano cocomeri sotto la scure minacciosa di una ghigliottina. Si allestisce un vero e proprio re-enactment medievale, che ci aiuta a riposizionarci nel tempo, attraverso una metodologia tipicamente teatrale.
Invernomuto racconta un’esperienza sensoriale e relazionale, nata acontatto con un personaggio, e un progetto, cresciuti in uno strano spazio che sta tra gioco, esperimento pedagogico e utopia. Il film è una sorta di documentario astratto, nato sulla scia di un lavoro precedente (Black Cross Bowl, 2007). Una sequenza di immagini con tratti horror e, perché no, di leggerezza burlesque: molto bella l’immagine del vicino di casa di Boom, totalmente imprevista, che compare in campo e mentre guarda in macchina si colpisce le natiche con un cappello, con un movimento da comico anni ‘30. In un tale luogo la sospensione del tempo e dello spazio, e l’utilizzo del meccanismo ludico, sono talmente spinti ed accentuati da eccepire, stavolta, qualsiasi rapporto con il genius loci. Invernomuto ha cercato e trovato, e adesso è come se ci dicesse: “che ci crediate o meno, questo è ciò che abbiamo visto e sentito”: il che rende tutto ancora più misterioso.